Stefano Senardi, una sorta di esterofilo culturale e musicale sin dagli esordi, è il punto di congiunzione in un mare di espressioni artistiche che lo rendono, a tutti gli effetti, un genio nel precorrere i tempi, lanciando artisti che poi sono diventati famosi grazie a dischi meravigliosi, ma anche produttore di colonne sonore cinematografiche o acquisitore di prodotti televisivi che, importati in Italia, riscossero grande successo.
La scintilla della sua passione si accende appena bambino, grazie alla scoperta della musica dei Beatles, risvegliando in lui un interesse internazionale per la musica che da discografico, lo avrebbe portato a lavorare persino con star del calibro di Madonna.
Ha portato al successo all’estero grandi nomi italiani, così come promosso i Simply Red in Italia, per esempio, ma i nomi sono così numerosi che non è possibile citarli tutti.
Già stato presidente della Polygram Italia, poi direttore della CGD East West, nel 1999 fonda la propria etichettaNUN Enterteinment.
Mentre la NUN festeggia il 25. dalla sua fondazione, è di questi mesi l’uscita del suo libro autobiografico “La Musica èun lampo”, edito da Fandango Libri, nel quale racconta tutta la sua esperienza umana e discografica, passando per quella scintilla che lo pervade da sempre e che lui descrive come un lampo che gli attraversa ogni fibra.
Da questa pubblicazione, hanno preso avvio tante presentazioni aperte al pubblico, in tutta Italia, come un autentico tour, dove la partecipazione è altissima e l’accoglimento pieno di entusiasmo.
Inoltre, è disponibile su Spotify una playlist di circa 18 ore, con i brani che hanno accompagnato le vicende del libro.
Quella che segue ora, è la generosa chiacchierata che ho avuto la fortuna di intrattenere con lui, dalla quale emerge l’importanza della musica quale valore imprescindibile per il benessere, ma anche di più: con Senardi si va alle origini stesse della musica, con un pizzico di poesia e non senza qualche critica, ai sistemi odierni di promozione, ma con una buona notizia: il 70% del mercato appartiene ancora alla buona musica!
Come è stato scegliere i momenti salienti per il suo libro “La Musica è un lampo”?
Per riuscirci, nel corso di due anni mi sono dedicato alla raccolta di tantissimi ricordi e cimeli della mia carriera. Dopo un trasloco, avevo trovato prima migliaia di biglietti dei live come di un semplice appassionato di musica, poi altrettanti pass di tutti gli eventi ai quali mi ero dedicato quando sono diventato un discografico, e straordinariamente dal 1974, quando ero proprio un ragazzino, ho collezionato quasi tutti i biglietti. Ne ho ricavato così una specie di antologia, con le recensioni dei concerti, che era l’idea di base; poi invece mi sono fatto trascinare, ho iniziato a scrivere, e sono emersi ricordi sufficienti per mettere insieme 30 capitoli della mia esperienza artistica e della mia passione. Ho trovato anche delle fotografie dagli anni Settanta ad oggi, che mi vedevano collocato in tanti momenti di questa passione per la musica.
Presa la mia decisione, ho firmato il contratto con la Fandango, per consegnare il libro, che avrebbe contenuto anche una 50ina di illustrazioni, e i tre mesi prima di consegnarlo, sono stato colto da un impeto illuminante, e mi sono saltati fuori altri 32 capitoli e a quel punto, illustrazioni, biglietti e fotografie sono diventate 400. Man mano che andavo avanti con i racconti, mi sono reso conto che andavo avanti con i racconti, che per me è stata una esperienza bellissima, come la sensazione durante le presentazioni pubbliche del libro, alcune accompagnato da artisti, come Manuel Agnelli, come Diodato, per cui abbiamo avuto incontri con il pubblico che spaziavano dalle 50 persone sino alle 2000 addirittura!
Siamo stati con Manuel in Puglia l’anno scorso, al festival de Il Libro possibile, al Salone del Libro di Torino, per me è stata un’esprienza divertentissima ed anche una medicina, a riprova che la musica ha anche un valore terapeutico. La partecipazione è stata sempre fortissima, e siccome sono tante le storie, secondo il tipo di pubblico, cerchiamo ogni volta di cambiare un po’ la selezione e la prospettiva per la serata, ma fondamentalmente, è un libro che racconta una grande passione per la musica come una delle esperienze culturali e spirituali più importanti della vita di ogni essere umano.
