La verde, geniale milonga di Dejan Bodiroga. Estro serbo, alla massima potenza di poesia

L'omaggio di Teo Parini per i 52 anni del grande cestista che disse NO all'Nba

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Milano, negli anni Novanta, di geni per le strade ne aveva ben due. Curiosamente, entrambi di nome facevano Dejan e ciò ne rendeva palese la provenienza balcanica. Savicevic e Bodiroga, infatti, nel nostro paese ci arrivarono dalla Jugoslavia, poco prima che quella gloriosa terra fucina di talento venisse spazzata via da guerra e sciovinismo imperiale, in un mondo in procinto di ridursi a unipolare. Balcanizzata, si dice così, con tutta la nostalgia del caso.

Dejan, lato soccer, è quello della parabola perfetta disegnata con il piede sinistro nel cielo di Atene. Il visionario che ha fatto sì che pigrizia e indolenza sul campo da calcio assurgessero ad imprescindibile virtù. Dejan, lato basket, è probabilmente il più forte giocatore di ogni epoca a non aver frequentato i ground della lega americana, l’NBA. Mica perché gli scout d’oltreoceano non lo volessero, anzi, perché gli slavi sono fatti così, nel migliore dei casi poco inquadrabili nel perimetro degli schemi mentali ai quali siamo abituati. Eterodiretti, così come sono, dal cromosomico talento.

Grazie, signori, ma io resto qui. Con i Sacramento Kings che ricevettero un no categorico che, a suo tempo, deve averli fatti parecchio incazzare. La guerra a cui s’è fatto cenno poc’anzi, quella che spegnerà il sogno della Jugoslavia dei popoli fratelli, è ormai innescata e Dejan, volendo continuare a fare ciò che meglio gli riesce, quindi il mago, decide di scavalcare l’Adriatico per tentare l’avventura in Italia. Trieste, all’epoca città che fa rima con basket, è pronta a spalancare le porte del palazzetto ad un ragazzo dal fare stralunato e nemmeno così aggraziato in abiti civili (ma solo in quelli) e che, palesemente, ha lo sguardo di chi ha qualcosa di epocale da nascondere. Il direttore dell’operazione è un altro di quei personaggi che meriterebbe un discorso a sé, ed è inutile palesare la sua provenienza. Si chiama Bogdan Tanjevic, ovviamente, ma a dire il Vate non si creano ambiguità. Uno che il basket, più che insegnarlo, lo plasma a sua immagine e che, prima di tutti quanti, capisce che Dejan Bodiroga è destinato a sollevare l’asticella del gioco decisamente più in alto di quanto l’abbia trovata.

Bogdan, parlando di Dejan e sembra il titolo di un film, lo ha sempre definito il “Magic bianco” e il perché non è difficile da comprendere. Quando un giocatore che passa i due metri palleggia come un play, ha i tempi di un metronomo, la visione di una macchina del tempo e buca la retina come una guardia, se non si è di fronte alla perfezione poco ci manca. Quella del Johnson della città degli angeli, appunto. Per nostra fortuna, Bodiroga ama L’Europa e, così, ce lo siamo potuti godere da vicino, fino alla fine. La sua storia cestistica si apre a Trieste ma, da lì a poco, il signor Stefanel – il Patron, come si diceva quando a dettare legge non erano fondi di investimento e petrodollari – sposta armi e bagagli a Milano, la casa delle Scarpette Rosse che vivono un momento poco rispettoso per la loro gloriosa storia. Insomma, non vincono nulla da troppo tempo.

L’anno è il 1995 e con la stessa canottiera sulle spalle si ritrovano insieme: Bodiroga, Nando Gentile, il cuore matto, Rolando Blackman che, lui sì, in NBA ha già fatto sfracelli, Gregor Fucka, l’airone, Cantarello, la classe operaia in paradiso. In panca, quale sesto uomo di lusso e prima scelta nelle rotazioni, il lupo Portaluppi, quello che il tiro da tre è esercizio di routine. Il Vate, allora, ha per le mani qualcosa di esplosivo ma maledettamente giovane, la tipica situazione da tutto o niente. Bodiroga, di quel team, diventa, così, la trasposizione da bello a vincente. Non serve ricordare chi si aggiudicherà quel campionato, con Milano che torna a respirare basket e riempire il palazzo di una passione color fuoco.

Bodiroga, al termine della cavalcata, saluta tutti. Perché ad attenderlo c’è il Real Madrid dove resterà un paio di stagioni prima di trasferirsi in Grecia, lato Panathinaikos. Ecosistema rovente dove Dejan dà il via al suo rapporto privilegiato con la Coppa Campioni o come diavolo si chiama oggi. Da protagonista, se non da dominatore, ne solleva due in Grecia e, poi, pure una terza con la casacca blaugrana del Barcellona. La musica non è troppo diversa quando veste i colori della sua nazionale. Chi ha Bodiroga come compagno vince. Infatti, con la canotta della Jugoslavia e delle sue derivazioni successive, Dejan mette in bacheca due ori mondiali, un argento olimpico e tre ori europei. Più che un palmares, un saccheggio.

Chiuderà cerchio e carriera in Italia, a Roma, dove, seppur in assenza di trofei, incassa nel giorno dell’addio al basket una standing ovation inesausta da un pubblico trasversale che comprende l’aspetto più importante. Per il basket, Bodiroga ha creato un prima e un dopo. Tipico spartiacque, uno che, se proprio il gioco non l’ha inventato, lo ha rivoluzionato.
Due, per finire, le curiosità. La prima lo lega al numero sette. I minuti iniziali di ogni match nei quali Bodiroga, così narra la leggenda, volutamente era solito non prendersi nemmeno un tiro per studiare attentamente gli avversari, identificando le debolezze. La seconda, che è anche uno dei tasti più dolenti per gli aficionados dediti alla bellezza dello sport quale paradigma d’arte e vita, è frutto di una meravigliosa parentela. Dejan è cugino di Drazen Petrovic. Forse il più grande di tutti, ragazzo prematuramente scomparso in quel fottuto incidente. Morale, quando il DNA non mente.

Antesignano del gioco totale – un Cruijff della palla a spicchi, volendo azzardare un paragone calcistico – se parliamo oggi di lui è perché, proprio oggi, spegne cinquanta più due candeline. Dalle poltroncine del palazzo gremito eravamo soliti dedicargli un coro anticamera dell’inevitabile sentenza. “Prima va a destra, poi va a sinistra, prende la mira e ciuff!”. Se continuiamo a guardare a ritroso, peccando di lungimiranza, è solo perché, realisticamente, quando capiteranno ancora, non uno, due Dejan sotto lo stesso cielo?

Tanti auguri, Genio.

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