Due sono stati gli inconvenienti che, in diversa misura, hanno provato a scombinare i piani azzurri. Giove Pluvio, in ottanta minuti di partita, ha riversato su Roma più della pioggia che di solito ha in serbo per tutto l’inverno. Poi c’è stato il famigerato “braccino”, espressione mutuata dal tennis che sta ad indicare la paura di vincere e che, sul più bello, ci ha messo lo zampino.
Nel caso, infatti, ha sgretolato in un amen le certezze italiane fino a quel momento granitiche. La somma delle due cose ha fatto sì che un match condotto con una certa autorevolezza dagli azzurri per almeno sessanta minuti rimanesse pericolosamente in bilico fino all’ultima sanguinosa azione. Quando il plurilaureato nel furto dei palloni, Zuliani (e chi se no?), ha messo in cassaforte il risultato imbrigliando il portatore avversario, con il Galles intento a giocare alla mano l’ultima chance del pareggio. Una lunga azione imbastita già nella loro area che si è arenata per la nostra perseveranza nel placcaggio senza quartiere.
Italia-Galles, quindi, si è chiusa secondo pronostico, con la vittoria dei ragazzi di Quesada che, per una volta, nel ruolo dei favoriti sono riusciti a non mandare tutto a gambe all’aria. In senso generale, una prova di maturità. Non esaltante, ma anche questo era nelle previsioni della vigilia, ma utile alla causa azzurra, considerato che adesso il Sei Nazioni ci riserverà gli impegni più proibitivi (per usare un eufemismo) che, pertanto, potranno essere affrontati con minore pressione sul groppone. Una partita, quella di ieri, condizionata, appunto, dal maltempo e, in conseguenza di ciò, infarcita di calci di spostamento, con il gioco alla mano ridotto all’osso e le battaglie aeree all’ordine del giorno. Partita non tecnicamente bella ma che ha comunque detto alcune cose.
Intanto, l’Italia per lunghi tratti è stata dominante in mischia e, soprattutto, in touche e non è certo una consuetudine. Metà del merito del dominio dei cieli va alla nostra accresciuta competenza e metà (ma del demerito) va ad un Galles che, spiace dirlo, è davvero ridotto ai minimi termini. Un disastro da qualunque punto lo si osservi. Quando si diceva nel pre-partita che i dragoni stessero vivendo il momento peggiore della loro gloriosa storia non ci si sbagliava, dunque, se non per difetto. Si diceva anche che nel Sei Nazioni la parola “facile” non è ammessa e gli ultimi dieci minuti hanno ribadito con forza il concetto.
Le buone notizie, tuttavia, finiscono qua, perché i nostri ragazzi hanno palesato ancora i limiti già visti nelle ultime uscite.
Il più impattante, sul quale urge una riflessione, resta l’incapacità cronica di andare in meta e, al contempo, di subirne più del dovuto. Cinque marcature rimediate dalla Scozia, due ieri nel bel mezzo della imbarcata che ci è costata, nell’ordine, due cartellini gialli, una marea di falli commessi, una meta tecnica e un finale da infarto. Il tutto in un pugno di minuti. Non per essere pessimisti ma con la Francia, qualora non cambiasse il registro, si rischia la marea blu.
A segno, invece, ci è andato Capuozzo su invenzione di Garbisi (in gran forma), nell’unica azione d’attacco degna di nota in ottanta minuti. Troppo poco. Una vittoria, pertanto, costruita ancorando il gioco alle fasi statiche, alla capacità di costringere al fallo di frustrazione gli avversari e, quindi, all’iniziale precisione al piede di Allan, poi un po’ persa per strada. Per il gioco arioso della gestione Crowley se ne riparlerà un’altra volta. Ma non è il caso di essere troppo schizzinosi: una vittoria serviva come il pane ed una vittoria è arrivata.
Ecco, per il proseguo del torneo era forse meglio non lasciare il punto di bonus difensivo ai gallesi (non sia mai che si finisca con un malaugurato “cucchiaio di legno” qualora questo disastrato Galles facesse un miracolo contro una tra Inghilterra, Irlanda e Scozia) ma portare a casa queste partite da favoriti, e non lo siamo praticamente mai, significa aver messo un piccolo tassello sul nostro percorso di crescita. Quante volte, del resto, abbiamo fallito la prova del nove? Ieri, finalmente, non è successo.
Chissà, grazie anche al calore di uno stadio pieno (per la verità pure di gallesi) e all’aver fatto tesoro di tante passate onorevoli sconfitte. Tornando al match, col senno del poi viene da chiedersi il perché, avanti abbondantemente nel punteggio, ci si sia accontentati di calciare le punizioni tra i pali rinunciando alle touche, esercizio che ci vedeva dominare in lungo e in largo. Mentalità, si dice in questi casi, quella che porta a riconoscere il momento propizio per dare una spallata alla partita. Qualcosa che si acquisisce, un pezzetto alla volta, non si compra.
In definitiva, una giornata assai importante per il rugby azzurro. Positiva nei risvolti già nell’immediato, perché, se l’idea è quella di ben figurare con la Francia, potremo vantare un avvicinamento ottimale proprio grazie ai benefici psicologici di questo successo. Poi, dopo una settimana di critiche financo eccessive, si è pure sbloccato Capuozzo, la nostra imprescindibile quota fantasia. Ange che, a quanto pare, deve avere un conto aperto con il Galles, perché finisce sempre per fargli molto male, e non serve spiegare il perché, per lui, incontrare la Francia non è mai un accadimento come gli altri. Ci siamo svegliati questa mattina con la consapevolezza di aver fatto la nostra parte e, ci si augura, con tanta voglia di fare di questo successo un punto di partenza e non di arrivo. In ogni caso, grazie di cuore.