MILANO – La terapia adiuvante per le pazienti con un tumore del seno “Her2-positivo” può essere ridotta di intensità, ottenendo, anche nel lungo termine, stessa efficacia e minore tossicità: lo conferma una ricerca appena pubblicata sulla rivista Lancet Oncology, corredata da un editoriale del professor Giuseppe Curigliano, Direttore della Divisione Nuovi farmaci per Terapie Innovative dell’Istituto Europeo di Oncologia e Professore di Oncologia Medica all’Università Statale di Milano.
I tumori Her2-positivi rappresentano il 15% di tutti i nuovi casi di carcinoma mammario e si caratterizzano per la sovraespressione della proteina Her2, che li rende biologicamente aggressivi e resistenti ad alcuni farmaci anticancro. Proprio in virtù della sovraespressione di Her2, però, questi tumori rispondono all’anticorpo monoclonale Trastuzumab, che viene quindi associato a diversi chemioterapici nei trattamenti standard. “Questo lavoro rappresenta una pietra miliare nella storia del cancro della mammella: abbiamo definitivamente dimostrato che per i tumori iniziali Her2-positivi, “si può fare di meno ottenendo di più” – dichiara Curigliano -. Il lavoro pubblicato oggi completa un percorso iniziato dal mio gruppo in Ieo nel 2009, quando abbiamo dimostrato che i tumori Her2-positivi in stadio iniziale hanno in realtà una prognosi molto buona, se diagnosticati in fase molto precoce, e quindi possono essere trattati con terapie chemioterapiche meno aggressive e meno tossiche.
Da lì sono partiti gli studi sulla “de-escalation” (modulazione di intensità), che hanno dimostrato che una chemioterapia più “leggera” è in effetti sicura ed efficace, e permette alle pazienti di vivere a lungo e con meno effetti collaterali sull’organismo. Questo risultato ha immediatamente cambiato la pratica clinica e il lavoro appena pubblicato aggiunge ora un tassello importante: la de-escalation mantiene il suo beneficio anche nel lungo termine, oltre i 10 anni. Il lavoro scientifico ha anche dimostrato che, nel futuro, potremmo identificare quelle pazienti in cui “fare di più” potrebbe essere utile, ma anche e soprattutto che in altre pazienti, “fare ancora di meno” è possibile, con l’uso di un nuovo marcatore, denominato Her2dx”. “Nel lavoro su Lancet Oncology, insieme a Sara Tolaney e altri otto colleghi del Dana Farber Cancer Institute, presentiamo un’analisi dei risultati a 10 anni dello studio di riferimento sulla de-escalation – spiega il Dr Paolo Tarantino, coautore dello studio e ricercatore del team di Curigliano allo Ieo -. Su 406 pazienti coinvolte nella sperimentazione, il tasso di sopravvivenza legata al tumore mammario è stato del 98.8% a 10 anni, con sole sei recidive a distanza. I nostri dati supportano quindi l’ipotesi che il regime di cura de-escalato (in termine tecnico APT, ossia Adjuvant Paclitaxel Trastuzumab) rappresenti un adeguato standard terapeutico per piccoli tumori mammari Her2-positivi, permettendo di evitare gli effetti collaterali degli schemi poli-chemioterapici.