MAGENTA – I pannelli espositivi, che raccontano in modo sintetico ed efficace i primi 25 anni di vita della Casa d’Accoglienza, resistono, domenica mattina, alle fredde folate del vento che tenta di rovesciarli, quando lo spazio riservato alla mostra è affollato dagli intervenuti all’inaugurazione. A scoprire il pannello iniziale spetta, come si conviene, alla presidente Rosy De Vecchi (da otto anni volontaria) che lo fa insieme al sindaco Chiara Calati. Poche parole, le sue, per richiamare “il senso del nostro operare” poi, le parole sono quelle del filosofo Stefano Petrosino riportate sul primo pannello: “… l’uomo ha bisogno di un luogo in cui trovare la propria intimità, raccogliersi…”, e, aggiungiamo, richiamando gli intendimenti di quanti hanno progettato, realizzato, lavorato e lavorano nella struttura intitolata a Maria Rosa Oldani, ha bisogno di un luogo dove trovare dignità, risposte alle proprie necessità, sostegno alla propria fragilità economica e psicologica. Oltre alle parole, davanti agli occhi dei visitatori, scorrono le date: dal lontano 1938, allorché la casa colonica sulla via per Ponte Vecchio fu edificata dall’Ospedale Maggiore di Milano ad uso degli agricoltori delle campagne circostanti, al 1994, quando il primo ospite varcò la soglia della Comunità d’accoglienza gestita dai volontari Avas (Associazione volontari accoglienza e solidarietà, costituitasi nel 1987 sullo stimolo della lettera pastorale ‘Farsi prossimo’ del Cardinal Carlo Maria Martini).
Scorrono le immagini, tra queste le fotografie della Oldani, di don Giuseppe Locatelli e della dottoressa Elena Sachsel, definiti, nella retrospettiva, ‘pietre miliari’ della storia della Casa d’Accoglienza dove, oggi, come ci dice la Presidente, la provenienza degli ospiti è mutata per il considerevole aumento di nativi dell’Africa a fronte della vistosa diminuzione dei cittadini dell’Est Europa, prima prevalenti. Resta costante la presenza di italiani, mentre aumenta quella di asiatici e, seppure in minor misura, di sud americani. Mutata anche l’età: è diminuita la percentuale di ospiti con meno di 30 anni, raddoppiata quella di ultrasessantenni per i quali è più difficile trovare un lavoro. L’impegno dei circa 60 volontari, presenti in più turni, h 24, tra le pareti della struttura, è costante.
Un rammarico per la mancanza di volontari giovani. “Da poco ne abbiamo ‘arruolati’ cinque”, informa Rosy De Vecchi , incrociando le dita. “Non chiediamo a nessuno un impegno temporale maggiore di quel che sia disposto ad offrire, è sufficiente anche una sola presenza mensile – precisa – ciascuno può impegnarsi nel fare ciò che ritiene a sè più consono: dalla preparazione dei pasti alle pulizie, all’accoglienza, ai colloqui con gli ospiti, ai rapporti con i Servizi Sociali”.
Ricordiamo che, per e insieme ad ogni persona accolta e ai Servizi sociali di riferimento, viene definito un progetto individuale allo scopo di un pieno reintegro sociale. Tra i presenti, presso la tensostruttura di Piazza Mercato, c’è anche, in carrozzina, il più giovane degli attuali ospiti della Casa: un bimbo di tre mesi con la sua mamma. Protagonista, ci auguriamo, di una delle tante belle storie che hanno segnato il percorso compiuto dall’Avas. “Conserviamo legami di affetto e di amicizia con molti ospiti – chiosa Rosy De Vecchi – che ci danno lo stimolo a continuare la nostra non facile sfida”. Per quanto riguarda la giornata di domenica ‘la sfida’ si concede, verso le tredici, una affollata pausa conviviale (circa un centinaio i commensali) e, nel pomeriggio, divertimento con musica dal vivo.
Franca Galeazzi