La regia di Sara, le barricate di Andrea: lo Slam è servito a New York

Teo Parini rivive la grande vittoria nel doppio misto

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Molti diranno, storcendo il naso, che è solo il doppio misto. Dall’alto del loro divano, come se vincere una competizione comunque elitaria fosse roba da tutti i giorni. Infatti, fino a ieri, una coppia interamente azzurra mai era arrivata a tanto. Dove, invece, hanno messo le mani Sara Errani e Andrea Vavassori, bravi a disporre della coppia di casa composta da Townsend e Young, quest’ultimo all’ultima partita di una carriera che quindici anni fa prometteva assai più di quanto poi abbia capitalizzato, per aggiudicarsi lo Slam newyorkese.

E se per Sarita non è certo una novità, lei che in bacheca i Major di doppio li ha piazzati tutti, per Wave si tratta di una prima assoluta, dopo aver sfiorato il bersaglio grosso con l’amico Bolelli sia in Australia che a Parigi. Così, l’Italtennis può adesso annoverare un nuovo campione Slam come Andrea. Di Errani c’è davvero poco da dire, se non che oggi la coppia di doppio più forte al mondo è sempre composta da lei più un partner a scelta. Olimpionica con Jasmine Paolini, regina degli Us Open con Andrea Vavassori. Giocatrice straordinaria già un ventennio fa, Sara non ha mai smesso di lavorare sodo per aggiungere, ogni volta, qualcosa di nuovo al suo gioco. Oggi, per dirne una, non c’è collega in circolazione che abbia la stessa sua competenza nel gioco di volo. Due parole in più le merita, invece, Andrea, che al grande tennis si è affacciato relativamente tardi, quando in lui erano rimasti in pochi a crederci. Fino ad un anno fa, le sue comparsate nel circuito maggiore si contavano sulle dita di una mano perché il suo status era quello di giocatore da Challenger. Purgatorio tennistico dove ogni boccone di pane duro costa una fatica bestiale e una vittoria può valere sì e no una manciata di euro. Un tritacarne feroce. Poi la svolta: qualche bel risultato in ATP, il tabellone principale del Roland Garros e due turni superati, qualche scalpo interessante. Tuttavia, che fosse depositario di un tennis di qualità era noto da tempo, tanto che i più romantici parlavano di lui simpaticamente come del Rafter italiano, fatti i sacrosanti paragoni.

Un gioco antico, il suo. Dici Wave e pensi ad un assalto all’arma bianca del fortino, con la conquista della rete quale identitaria ragione di vita tennistica. Come una volta, come non si fa più. Rovescio ad una mano quale cifra stilistica che più azzeccata non si può e relativa competenza nell’uso delle rotazioni, con il taglio indietro a suonare la musica degli albori. Dritto ficcante perché colpito praticamente piatto ed efficace sia sulle traiettorie classiche che a ventaglio, ciò a denotare una certa mobilità. Il servizio, poi, è robusto e sufficientemente vario, ottimo lasciapassare per l’approccio a rete e fonte di un buon numero di punti diretti. E poi c’è la volée, il suo esercizio più confortevole. Somma di riflessi, posizionamento e tocco. Un tuffo nel passato, in un tennis che ha ceduto il passo agli stereotipi attuali, sparagnini e troppo spesso noiosi; tennis che Wave prova a far sopravvivere.

Degna spalla di una gigantesca Errani che, infatti, lo adora e non ne fa mistero. Tornando al match di ieri, si è assistito all’esibizione di due ottimi doppista, un docente universitario in gonnella e di uno, al contrario, decisamente improvvisato come Young e ciò ha finito per indirizzare le sorti del risultato. Townsend, la sua compagna, ha provato a caricarlo sulle sue spalle ma non le è stato sufficiente, un deficit di competenza troppo grande da colmare anche per una giocatrice della sua specifica bravura nell’arte del doppio. In casa azzurra, la sapiente regia di Sara ha potuto beneficiare di un Andrea in versione portiere, capace di innalzare un muro praticamente insormontabile per il duo di casa. Nel soccer, il sodalizio sarebbe quello di Pirlo e Buffon dell’annata 2006. Due set comunque combattuti e dallo score tirato, ma la netta sensazione che gli azzurri mai avrebbero potuto perdere la partita. Così è stato.

E’ doveroso sottolineare ancora una volta l’eccezionalità di questo periodo storico in casa Italia. Dove la presenza di uno o più connazionali nelle fasi conclusive di un Major è ormai la radicata consuetudine. Non di solo Jannik, dunque, vive il tennis di casa nostra: dopo decenni di vacche magre è arrivato per noi il tempo di passare all’incasso. Birra ghiacciata e tivù sintonizzata.. la magia continua.

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