Ho appena concluso le puntate 7 e 8 della straordinaria serie che Sky ha dedicato alla storia degli 883, di cui non sono né sono stato a quell’epoca un particolare fan. Ed eccola la grandezza di Sidney Sibillia (pare si chiami davvero così..), Francesco Ebbasta (idem) e Alice Filippi (per fortuna un quai cos da nurmal….): la perfetta, aderente, straordinaria verosimiglianza tra la ‘finzione’ riprodotta sullo schermo e quello che eravamo.
Chi è nato tra 1968 e 1975, e/o dintorni, viene stordito, frame dopo frame, dalla riproduzione di musiche, odori, sapori, luoghi che appartengono a quella golden age mai rimossa e mai rimuovibile dei nostri 18-20 anni.
Tutti avevan(m)o dei sogni, quasi nessuno li ha tramutati in realtà, non siamo diventati artisti famosi né abbiamo incontrato il carisma luminoso di profeti come Claudio Cecchetto (Roberto Zibetti caratterista supremo, al pari di molti altri), Silvia (la bellissima Ludovica Barbarito) è quella davvero figa che tutti sognavamo di farci, ma noi normali non ce la siamo fatta mai.
Cisco (Davide Calgaro, rilevantissimo talento attoriale) è il prototipo non definibile grammaticalmente ma presente in ogni compagnia. Max e Mauro (Elia Nuzzolo e Matteo Giuggioli, da Oscar la battuta ‘io sono la Whitney Houston del Ticino’) li sentiamo aderenti al vero perché siamo stati quella cosa lì. E chi ha oggi 20, 25 o 30 anni coglie la grandezza della loro universalità, replicata oggi sullo schermo ed ovviamente non replicabile, perché fedele al vero. Non artefatta. Autentica.
Siamo stati quella cosa lì, motorini senza casco, Golf color panna, locali sfigati, birre scure (altro che birre artigianali: abbiamo ingollato ettolitri di benzina e vodke alla menta prodotte in raffineria), ormoni a palla, cassettine, bigliettini, pizzini alle ragazze, telefonate di e da casa.
Nel 93-94 ricordo che sulle panchine della piazza di Robecco (avevo cominciato a leggere Nietzsche, ovviamente dopo essere stato bocciato al Liceo: uno dei tanti che non filavo manco di striscio a scuola e riscoprii ex post) dissi qualcosa come ‘ma cazzo Vasco almeno è nietzscheano, gli 883 sono superficiali’. E un amico digiuno di filosofia, ma non di buonsenso, mi mandò a fare in culo. Aveva pienamente ragione.
E chi non c’è andato in camporella sentendo Come Mai dalla cassettina infilata nell’autoradio (i Cd sarebbero arrivati di lì a poco), vetri appannati e condensa, grilli nelle sere d’estate, geloni e brividi in quelle d’inverno? Tutti, ci siamo andati. Tutti. Chi ammette e chi nega, i secondi sono bugiardi (o sfigati perché non andavano in camporella).
Si può sognare tra Garlasco, Bereguardo, Abbiategrasso, Magenta, Morimondo e la 526, le ‘location’ tutte attorno a Pavia che rivivono nella serie, e che riecheggiano negli occhi e nella memoria.
Siamo spargitori di ruffianeria spavalda quando noi over 50, o appena under, bofonchiamo ‘noi sì che eravamo fighi, ergo migliori, dei 20enni di oggi’. Tutte cazzate. Però eravamo quelli, eravamo loro. Eravamo questi. E quell’universalità, diffusa dal piccolo schermo e irradiata con soave leggerezza, ci riporta a quel finto Eldorado anagrafico dal quale ovviamente abbiamo rimosso le cose meno piacevoli, facendo finta (con un astuto gioco memoriale) che fosse tutto come negli album degli 883.
Bravi Sidney, Ebbasta, Alice, Elia, Matteo, Ludovica, Davide..
C’avete ritratto perfettamente. Divinamente. Trasformati, trasletterati. Eravamo perfetti, nella nostra imperfezione da cazzari impenitenti.
PSSSS Scrivendo (come sempre) di getto e prima stesura, e senza rilettura, ho COLPEVOLMENTE dimenticato Alberto Beto Astorri da Boffalora sopra Ticino,che interpreta il papà di Max: la sua espressione quando crede che il telegatto o telecazzochecosa vinto dal figlio fosse di oro zecchino è impagabile. Beto, che conobbi molte lune fa grazie a Giovanni Parini, è interprete di una splendida poesia recitata in Ventre di Venere dei Gamba de Legn. Andate ad ascoltarla…
Fab. Pro.