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Dall'archivio:

Matteo Berrettini c’e’- di Teo Parini

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Se è vero che i miracoli non esistono, è possibile che nel tennis l’assioma sia ancora più lapidario. Uno sport esigente e complesso, quello che fu di Bill Tilden, spietato come poche altre discipline nell’imporre le proprie gerarchie. E quindi Matteo Berrettini, pur facendo tutto ciò che avrebbe dovuto fare per complicare i piani dell’avversario, ha perso. Il motivo è che, per dirla come Lineker a proposito dei tedeschi, gira e rigira alla fine vince sempre Nadal. Almeno per ora.

Matteo ha poco da rimproverarsi, giacché con ogni probabilità l’esito finale non sarebbe cambiato nemmendo capitalizzando uno dei due set point che si è procurato nel tie break del primo parziale, perché nelle due ore e mezza di gioco ha quasi sempre fatto la scelta giusta, dunque bravo. Ha spinto forte con servizio e dritto, ha provato a non perdere troppo campo con il rovescio, ha punito col drop shot la lontananza dalla riga di fondo del suo rivale, si è preso tutti i rischi possibili pur di condurre il gioco. Ma Nadal, anche nella sua versione over 30, è al momento di un’altra dimensione. Ingiocabile nei propri turni di battuta, sempre col fiato sul collo in quelli di risposta, con Berrettini costretto a tener alta la soglia di attenzione senza mai un momento di tregua. Risultato ko tecnico per logoramento. Alla Nadal, insomma.

Fatti nell’arco delle due settimane i sacrosanti elogi al romano, che il match di questa notte non ha fatto che confermare, trattandosi però di eccellenza è doveroso spulciarne il tennis per analizzare quelle che sono le piccole note dolenti. Due gli aspetti tecnici che necessitano di essere perfezionati per ridurre il gap nei confronti del triumvirato che imperversa da lustri sulla disciplina: rovescio e ribattuta.

Il lato sinistro di Matteo non vale la sua attuale classifica, raggiunta con imperituro merito sopperendo alla lacuna con servizio, dritto e mentalità vincente che, al contrario, sono inequivocabilmente da Top 10. Se è vero che Bollettieri con Jim Courier fu di parola – tanto da portarlo al vertice facendogli giocare solo il suo colpo migliore, ma i piedi del suo pupillo erano supersonici – è difficile pensare di fare match pari con Nadal soffrendo le pene dell’inferno ogni qualvolta lo scambio si incanali sulla diagonale rovescia. In altre parole, il colpo di scorta in questo tennis può non essere un plus ma non deve essere un tallone d’Achille al punto da condizionare l’intero impianto di gioco, perché i più forti sono spietati nel banchettare sulle piccole crepe altrui nei momenti topici dell’incontro. Se nel corso del torneo l’uso dello slice, artigianale ma decoroso, ha mascherato le titubanze del colpo bimane, il dritto di Nadal ha invece imperversato senza pietà su quel colpo costringendo Berrettini agli straordinari pur di giocare col dritto. Obiettivo per il futuro, dunque, ridurre in parte l’asimmetria nel rendimento tra i due fondamentali di rimbalzo per non concedere deleterie zone di comfort.

Per la risposta al servizio vale più o meno la stessa cosa. Matteo non è mai riuscito a impensierire Nadal nei suoi turni di battuta nonostante con il fondamentale di inizio gioco lo spagnolo non sia tipicamente Karlovic. Sintomatico. Le traiettorie mancine sono sempre un’eccezione, va bene, ma troppe poche volte Berrettini è riuscito a far partire lo scambio in condizioni non compromesse. Quando i game di risposta scorrono veloci, in maniera inversamente proporzionale sale la pressione nei propri turni perché la sensazione inevitabile è quella di non poter porre rimedio a un eventiale passo falso al servizio. Obiettivo, qui, è allora quello di acquisire con l’esperienza maggiore solidità, che significa percentuali di ribattute positive più alte e al contempo gittate più lunghe. L’avversario deve necessariamente sudare di più per portarsi a casa la pagnotta.

Detto questo, urge però ricordare che Matteo ha solo 23 anni e che è da poco più di una stagione che ha iniziato a ragionare da campione. E in ogni caso da lunedì prossimo il ranking sarà fissato alla posizione numero 13, quindi esaltante. Sconfitte come questa, o come quella con Federer a Wimbledon, servono a tirare le somme e a fotografare il livello di gioco attuale. La certezza è che se ne esce più forti e con le idee più chiare. Per il resto è questione di tempo e se ne vedranno delle belle.

Chapeau, Matteo. E grazie.

Teo Parini

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