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+Mario Draghi, la politica e la tecnocrazia: una illuminante riflessione di Claudio Risè sulla Verità

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In questi giorni nei quali il dibattito politico è incentrato unicamente sull’aspetto esteriore- seppur di maggiore impatto- e funzionale della crisi di governo innescata dai 5 Stelle, finalmente sulla stampa quotidiana è apparso un articolo che analizza molto più nel profondo la vicenda e i prodromi dell’ascesa di Mario Draghi a capo del Governo. Il tema è quello che lega politica e tecnocrazia, lucidamente analizzato dal professor Claudio Risè sulle colonne della Verità di ieri.
 

 “Comunque si risolvano le dimissioni di Mario Draghi, i suoi 17 mesi di governo rappresentano forse il più chiaro «caso di scuola» per cercare di capire le differenze più importanti tra un presidente del governo espresso dalla politica, e un altro che invece viene dalle istituzioni economiche, da banche e aziende: un tecnocrate”, esordisce Risè. Anche se, infatti, già da più di 60 anni nel mondo si parla di tecnocrazia come la grande novità di questa epoca, finora non ci sono stati casi equivalenti di tecnici a capo per un periodo significativo della guida di un grande Paese dell’Occidente. Il caso più simile ( anche più lungo ) è quello di Emmanuel Macron, presidente della Francia, ora al secondo mandato. Che però è capo non del governo ma dello Stato, un’istituzione più ampia e più amministrativa che politica; inoltre in un Paese con forte tradizione presidenziale, inaugurata dallo stesso creatore dell’attuale V Repubblica, il generale Char – les De Gaulle. Anche M ac ro n , del resto, si sta confrontando con problemi non lontani da quelli di D ra g h i . Volere o no, le dimissioni dell’ex banchiere sono comunque una provvisoria sconfitta del sogno tecnocratico che fin dagli anni Sessanta inquieta le insicure democrazie occidentali e le loro discutibili liturgie. I tecnocrati sono d’altra parte un inevitabile aspetto della classe dirigente contemporanea. «Viviamo» ha scritto e mi ha insegnato un mio insostituibile maestro, lo scienziato politico Jean Meynaud (in Tecnocratie et politique) «in una società calcolatrice; la cui spinta si estende dalle imprese a tutta la società, e le funzioni e responsabilità dei tecnici non possono che estendersi. La burocrazia comporta dei rischi; ma è in parte irrinunciabile». E concludeva: «Lo sviluppo inevitabile della tecno-burocrazia obbliga però le democrazie a una sfida: evitare che l’attenzione all’efficienza sia l’unico ed efficace metro di giudizio”.

Nella riconferma di Roberto Speranza e quini nella tacita accettazione di un ben preciso approccio emergenziale all’emergenza Covid, inoltre, Risè annota con effiacia “che appare anche l’a ltro, finora fatale, limite della tecnocrazia: il tentativo di mettere in secondo piano le manifestazioni psicologiche e affettive della democrazia; le due strade pare proprio che non riescano ad andare d’accordo. È ancora nel decidere sopra la testa del Paese che è nata la seconda, probabilmente non rimediabile, caduta del governo Draghi: coinvolgere, senza formale mandato per farlo, l’Italia nella guerra Usa-Russia, in solidarietà all’Ucraina, con pesantissime conseguenze economiche, e il rischio di coinvolgimento in un conflitto mondiale. Il tutto in un Paese come l’Italia che ha la rinuncia alla guerra nella Costituzione, e che non correva alcun rischio nelle relazioni con la Russia, non solo per la distanza geografica, ma anche per una buona tradizione di collaborazione. Certo l’Italia è alleata degli Stati Uniti, ma non può trovarsi in guerra con il Paese più grande del mondo perché lo vuole il presidente tecnocrate. Non so chi siano i consulenti di diritto costituzionale e di diritto internazionale di Draghi , ma tutta la questione sembra molto affrettata e, in milanese, st rap p el ad a . Come hanno peraltro già scritto, in modo forbito, insigni costituzionalisti. Visto che è difficile che sia democratica, la tecnocrazia sia almeno inappuntabile sul piano formale. Non si rovina un Paese gettandolo in una guerra disastrosa e discutibilissima perché ti va di farlo, o qualcuno te lo chiede. Tecnocrate o no, devi chiederlo al Paese”.

Claudio Risè

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