E qui mi sorge la domanda: secondo lei esistono persone non in grado di godere della musica? Se si, che tipo di persone saranno?
Bhé… Se ci sono, sono dei disgraziati! (ride). Immagino sia quasi impossibile non provare nulla grazie alla musica. Addirittura, ci sono degli studi che affermano che probabilmente è nato prima il canto della parola, e che gli uomini delle caverne con il canto non solo corteggiassero la loro compagna o andassero a caccia e a combattere i nemici, ma che in qualche modo si difendessero con il canto dalle bestie feroci, è così la musica ci accompagna tutta la vita, dal battito del cuore quando siamo ancora nel ventre materno, sino alle marce funebri. Capita a tutti quando siamo in un momento particolare della nostra vita, la musica può avere l’effetto di aiutare, di consolare, è straordinario anche il potere che ha per evocare sensazioni e sentimenti, ricordi del passato… Scrivendo questo libro mi sono proprio ritrovato dentro alle sensazioni provate in altri momenti della mia vita, che man mano nel tempo avevo come accantonato in un angolino, ma poi tutti i ricordi riemergevano insieme tutti i brani musicali rimasti sopiti nella mia testa. È un po’ come quando ti svegli la mattina, senti una musica e non puoi fare a meno di continuare a cantartela nella mente.
Ho provato a fare una playlist su Spotify che fosse ispirata ad il mio libro, e ne è venuta fuori una che dura 18 ore! (ride)
E secondo lei la musica oggi può avere ancora un ruolo particolare, al di là di quello individuale?
Si ce l’ha ancora però in un modo diverso. Per due motivi: prima di tutto, noi che deriviamo dagli anni Settanta, abbiamo vissuto in un periodo in cui la musica faceva parte ed era essa stessa una specie di rivoluzione, non era solo una colonna sonora. La musica ci aveva aiutato ad imparare come stare insieme, come vestirci, come tenere i capelli, e pur non essendoci ancora Internet, conoscevamo la musica che si suonava dall’altra parte dell’oceano o dall’altra parte della Manica, e questa musica era particolarmente sentita, era bella e in tutti i suoi diversi generi, era espressione di grandissimo talento e di una sensazione che avevamo tutti a quei tempi, che il mondo si potesse cambiare e potesse diventare un mondo migliore. In quegli anni furono fatti quindi tantissimi progressi e passi avanti, soprattutto nell’universo giovanile. E questo nei termini del costume e della politica, della cultura, del cinema, alla letteratura, della sessualità, non solo quindi della musica stessa. È chiaro che in una situazione di così grande euforia e di ottimismo, si crearono anche diversi danni non di poco conto. La musica prima giocava una parte da leone, oggi è diverso anche perché mentre noi raccoglievamo i soldi e poi uscivamo di casa, prendevamo l’autobus per andare in un negozio di dischi, e poi ci stavamo un’oretta per scegliere il disco giusto, tornavamo a casa, e ce lo studiavamo insieme alle note e alla copertina, ce lo mettevamo su un piatto e poi ci mettevamo il braccio e la puntina sopra; adesso invece con un semplice click su Internet, hai già fatto tutto. Si è persa un po’ di qualità dell’ascolto e un po’ di tutta una ritualità e un modo di consumare la musica che era decisamente diverso: dovevi proprio voler bene alla musica, per andartela a comprare e poi ascoltartela. Adesso è più casuale, a volte è un sottofondo.
Ma in tutto ciò quanto pesa il ruolo delle radio?
Si, eccome! Hanno un ruolo e per quanto mi riguarda mi auguro che, come sta succedendo, che ritornino ad averne uno sempre più importante. Io sono cresciuto con le radio. Da ragazzino i dischi famosi che conoscevo, come tanti degli appassionati dai 12-14 anni in su, li conoscevo grazie alle radio e la mia passione è esplosa a quell’età sempre grazie a loro. Ascoltavamo questi programmi di queste stazioni europee che trasmettevano di notte, e molte volte di nascosto perché andavamo alle medie.
