L’errore culturale di Ghali, il migrazionista- di Fabrizio Fratus

L'idea che ogni luogo sia uguale non tiene conto del fatto che ogni paese ha una propria identità e una cultura unica, plasmata da esperienze e valori tramandati di generazione in generazione

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In questi giorni è tornato il tormentone San Remese del cantante Ghali che in varie ospitate presenta la sua canzone “casa mia”. Il messaggio della canzone di Ghali, che invita a considerare ogni posto come “casa di tutti,” propone un’idea di appartenenza universale, un sentimento di fratellanza globale che trascende confini e nazionalità. In realtà è un’idea completamente errata, ogni luogo è profondamente unico e segnato da una storia specifica, fatta di sacrifici, lotte e progressi.

Le civiltà e le culture che ci circondano sono il frutto di generazioni che hanno contribuito a costruire, con il loro lavoro e i loro valori, la realtà in cui viviamo oggi. L’idea che ogni luogo sia uguale non tiene conto del fatto che ogni paese ha una propria identità e una cultura unica, plasmata da esperienze e valori tramandati di generazione in generazione. La patria rappresenta molto più di un semplice luogo: è la somma delle tradizioni, della lingua, dei costumi e delle esperienze storiche che legano le persone. Ignorare queste radici e questa unicità può risultare non solo irrispettoso verso i sacrifici del passato, ma anche riduttivo rispetto al significato stesso di identità collettiva.

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Avere rispetto per la storia e per il percorso di un popolo non significa negare l’importanza dell’apertura e del dialogo con il resto del mondo. Al contrario, comprendere le proprie radici e apprezzare la storia del proprio paese può rappresentare un punto di forza per un dialogo costruttivo con altre culture. Conoscere e valorizzare le differenze, quindi, non significa respingere gli altri, ma riconoscere il valore delle proprie tradizioni e dei propri sacrifici, rendendo il concetto di “casa” non solo un luogo fisico, ma una dimensione spirituale e culturale che non può essere scambiata o omologata.

L’idea di un internazionalismo indistinto può sembrare a molti un atto di idealismo o di apertura, ma conduce ad appiattire le ricche diversità che compongono le identità di ogni popolo, la mondializzaione. Come specificato ogni cultura è frutto di una storia unica, costruita con fatica e sacrificio. Questa storia rappresenta una delle espressioni più profonde dell’identità collettiva, e ridurla a un’idea generica di “casa comune” può facilmente risultare in una mancanza di rispetto per le esperienze, le lotte e le conquiste che hanno segnato le generazioni passate. Quando figure pubbliche come artisti e celebrità veicolano messaggi così semplificati possono non riconoscere il valore storico e culturale che ogni popolo porta con sé. Ogni tradizione e ogni cultura ha una profondità che merita attenzione e rispetto, non solo per tutelare il passato, ma anche per arricchire il presente con le lezioni della storia. La diversità di civiltà, usanze e lingue è una delle più grandi ricchezze dell’umanità e merita di essere preservata.

Apprezzare le differenze e comprendere le radici di ciascun popolo, infatti, è fondamentale per un internazionalismo autentico e profondo, che rispetti le individualità senza cancellarle. In questo senso, si potrebbe dire che il vero rispetto universale non è quello che omologa, ma quello che riconosce e celebra le peculiarità, consapevole che un dialogo tra identità forti e rispettose arricchisce tutte le parti coinvolte.

Fabrizio Fratus

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