Sergio Cammariere è un artista eccezionale nel panorama musicale italiano molto apprezzato anche in vari Paesi all’estero, per merito della sua versatilità ed il suo talento innato, scoperto come una rivelazione e coltivato fin da bambino.
La musica per lui è il linguaggio per dialogare con l’Universo, per mezzo del pianoforte.
Ma anche il cinema nella sua vita ha avuto sempre un ruolo speciale, grazie alla sua capacità di ricreare atmosfere.
In questa conversazione che ho avuto l’onore di intrattenere con lui, in concomitanza con le date dei suoi spettacoli al pianoforte, ripercorriamo insieme la sua incredibile carriera che attraversa quasi un cinquantennio, spaziando per tutti gli avvenimenti più importanti della sua espressione artistica. Non manca un ricordo rivolto all’esperienza sanremese del 2003.
Una conversazione nella quale ci si può smarrire, talmente è speciale tutta la produzione artistica di Sergio Cammariere.
Dunque, quasi un’antologia, che vi posso consigliare grazie alla sua generosità nel concedersi, se volete conoscerlo meglio.
L’intervista.
D. Ad ottobre 2024 le è stata conferita una onorificenza dalla sua città, Crotone, come cittadino che ha dato onore e visibiltà alla propria città nel mondo. Cosa la lega ancora alla sua regione nativa e cosa c’è delle sue origini nella sua espressione artistica e nel suo modo di concepire sentimenti e musica?
R. Io sono nato in quella striscia di mare sullo Ionio, e possiamo dire che la mia formazione viene da lì. Possiamo dire che arriva da lontano, forse da Pitagora, dall’antica Grecia, forse. Ma poi mi sono trasferito a Firenze, dove ho completato i miei studi e la mia base da anni è Roma. Nel mio libro, “Libero nell’aria”, ho descritto la mia vita sino al successo. Nel cuore resta la bella natura e le belle persone che incontrai allora, ma per realizzare il mio sogno di fare il musicista, dovetti tagliare il cordone ombelicale.
A Firenze poi studiai all’università e allo stesso tempo, suonavo. Faccio questo mestiere da tantissimi anni, perché già allora vivevo di musica. Saranno quasi 50 anni di carriera, perché già nel ’74, quando ero quindi un ragazzino, fui pianista dell’Hotel Casarossa di Crotone. All’audizione ai tempi andai accompagnato da mio padre. Lui stesso non immaginava che suo figlio così piccolo, sapesse suonare già un simile repertorio.
Posso dire che il mio sia un dono divino di riuscire ad afferrare le note ad orecchio e di riuscire a suonare qualsiasi cosa. Da “Per Elisa” di Beethoven, a tutti i brani della musica leggera. Questo mi ha permesso da subito di cogliere le geometrie armoniche che ruotano intorno alla melodia.
D. E poi nella sua scelta strumentale è diventato particolarmente protagonista il pianoforte, esaltato in queste date che sta portando in giro attualmente ed al punto che ha composto due album di piano solo, e in particolar modo quello uscito nel 2022, intitolato proprio “Piano Nudo”, con all’interno vari brani con varie sfumature e varie ispirazioni, e se non erro ha suonato senza cantare. È stato il suo modo di battezzare ancora una volta la sua passione immediata per il pianoforte.
R. È vero, perché il pianoforte da solo è come un’orchestra, e attraverso gli 88 tasti, riesco ad esprimere tutto il mondo, ed un concerto non è altro che uno scambio con il pubblico. Da parte mia è una sorta di rifugio. Mi trovo ogni volta sul palcoscenico come se fosse casa. Il mio cuore parla attraverso i tasti grazie alle mie mani. La musica ci collega a qualcosa di ineffabile con l’architettura dell’Universo stesso, con l’anima stessa.