Poi ci sono stati i programmi della RAI, anche quelli erano dopocena. E pian pianino sono nate le radio private. La storia un po’ la conosciamo tutti, ma oggi la radio può servire a molto ma dovrebbe di nuovo riavvicinare il pubblico ed io ci conto. Lo spero tanto! Non solo per quelli della mia generazione ma anche per i giovani che vogliono sapere di più e sviluppare una conoscenza più ampia della musica.
Alla fine, al di là del fatto che i brani più ascoltati siano tutti questi di questi nuovi artisti, a livello di valore di mercato, cosa che poi non dice mai nessuno, il 70% della musica consumata e valorizzata e acquistata, è ancora quella dei grandi cataloghi dei grandi classici. Il 30% fa la parte del leone e quello che riempie certi stadi e che prende i primi 10 posti in classifica. Ma è un 30% che fa molto rumore, e che oggi i dischi di platino si sprecano perché si va a botte di click e non di valore reale, come quel gesto volontario che spingeva ad andare nel negozio di dischi, e cercarci il nostro disco. Adesso è un po’ differente, ma ho l’impressione che siamo un po’ in una bolla per cui, inevitabilmente si tornerà anche ad una musica un po’ più strutturata. La metto così per non fare la figura del vecchio che si lamenta sempre! (ride). Oggi è un po’ più complicato, anche se la pandemia ha dimostrato la forza della musica, che appena è ricomparso un raggio di sole, siamo usciti tutti sui terrazzi a cantare per cui, è stato un altro segnale della bontà della musica.
Sarebbe molto bello che in un Paese come l’Italia, la musiva venisse insegnata nelle scuole e fosse obbligatoria, almeno nelle scuole dell’obbligo, perché fa bene e perché quando c’erano i locali, dove si poteva andare a suonare, o ad ascoltare la musica, erano anche luoghi di aggregazione, che facevano in modo che i ragazzi stessero più a suonare e ad ascoltare musica piuttosto che come ora, che, stanno in strada a prendersi a botte come fanno negli ultimi anni, sui Navigli per esempio, nei fine settimana.
Ecco: infatti lei è uno dei discografici più importanti d’Italia. Cosa potrebbe portarla ad un secco rifiuto nei confronti di un giovane che le proponesse qualcosa e come reagiscono in genere i giovani di oggi?
Per essere del tutto onesto, le dico prima di tutto che da 10 anni, siccome ho già dato come discografico per 40 anni, e ricevevo tantissime proposte che poi con i social si sono moltiplicate, con richieste di ascolto e di pareri, e di consigli; io ad un certo punto, dal momento che ci perdevo tantissimo tempo, e poi ne facevo perdere anche a quelli che si aspettavano da me chissà cosa, visto inoltre che con le nuove tecnologie, ad un certo punto, tutti si sono messi a fare musica in casa, ma non tutti hanno il vero talento per farla, oggi poi c’è anche l’autotune che è tutta un’altra cosa, ma non voglio avventurarmi anche in questo discorso, di quanto si sia intonati o stonati, perché quello non conta, la bontà per rispondere alla prima domanda, di un artista, è la sua originalità. La sua unicità.
È meglio un artista originale ed unico che uno che magari prende spunto da grandi musiche e affini, o del passato, piuttosto che inventare cose sue, anche se molto intonato. Poi valuto una forte personalità e carisma, valuto le sue doti, e la capacità di mischiare diversi generi. Magari uno semplicemente intonato ripete in maniera pedissequa qualcun altro.
Di rifiutare mi è capitato quando ho abbandonato la presidenza della Polygramm, e mi son messo in proprio aprendo la NUN, una piccola etichetta, e le richieste erano infinite, con questa facilità di registrarsi i dischi a casa. Un proliferare di vocal coach in ogni quartiere d’Italia. Poi ci sono stati i talent che hanno avuto il grande vantaggio di riavvicinare i giovani alla musica ma anche lo svantaggio di creare delle illusioni: sembra che sia troppo facile diventare famosi.
