Le aziende della logistica coinvolte in un’indagine della Procura di Milano per una frode Iva e contribuiva da 250 milioni di euro restituiranno tutto o una parte del Tfr ai lavoratori. È quanto si apprende da fonti giudiziarie rispetto all’inchiesta, scattata lo scorso febbraio, del pubblico ministero Paolo Storari e che ha coinvolto gli imprenditori Elena Chiapparoli e Aronne Premi e le società Chiapparoli Logistica e Consorzio Sal, attive nel settore appalti della logistica farmaceutica, per un giro milionario di false fatture nei contratti di somministrazione della manodopera ‘schermati’ dietro contratti di appalto.
Le investigazioni del Nucleo Pef della Guardia di Finanza hanno acceso un faro anche sulle “conciliazioni sindacali” nel settore. Si tratta degli accordi, coordinati da alcuni sindacati confederali e fatti firmare ai lavoratori delle cooperative in appalto, i quali in cambio di 100 o 250 euro e un’assunzione diretta da parte dell’azienda committente, sarebbero stati costretti a rinunciare a qualsiasi azione legale per ottenere il Tfr maturato nel passato lungo la filiera.Secondo il gip Domenico Santoro, che ha disposto un sequestro preventivo da oltre 41 milioni di euro, si tratta di una “clausola” senza “la cui accettazione il dipendente non sarebbe stato assunto dalla società” e in base alla quale il lavoratore “rinuncia ad ogni azione di regresso nei confronti di “Chiapparoli” sul “Tfr maturato negli anni precedenti”.
I militari delle fiamme gialle hanno trovato e sequestrato i verbali di conciliazione del giugno 2023 fatti firmare a circa 500 operai che in cambio di piccole cifre a testa avrebbero sollevato l’azienda da “ogni forma di responsabilità in solido”. “Nel giro di due settimane ho perso i miei 23 anni di lavoro – hanno messo a verbale alcuni di loro – Spero che Chiapparoli Logistica possa un giorno pagare per come si è comportata. Quando siamo stati convocati dalla committente per obbligarci a firmare il verbale di conciliazione ci è stato detto, con fare aggressivo, che se non avessimo firmato ‘quella è la porta’”. “Mi sono rifiutata di firmare il verbale di conciliazione – ha raccontato il 29 gennaio a finanzieri e pm una lavoratrice-magazziniera poi licenziata per il suo rifiuto – perché non volevo pagare il mio posto di lavoro in Chiapparoli, rinunciando al mio Tfr che ammontava a 15mila euro”.



