Gli album per piano solo come detto da lei sono due, il primo si intitolava semplicemente “Piano”, e poi ho fatto anche “Piano Nudo”. All’inizio della mia carriera, quando suonavo in questi grandi alberghi, quando da Firenze andai al Palace di Milano, come al Grand Hotel di Rimini, o all’Hotel Cervo di Portocervo, in piena libertà suonavo quello che mi pareva. Funzionava molto bene e guadagnavo già, senza aver più bisogno di chiederne alla mia famiglia. All’epoca non c’era l’esigenza di cantare. Poi allo Yellow Bar di Firenze, che ancora esiste, nacque una richiesta nuova: mi chiamarono al Tabetà, un vero pianobar di Firenze, e lì mi avrebbero pagato di più se avessi cantato. Da quel giorno decisi di lanciarmi, e le prime canzoni che cantai, ricordo ancora, furono quelle di Luigi Tenco che mi erano entrate nel cuore da piccolo. Iniziò una nuova, grande avventura…
D. E tutto questo l’ha portata a vincere tantissimi premi importanti nel cantautorato italiano, come quelli dedicati appunto a Tenco e De André… A quale si sente più legato o quale aneddoto ricorda con più affetto?
R. Sono tanti, tra i quali anche il Premio Carosone, sono poi da sempre affezionato al Premio Tenco ed al Club Tenco, che frequento dal 1997. Ma ci sono state anche altre occasioni che non dimenticherò, come ad esempio, LA NOTTE DEGLI ANGELI dedicata alla mistica Natuzza Evolo, calabrese, ed il promoter Ruggero Pegna, volle dedicarle un concerto. Fu una serata molto emozionante. Venne deposta la prima pietra del santuario a Paravati di Mileto(VV). Natuzza è stata una specie di Padre Pio, una donna che ha aiutato molte persone. Tra gli ospiti, Nicola Piovani, Katia Ricciarelli, Pippo Franco e tanti colleghi devoti a lei. Quella sera io cantai “Tutto quello che un uomo” e “Dalla pace del mare lontano”. Quest’anno poi l’onorificenza della città di Crotone è stata simpatica, perché sono stati ricordati anche i miei concerti all’estero, in Spagna, in Francia, in Olanda, in Germania. Tra queste esperienze, c’è stata una speciale arrivata dalla Corea del Sud, due ragazzi hanno avuto successo con una mia canzone coverizzata e cantata in un loro talent. La mia musica è arrivata persino in sud Corea! L’originale cantata da me, intitolata “Sul sentiero”, del 2004, è stata addirittura scelta per la pubblicità di un brand molto seguito nel paese. Lo considero un fatto miracoloso grazie alla mia musica, sono come connessioni che arrivano sorprendenti. (https://www.youtube.com/watch?v=YF5al1-lirI&list=LL&index=35&t=360s)
D. In base a questo, le chiedo se per lei la fede ed i “mondi sottili dell’inaferrabile” sono molto importanti nella vita e nella musica.
R. Io sono più “antroposofo” (ride), che religioso. Vedo tutto dal punto di vista di una spiritualità oltre la convenzione. La vera spiritualità va cercata dentro se stessi. La fede è speranza. Ho 64 anni adesso, sono in una fase in cui si diventa molto più buoni. Se vedo quel ragazzo a vent’anni con tutto quell’entusiasmo, che voleva tanto fare il musicista, vedo questo passaggio di tempo positivamente, perché alla fine, in 42 anni suonati ho raggiunto il successo nel mio Paese con la partecipazione a Sanremo nel 2003.
Potrei essere un esempio di caparbietà e di speranza ben riposta, perché quella occasione mi diede modo di mettermi meglio in luce con il grande pubblico. Considero il mio successo una connessione cosmica.
D. Parlando di ricordi, non per niente, nel 2023 è uscito con l’album “Una sola giornata”, dedicato a ricordo di un’amicizia…
R. Si, è dedicato al rimpianto e al pensiero verso persone che ti stavano accanto. È una canzone anche un po’ generazionale, ed alla fine potremmo quasi riassumere tutta la nostra vita in “un solo giorno”. Penso che noi dovremmo vivere il presente al massimo, questo è il senso. Sempre.