Oggi i ragazzi non pensano che essere famosi sia una conseguenza dell’essere bravi, pensano invece che sia un obiettivo. Non dev’essere così! E mi è capitato qualche volta che magari soprattutto a quelli che venivano accompagnati da qualche parente, o da pseudo manager, di re “guarda così non mi piace, non mi convince”, e poi quello fosse ancora peggio che dire “non ho tempo”… Perché dopo bisognava spiegargli per filo e per segno il come e perché, mentre invece si potrebbe esprimere in parole. Con un po’ di esperienza, capisci subito e non ci sarebbero da fare tanti discorsi. Molti di quelli rifiutati non lo accettano e non lo ammettono. Non accettano critiche. Allora diventa un problema spiegarglielo senza dare l’impressione di essere cattivi.
A quel punto ho deciso di fare un passo indietro. Anche perché non è neanche un grande periodo storico per i talenti. I veri talenti quelli che stanno cercando di fare ricerche per trovare qualcosa di originale, non hanno spesso neanche gli spazi per provare. A scuola non si parla di musica, e la musica che va per la maggiore, è in mano a pochissimi. Agenzie, pochissime case discografiche, e a pochissimi manager. E soprattutto pochissimi autori. I pezzi si somigliano un po’ tutti in questo momento. Per quelli che valgono spesso non c’è spazio, però con le radio con la nascita di nuovo delle lab, con una funzione inevitabile della musica, che come dicevamo all’inizio, fa parte proprio dell’essere umano, non potrà mai sparire. Ed improvvisamente torneremo come in un ciclo virtuoso, ritorneremo di nuovo ad musica più originale e più umana… Ora c’è anche il problema dell’Intelligenza Artificiale, non ne parliamo… Potrebbe essere molto utile ma se non si mettono delle regole, potrebbe anche essere un disastro.
Ora volevo porle una domanda sulla sua carriera. Lei è stato presidente e direttore di importanti case discografiche e poi ha fondato anche una sua etichetta. È stato difficile costruirsi una reputazione dal nulla?
Per quanto mi riguarda, posso dire che è venuto tutto abbastanza velocemente, anche perché pur avendo lavorato tanti anni in discografia, ho iniziato a 22 anni rispondendo peraltro ad un annuncio sui giornali, e poi con la mia passione, che prima ancora di iniziare a lavorare in questo settore, nonostante studiassi all’università, facevo anche il commesso in un negozio di dischi. Cominciavo a scrivere delle piccole recensioni… È una specie di febbre! Negli anni Settanta, era più facile far coincidere le proprie passioni con il lavoro, più di adesso sicuramente.
La passione fa tanto, l’importante è che, come per chi vuole cantare o suonare, o chi vuole avere successo ma non per diventare famoso, è che prima bisogna diventare bravi, poi eventualmente, come dicevo, la celebrità diventa una conseguenza. Bisogna studiare! Bisogna mettere la passione, però applicarsi, sentire tutto, anche le cose che non ti piacciono, leggere, farsi una cultura come si suol dire, poi le cose se devono succedere, succedono. Ci vuole un po’ di senso dell’umorismo, anche per lavorare in questo ambiente.
Bisogna sapere quando mettersi da parte, quando invece imporsi. E poi bisogna essere dalla parte della musica e degli artisti. Io lo sono sempre stato. Ed essere amico degli artisti penso sia stata sempre una delle mie fortune e questo forse mi ha un po’ agevolato; nonostante qualcuno più in alto di me, all’inizio della mia carriera, mi avesse detto che io non avrei mai fatto carriera, perché ero troppo vicino, e simile agli artisti con i quali lavoravo. Invece è stato proprio il contrario!
Tra questi amici, il Maestro Franco Battiato… Lei l’ha definito più volte proprio il suo migliore amico. Cos’ha capito di lui, durante la vostra amicizia?
Eh! Comprendere tutto Battiato non basta una vita! Ho compreso però tante cose. Finalmente mi ha aiutato ad essere migliore. Penso che siamo stati fortunati ad essere suoi contemporanei. Immagini che io non solo sono stato suo contemporaneo, che è tutto un mondo da scoprire, perché ci sono decine e decine di differenti livelli in cui si può conoscere comprendere e amare Battiato, anche solo ascoltarlo e ballarlo, dai testi a ciò che dice, è un uomo che ha passato la sua vita a continuare a cambiare, a crescere, e nella ricerca, che all’inizio è stata artistica e poi è diventata una ricerca nel suo mondo interiore.
