Lo scorso 8 agosto è ricorso l’anniversario della tragedia avvenuta nel 1956 nella miniera di carbone Bois du Cazier di Marcinelle, in cui persero la vita ben 262 persone, di cui 137 italiani.
Un evento micidiale, un gravissimo episodio di morte sul lavoro, come lo definiremmo oggi. Marcinelle, però, al di là della memoria che ci impone la storia, che giustamente deve avere le proprie liturgie istituzionali affinché rimanga viva la fiammella del ricordo di queste persone necessita di una riflessione di ampio respiro su quale insegnamento (o quali insegnamenti) possiamo trarre da questo episodio. Una risposta è possibile darla subito: Marcinelle può avere significati molteplici nei confronti del nostro mondo del lavoro.
Un primo significato riguarda la dignità del lavoro. DIgnità che a volte può risultare un termine ampio, vago e fumoso, ma che può concretizzarsi ad esempio nelle condizioni di sicurezza in cui la persona lavora. Complice la tecnologia dell’epoca il legno era il materiale più utilizzato, ma sicuramente il più pericoloso in caso di incendio. Anche oggi, però, si muore sul lavoro, nonostante di passi in avanti se ne siano fatti e talvolta le negligenze sono volute, anche in un’ottica di “risparmio” da parte di persone senza scrupoli. Non è un caso che il disastro avvenuto alla Tyssenkrupp abbia molte somiglianze con quello di Marcinelle, seppur di portata minore per numero di vittime.
La sicurezza è un diritto del lavoratore ed è un pilastro fondante del lavoro. Senza sicurezza non si lavora e se non si lavora non si può vivere, così come non si può vivere senza sicurezza. E’ un circolo che parrebbe vizioso, ma che in realtà la politica ha il compito di rendere virtuoso (ed in parte ci sta riuscendo), pur essendo la strada ancora lunga. Serve formazione, investimenti nella ricerca e un controllo capillare su chi non rispetta le regole.
Spesso la tragedia di Marcinelle viene assimilata anche al dramma delle persone che emigrano per lavorare e trovano la morte, magari in condizioni di precariato estremo quando non di sfruttamento. Certamente gli eventi degli ultimi giorni, come i disastri avvenuti nelle campagne foggiane, non possono non interrogarci su cosa voglia dire per una persona lasciare tutto per cercare fortuna in un altro paese. Noi italiani l’abbiamo fatto, chi in America, chi in Germania, chi in Belgio, proprio come quei minatori. Oggi ancora molti italiani emigrano, ma anche altre persone vengono in Italia o emigrano in altri paesi e si ritrovano a fare i lavori più umili. Non voglio qui cadere nella semplice retorica, ma vorrei porre un interrogativo: è umanamente possibile pensare che una persona venga fatta lavorare in condizioni talmente precarie da essere assimilabili alla schiavitù? Seguendo il precetto “il lavoro nobilita l’uomo”, quella persona sarà nobilitata oppure sarà degradata?
E’ compito primo della politica, senza distinzione di colore, promuovere una politica ed una cultura del lavoro dove l’umano sia al centro. Una cultura che scaturisca dalla sinergia tra le varie parti sociali e che sappia creare un clima positivo e propositivo che tenda al miglioramento costante. Questa lotta non può essere fatta individualmente o localmente, ognuno nel proprio recinto.
Parlando del mondo del centrosinistra, di cui faccio orgogliosamente parte e cui mi rivolgo con rispetto per ogni corrente di pensiero, non si può pensare che un tema così importante e grande come il lavoro possa essere affrontato in solitudine. E’ necessario un processo di unione a livello nazionale, ma soprattutto a livello internazionale. Deve crearsi un modello, un modus operandi di tutte le forze progressiste del mondo dove si recuperi quella centralità del Lavoro (quello con la L maiuscola) che troppo spesso è stato relegato a semplici cifre, dimenticando il lato più importante di esso, quello umano. Non bisogna mai dimenticare che dietro ai numeri ci sono delle persone in carne ed ossa, con delle famiglie, dei sogni e delle aspirazioni. Il lavoro deve tornare ad essere elemento catalizzante e centralizzante dell’autodeterminazione dell’individuo e della socieà. Marcinelle è un segno forte nella memoria collettiva, ma affinché la memoria non sia semplice esercizio mnemonico serve la riflessione e la sintesi del senso degli eventi. Solo così la storia ha un valore positivo nella nostra società.
Fabio Baroni, Partito Democratico- Abbiategrasso