D. In particolare lei canta dei 30 anni “come nuovi 18”, in un certo senso…
R. Certo. Io condivido con Roberto Kunstler, che si occupa da anni dei miei testi, cose ed emozioni. È lui che le scrive in prima linea. Io mi affido alla sua poesia. Sono innamorato della poesia e del suono che ne scaturisce.
D. Infatti ci sono dei nomi che ricorrono da anni nella sua carriera, uno è appunto Kunstler, al quale ha già accennato, e poi ci sono Dacia Maraini, Damiano Damato, Fabrizio Bosso, ed altri. Cosa cementifica il suo rapporto con loro?
R. Si, con Roberto c’è un’alchimia che va avanti da anni. Il nostro rapporto è iniziato con un album condiviso che si chiamava “I ricordi e le persone”. La produzione era di Vincenzo Micocci. Era il 1992, ’93. L’incontro invece con Dacia Maraini è stato per esempio molto collaborativo e intriso di feeling. Dovevamo scomporre sue poesie, e tradurle in canzoni. Ci riuscimmo dopo svariati incontri, ricordo che andavo a casa sua con una tastiera. Suonavo dal vivo con lei, ammirando i suoi quadri e respiravo la presenza di Moravia, Pasolini… C’era una atmosfera magica. Mi manca. Ci siamo rivisti circa un anno fa, ad una replica di “Teresa la Ladra” con Mariangela D’Abbraccio al Teatro Parioli. So che hanno replicato spesso. Ogni tanto lei la riprende e la riporta in giro. E ci sono queste 10 canzoni che ho fatto con lei.
D. Al Teatro degli Illuminati, invece si è occupato della messa in scena Moni Ovadia. Vuol dirci qualcosa della sua sfumatura e di come è nata, in riferimento a questa storia che fu anche un film con Monica Vitti?
R. Bisogna immaginare che si parla di quegli anni lì, dell’immediato Dopoguerra. So che Dacia aveva incontrato personalmente in carcere Teresa. E da lì vennero fuori “Le memorie di una ladra”, che era il libro che ispirato film e spettacoli teatrali. Di Moni posso dire che è il saggio della situazione, un vero vulcano. Parla 10 lingue, è pazzesco. Lo sento come un fratello maggiore. Lui lavora anche con la violoncellista che spesso collabora con me, Giovanna Famulari, è stata lei a farci incontrare.
D. Poi c’è il cinema! Forse la parte della sua carriera più creativa e strepitosa, con oltre 20 colonne sonore composte per film, cortometraggi, film d’animazione e documentari… Anche per queste opere lei ha vinto un sacco di premi. Come si cala in questo tipo di lavoro, per produrre la colonna sonora giusta?
R. Questa è una domanda che mi piace molto! La mia prima si intitolava “Quando eravamo repressi”, prima di entrare alla IT, la mia prima casa discografica, con le Edizioni Cam, realizzai questa colonna. “Uomini senza Donne”, è stato un altro film di Angelo Longoni, per il quale ho composto una colonna, nel ’95-’96, con Alessandro Gassmann e Giammarco Tognazzi, e partecipai anche io nel ruolo di me stesso. Infatti canto 4 canzoni. Nel cinema sono accadute molte cose! Ad esempio, quando ho incontrato Mimmo Calopresti, avevo da poco realizzato un disco “Il pane, il vino e la visione”. A Mimmo piacque molto infatti, quel brano e un altro in particolare,”Nuova Italia”, fanno parte del film “L’Abbuffata”. Nel 2007 ho ricevuto per questa opera il premio come Miglior colonna sonora al festival del cinema di Montpellier. Il rapporto con Pupi è iniziato sempre partendo da una canzone, che poi è diventata il tema del film, “La quattordicesima domenica del tempo ordinario”. In quel caso abbiamo composto insieme, perché poi lui è musicista a sua volta. Mi mandò due endecasillabi dalle quali creare il tema: “Ovunque nella stanza ci son sogni non realizzati”.