Immagini una persona come me che era da giovane un suo fan, fin dai primi album, che da ragazzino nell’ ’81-’82, ha poi potuto realizzare un suo concerto, ad Imperia, nello stadio, e poi sono diventato addirittura prima un suo amico, discografico e poi davvero molto amico. Con lui ho girato il mondo. Siamo stati praticamente dappertutto, gli ho prodotto tre dischi, uno dei quali quello che contiene “La Cura”, “Gommalacca”, e poi “Fleurs”, capolavori e come se non bastasse tutto quello che ha fatto, Battiato è stato anche uno degli interpreti migliori che ci siano mai stati in Italia.
Lei a sua volta ha avuto sempre fiuto per precorrere i tempi. Cosa la metteva sulla strada giusta per riconoscere il prossimo successo, che ancora nessuno conosce?
L’unicità sicuramente. Ma quando qualcuno riesce trasmetterti soprattutto quel qualcosa che ti entra dentro, sotto la pelle, ma anche l’intelligenza, la bellezza di un pezzo: alla fine riconoscere qualcosa che è bello o brutto, è un attimo. Ci sono pezzi che colpiscono più di altri.
Penso che questo ovviamente unito all’allenamento, lo studio e la frequentazione, il fiuto migliora, è una dote che fa parte proprio dell’essere umano, di capire se una cosa è bella o brutta. È giusto che ci siano diversi pareri e livelli in proposito, però la musica bella ci accomuna tutti, difficilmente un grande artista, un grande brano o una grande sinfonia, è bella per alcuni e altri no.
Lei ha portato al successo grandi nomi italiani e grandi nomi internazionali al successo in Italia. Considerato che i canali di diffusione al grande pubblico a quei tempi erano molto differenti, era più complicato ed incerto l’esito nello svolgere queste operazioni?
No, direi di no. Adesso apparentemente è tutto più semplice. Però mi sembra che si stia lavorando, almeno per quanto concerne l’Italia, noi poi siamo specialisti nel prendere la piega non corretta su ceri fenomeni: a botte di click, ormai si assegnano dischi di platino! Il che è assurdo, ma al di là di questo, che non è neanche vero ma così fanno risultare dalle statistiche, si vede che il livello per vincere il platino ormai si è abbassato molto! (ride). Oppure vengono valutati i click molto di più che in altri Paesi. Ho appena letto un dato della Federazione della Discografia Italiana, che diceva che nel Festival di Sanremo di quest’anno, i concorrenti scelti da Carlo Conte solo loro hanno già totalizzato 285 dischi di platino… A me sembra una pazzia! Non riesco a comprendere né questi dati, né che vantaggio c’è a sbandierare un dato simile, perché, è come svilire l’importanza del disco di platino. Contenti loro, contenti tutti…
Nella sua carriera ci sono stati anche dispiaceri?
No, devo dire di no. Con tutta sincerità sono stato molto fortunato. Poi i dispiaceri a volte ci sono, ma sono più delle delusioni a livello umano. Ho cercato sempre di essere molto vicino alla musica e dalla parte degli artisti. Nemmeno in posizione di potere di discografico, ho mai pensato di considerarli una controparte. Questa scelta poi mi ha portato anche dei vantaggi, di cui posso ritenermi soddisfatto ancora oggi.
E quali nomi di artisti troveremo nel suo libro?
Ce ne sono diversi. C’è da Frank Sinatra, a Prince, Madonna, i Simply Red, tutti artisti per i quali ho lavorato e che ho incontrato. C’è dalla Vanoni a Gianna Nannini, a Carmen Consoli, Paola Turci, e soprattutto negli italiani ci sono nomi dei quali anche se non ne parlo, non è perché non mi piacciano, o perché siano meno bravi. Parlo soprattutto di artisti con i quali ho lavorato molto, ottenendo insieme dei grandi risultati; ma soprattutto con i quali nella maggior parte dei casi si sono creati poi rapporti di amicizia e di frequentazione al di là del lavoro.
E come nacquero le collaborazioni che la portarono a vincere i David di Donatello per le colonne sonore, dei fil “Diaz” e “Mare Calmo” e quanto conta una colonna sonora nel successo di un film?
