MILANO KABULย ย Le notti “che non passano mai col terrore che qualcuno bussi e ti porti via per ucciderti o stuprarti”. Le giornate a digiuno “perche’ l’appetito non c’e’ piu'”, i messaggini tra loro per avvertirsi dei ‘movimenti’ dei talebani, le “foto di famiglia bruciate” per proteggere i loro cari. La sensazione di sentirsi “topi in trappola”. Questo e altro raccontano da Kabul “nei loro audio strozzati da un nodo in gola” le trenta donne afghane “dai 25 ai 45 anni” attiviste dell’organizzazione umanitaria milanese Pangea.
Una fonte della onlus spiega all’AGI che, da quando sono cominciati i rastrellamenti dei talebani casa per casa, i contatti con “le ragazze” sono continui, ma con prudenza: “Messaggi al mattino e alla sera che cancelliamo subito perche’ la sensazione e’ di essere in un ‘Grande Fratello’, la paura che prendano i loro telefoni e’ tanta”.
“Ieri le ragazze che vivono sole – prosegue una dei responsabili di Pangea – ci hanno riferito di avere bruciato le foto dei familiari. Se dovessero prendere loro, vogliono eliminare ogni traccia delle loro radici. Domenica avevano distrutto su nostro consiglio tutti i documenti di questi anni di attivismo. Quando glielo abbiamo chiesto hanno ripetuto che volevano continuare a salvare le donne del loro Paese, ma le abbiamo convinte dicendo che prima devono salvarsi loro facendo l’esempio della maschera dell’ossigeno che deve essere indossata in aereo prima di soccorrere gli altri”.