Il Ticino, fiume generoso, che per anni, nei tempi passati , dalle sue acque, dai suoi boschi e sottoboschi offrì ad umili e laboriose genti umile ma dignitosa fonte di sostentamento: attività e lavori ormai persi nella notte dei tempi. Questi pochi e poveri versi vogliono ricordare alcune di queste forme di vita e di queste vite ormai caduti da tempo nell’oblio alcuni protagonisti.
Mea gens : Il Ticino
Mughettose, festanti e ridenti le sponde del Ticino,
querce secolari e castagni d’odorosi boschi:
mazzolini fioriti e cesti di porcini dal profumo intenso
a Milano offriva un tempo Modestino
a Porta Ticinese e Lodovica e in Piazza Duomo.
Un tempo l’azzurr’onda sfiorava con fruscio i bianchi
sassi e arsi, cotti dal sole Giovanni e i suoi fratelli
lunghi forconi agitavan svelti nell’acqua dai barcè
e i levigati ciottoli, frammenti di grezzi massi
nel fiume a monte rotolati e poi rotti e spezzati
da salti e lavorio dell’acque e trascinati
per tempi e per stagioni sconosciute,
l’affannosa e sobbalzante corsa qui finivan
fermati, imprigionati da rebbi rugginosi;
poi da fatica aggiunta e a forza aggiunti
a guisa di bianchi su un ampio slargo monticelli
portati infine in fornaci ardenti e vetrerie
davano pane a Giovanni e ai sassaioli
tramite forma e vita di familiari oggetti.
vita dura e faticosa con dignità vissuta.
Soli nel lavoro e nella vita al Goss e Margarota,
“salvadag” li chiamavano certuni
che, per il dimesso aspetto e i poveri vestiti,
miseri stracci più volte rattoppati,
si diceva e si credeva avessero malie
Così costretti da questa odiosa diceria
a percorrer solitari solitarie vie la vita tutta
giorno per giorno fuor che nell’Inverno
dall’alba fino a sera tarda e senza sosta
curvi e piegati lungo i cigli di rami
secondari del Ticino tagliavan di netto
con l’acqua sino alle ginocchia, ah povere ossa,
teneri giunchi e ne facevan solide fascine.
Per poche lire un certo Giovanö prendeva le fascine:
mani esperte rapide le sue e veloci ed ecco cesti,
cestini, fiaschi impagliati e damigiane
di vesti intrecciate rivestite e belle,
centri, centrini, sporte e sottovasi:
parte all’industria, parte alle osterie,
il resto infine lo vendeva Ghita la moglie
col suo banchetto di sabato al mercato.
Giuseppe Gianpaolo Casarini