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Dall'archivio:

Mea gens, il Ticino- di Giuseppe Casarini

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Attenzione: questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie.

Potrebbe contenere informazioni obsolete o visioni da contestualizzare rispetto alla data di pubblicazione.

Il Ticino, fiume generoso, che  per anni, nei tempi passati , dalle sue acque, dai suoi boschi e sottoboschi offrì ad umili e laboriose genti umile ma dignitosa fonte di sostentamento: attività e lavori ormai persi nella notte dei tempi. Questi pochi e poveri versi vogliono  ricordare alcune di queste forme di vita e di queste vite ormai caduti da tempo nell’oblio alcuni  protagonisti.

 

Mea gens : Il Ticino

 

Mughettose, festanti e ridenti le sponde del Ticino,

querce secolari e castagni d’odorosi boschi:

mazzolini fioriti e cesti di porcini  dal profumo intenso

a Milano offriva un tempo  Modestino 

a Porta Ticinese e Lodovica e in Piazza Duomo.

Un tempo l’azzurr’onda sfiorava con fruscio i bianchi

sassi e arsi, cotti dal sole Giovanni e i suoi fratelli

 lunghi forconi  agitavan svelti nell’acqua dai barcè

e i levigati ciottoli,  frammenti di grezzi massi

 nel fiume a monte rotolati e poi rotti e spezzati

da salti e lavorio dell’acque e trascinati

per  tempi e per stagioni sconosciute,

 l’affannosa e sobbalzante corsa  qui finivan

fermati, imprigionati da rebbi rugginosi;

 poi da fatica aggiunta e a forza aggiunti

a guisa di bianchi  su un ampio slargo monticelli

  portati infine  in  fornaci ardenti e vetrerie

davano pane a Giovanni e ai  sassaioli  

tramite  forma e vita di  familiari oggetti.

vita dura e faticosa con dignità vissuta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Soli nel lavoro e nella vita al Goss e Margarota,

“salvadag”  li chiamavano certuni

che, per  il dimesso aspetto e i poveri vestiti,

miseri stracci più volte rattoppati,

si diceva e si credeva avessero  malie

 Così costretti da questa  odiosa diceria

a percorrer solitari solitarie vie la vita tutta

giorno per giorno fuor che nell’Inverno

dall’alba fino a sera tarda e senza sosta

curvi e piegati lungo i cigli di rami

secondari del Ticino  tagliavan di netto

con l’acqua sino alle ginocchia, ah povere ossa,

teneri giunchi e ne facevan solide fascine.

Per poche lire  un certo Giovanö prendeva le fascine:

mani esperte rapide le sue  e veloci ed ecco cesti,

cestini,  fiaschi impagliati e  damigiane

di vesti intrecciate rivestite e belle,

centri, centrini, sporte e sottovasi:

parte all’industria, parte alle osterie,

il resto infine lo vendeva  Ghita la moglie

col suo banchetto di sabato al mercato.

 

Giuseppe Gianpaolo Casarini

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