MAGENTA – La presentazione del libro di Leonardo Becchetti ‘Neuro-Scettici’ (ed. Rizzoli), a cura del Centro Studi Poilitico/Sociali J.F. e R.F.Kennedy, non è un assolo del docente di Economia Politica dell’Università romana di Tor Vergata sul “perché uscire dall’Euro sarebbe una follia” (citando il sottotitolo della stessa opera): al tavolo dei relatori, accanto a lui, lo scorso venerdì, al Centro Paolo VI, siedono anche il Segretario Confederale Cisl, Angelo Colombini, il Professor Alberto Fossati e il Direttore del Centro Studi Marcora di Inveruno, Gianni Mainini.
Più voci che daranno vita ad un argomentare articolato e denso, dopo il saluto ai presenti del Presidente del ‘Kennedy’, Ambrogio Colombo, e l’introduzione dell’incontro, affidata al giornalista Renzo Bassi. A dare la stura alle ‘falsità’ circa i mali procuratici dall’adesione all’Euro è Leonardo Becchetti, che mette in fila e smonta
più di uno slogan degli euro scettici. “Se mai vi sia ancora qualcuno che, al di là della propaganda elettorale, specchietto per le allodole, voglia davvero uscire dall’euro” chiosa, peraltro, l’economista. Ci sono
limiti, problemi, non si può elogiare l’UE senza raziocinio, tuttavia “non possiamo scendere dall’aereo preso, perché non abbiamo il paracadute”, asserisce Becchetti per poi passare ad elencare le diffuse
‘sciocchezze’. La causa del declino della classe media e dell’aumento dei poveri non è l’euro, uscendone non si diventa più competitivi, non aumenteranno le esportazioni, “non è la moneta che stampo (il mito del
sovranismo monetario) a rendere un Paese ricco, bensì la somma dei sudori e delle competenze delle persone che lavorano”. E’ incisivo, l’autore. Il valore di una moneta è la fiducia e l’Italia non può fare a
meno degli investitori esteri: “Come si concilia ciò con il fatto che se vuoi uscire dall’eurozona, per prima cosa devi dichiarare il fallimento del Paese?”.
Venendo al ‘cosa’ possiamo fare per stare in Europa in modo diverso, creando fiducia nei nostri confronti, il docente cita la lotta all’evasione fiscale, la riduzione delle tasse (portando l’ esempio portoghese), lo snellimento della burocrazia, la velocizzazione dei tempi della giustizia civile, lo sblocco degli investimenti. E, chiudendo il
proprio intervento, si sofferma sulla necessità di costruire in Italia un’Economia Civile. “E’ quel che serve oggi”, scandisce, riferendosi a questa sorta di rivoluzione copernicana nel modo di pensare al sistema
economico che ha radici antiche nella Storia italiana (vedi il filosofo ed economista Antonio Genovesi). “E’un modo diverso di guardare all’uomo, al lavoro, all’ambiente, basato sulla reciprocità, la solidarietà, la gratuità, la generatività sociale – dice Becchetti -, si tratta di puntare a un sistema economico che vede il cittadino, consapevole del potere di cui dispone attraverso le scelte di consumare e risparmiare ( “il voto con
il portafoglio”), attore di un cambiamento dell’economia verso il Bene sociale comune”. Affermazioni, queste, sottoscritte a pieno da Angelo Colombini, che insiste su un necessario recupero di valori e “di un’idea
di Europa”. Suggestivo l’incipit del discorso del sindacalista: “Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer e Robert Schuman parlavano la stessa lingua quando nacque la Comunità Economica del Carbone e
dell’Acciaio”. Sì, parlavano tutti e tre il tedesco, però dietro e dentro le parole di una “stessa lingua” c’erano le idee, che vengono prima delle parole e le azioni che le parole generano.
E’ poi la volta di Gianni Mainini, critico “sul rapporto equivoco tenuto dall’Italia nei confronti dell’UE”, il Presidente del Centro dedicato a Giovanni Marcora ricorda, oltre a tutti i piccoli e grandi vantaggi dell’UE, l’azione propositiva svolta nel consesso internazionale dal concittadino Ministro dell’Agricoltura, “perché l’Europa si cambia da dentro”. A chiudere la serata il bel contributo di Alberto Fossati, Docente presso la Facoltà di Scienze Politiche e Sociali dell’Università Cattolica di Milano, per il quale le espressioni “picchiare i pugni sul tavolo” e “padroni in casa propria” non denunciano che uno stato di impotenza, “poiché la sovranità oggi è
sempre meno statuale e il concetto va translato in dimensione europea. La UE è un’alleanza basata su trattati internazionali rispetto ai quali gli Stati membri hanno ceduto parte della propria sovranità. Essere padroni in casa propria oggi vuol dire essere là dove si prendono le decisioni”.
Parla chiaro l’ex-sindaco abbiatense anche a proposito dell’influenza che la composizione del debito pubblico ha sulla sovranità. Questo e altro e meglio si è detto nel corso di una serata di indubbio interesse
che meritava una platea più nutrita e una presenza giovanile, del tutto assente … forse, i ragazzi – generazione Erasmus (citata da Mainini) e compagni – non hanno bisogno di essere convinti circa il citato sottotitolo. E’ un auspicio.
Franca Galeazzi