I 2 David vinti sono nati fondamentalmente dalla mia collaborazione e amicizia con Domenico Procacci, che ad un certo punto era diventato partner della mia etichetta indipendente NUN, con la quale sono tuttora in grandi rapporti, infatti il libro è uscito proprio con la Fandango. Incontrandolo ancora a Roma, lui mi chiese se gli potevo dare una mano a stendere una colonna sonora della serie “La Squadra”, quella dedicata alla stagione dei grandi tennisti italiani. Lavorai quindi anche con altre persone e poi da lì, raccontai a Domenico che avevo quasi terminato un libro e lui non osava propormi di pubblicarmelo, poiché si ritiene una casa editrice piccola. Invece io ho ritenuto che quel libro che apparteneva al mio cuore, la mia vita interiore, dovevo darlo ad un amico; per cui, ho scelto la sua. Tra le colonne sonore invece, voglio ancora ricordare quella per un film di culto non campione di incassi, è “Paz!”, il film di Renato De Maria sul personaggio del fumetto di AndreaPazienza, grande fumettista bolognese. È una colonna sonora strepitosa, perché l’abbiamo fatta con pochissimi soldi ma con tanto amore e dedizione, e quest’anno, per i 25 anni della NUN, verrà ripubblicata. Nelle musiche c’è l’essenza della Bologna del ’76.
Ma per rispondere alla sua domanda, in Paesi nei quali la cinematografia è più evoluta, gli USA per esempio, la colonna sonora è una parte fondamentale ed imprescindibile del di un film. Pensiamo solo ai colossal. Se debbo pensare al miglior fil secondo me nel quale coincide perfettamente la colonna sonora, mi viene in mente “C’era una volta in America”, dove si sono incontrati due giganti come Morricone e Sergio Leone.
Lei è un grande esterofilo, infatti il suo primo ricordo affettivo collegato alla musica parte dal 1969, con i Beatles, ma poi a Londra sarebbe tornato spesso, sino ad importare moltissimi anni dopo, anche un prodotto come “Mr Bean”. Cosa le fece decidere che quel tipo di comicità così diversa, da quella di cui si era già occupato con Aldo Giovanni e Giacomo ed Antonio Albanese per esempio, potesse funzionare in Italia?
Esatto e non avrei mai detto che negli anni a venire mi sarei ritrovato a passeggiare per le strade di Bussana Vecchia con George Harrison. Riguardo a Mr Bean, lo scoprii nei grandi negozi di dischi mega store londinesi, dove avevo iniziato a lavorare e con la stessa “febbre” che avevo da ragazzino, perché c’era un settore dedicato a certi film e soprattutto oltre i clip musicali, c’erano quei VHS che ora non esistono più, dedicati ai comici.
Erano predominanti i comici in quel settore. MR Bean era un enorme fenomeno e ci misi tantissimo tempo a convincere la produzione a vendermene i diritti per l’Italia, poiché l’attore che impersona Mr Bean ama molto l’Italia e ci veniva spesso in vacanza, e temeva di essere poi riconosciuto e fermato dalla gente anche qui. Io pensai che fosse solo una delle loro tante battute snobbistiche all’inglese! Per il resto, l’impulso mio è stato sempre quello di guardare cosa facessero altrove nel mondo.
C’è qualcosa che vorrebbe raccontare ancora ai nostri lettori?
Si. Del libro che ho scritto con Francesco Messina, “L’Alba dentro l’Imbrunire”, dedicato a Franco Battiato. Ma soprattutto del film “La Voce del Padrone”, vero spartiacque del della storia della musica italiana, del quale ho realizzato un documentario, che è stato distribuito al cinema e grazie a quello tre anni fa ha vinto Il Nastro d’Argento ed è stata la mia prima esperienza di un documentario fatto da me in sala, e soprattutto quest’anno speriamo in occasione dell’Ottantesimo Anniversario dalla nascita del grandissimo Franco Battiato, lo diano in televisione. Ho realizzato diversi speciali su e con Battiato, però ce ne sono altri in giro che pensano siano i miei. Invece il mio è questo in particolar modo e ci credo molto. L’ho fatto proprio con il cuore, quando è stato distribuito in sala se ne sono accorti tutti. Vorrei lo vedesse più gente ed il mio desiderio è proprio che arrivi in televisione l’anno prossimo.
Io: Ottimo e allora faccio circolare il più possibile anche da queste parti!
Monica Mazzei
Free lance culturale
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