D. Anche in questo film sono pregnanti i ricordi ed i rimpianti se vogliamo, dall’amore all’amicizia… Cose che accumunano il suo recente brano e la trama del film di Pupi… Poi ho visto che ha fatto molte altre colonne per contesti diversi, dove il tipo di lavoro sarà stato differente…
R. Esatto. Ed è molto più semplice fare una colonna sonora glielo confesso, anzi molto più divertente, che fare un album di canzoni! Una volta deciso con il regista il tema, un artista lo può scomporre, fare in tempi diversi, insomma, ci si può sbizzarrire… In piena libertà. Ci vuole solo il gusto di saper inserire questa musica nella scena, che a volte può durare un minuto, a volte pochi secondi. All’inizio si lavorava in moviola. Era un altro mondo con i nastri che giravano sulle bobine. L’approccio era completamente diverso. Poi quando è arrivato il digitale, attorno al ’96-’97, è cambiato tutto.
L’ultimo film che ho fatto, volevo parlare di “Revival”, di Dario Germani. Si tratta di un giovane regista che ha realizzato già diversi film, è anche un bravissimo direttore della fotografia. Il film esce in America tra due mesi. In Italia è uscito, ma essendo un horror tra l’altro esoterico, e mi riallaccio ai “mondi sottili” ai quali accennava lei, dove si parla di vita e di morte, la trama si svolge proprio nel mezzo, con uno scienziato che rapisce persone per fare esperimenti… È una storia molto intrigante! Con una buona fotografia ed attori bravissimi, tutti americani. In questo contesto mi sono espresso con una musica diversa dal mio solito, più elettronica! Da me non ce lo si aspetta! Vi sono però dei riferimenti classici, come quelli a Karlheinz Stockhausen, o ad Edgard Varèse. Sono andato quindi oltre il suono. Con l’elettronica sono riuscito a creare delle basi sonore e dei momenti che in effetti fanno rabbrividire!
D. E se lei dovesse pensare invece ad un Paese con il quale si è trovato meglio… Quale le viene in mente?
R. Il Brasile! Il mio primo viaggio importante, erano gli Anni Ottanta, avevo ai tempi un trio. Suonavamo in un locale di Rio De Janeiro, eravamo ad Ipanema. Suonavamo in questo locale dove si tenevano dei piccoli concerti. Era un posto molto “In” all’epoca. Venivano a cantare artisti di grande profilo, come Leny Andrade, e tante altre cantanti sudamericane. La voglio ricordare perché è scomparsa da poco. Veniva Carlos Lyra, uno dei più grandi compositori brasiliani… Era frequentato da questo tipo di artisti, e mi sono reso conto che la loro umiltà li rendeva ancora più grandi e che eravamo in un certo senso molto vicini, oltre alla musica stessa. Un’empatia potremmo dire inaspettata.
D. La ringrazio di questi racconti. Ed ora vorrei tornare un attimo al film di Pupi Avati. In questo ultimo film ho trovato interessante anche il titolo, che suona quasi come un riferimento epico… Mentre lei nell’ultimo brano usa come “unità di misura” ipotetica una sola giornata, Pupi fa riferimento a sua volta ad una domenica in particolare… Avete in comune il ricordo.
R. Certo, perché non tutti lo sanno, ma è quasi un’opera biografica… Quando mi disse il titolo la prima volta, non sapevo facesse parte della liturgia, un giorno per lui importantissimo, perché è quello in cui si è sposato. Il film infatti è dedicato alla moglie, della quale ha parlato nell’ultima intervista. Io mi auguro che vista la sua sensibilità, e le sue capacità, perché è uno dei pochi registi anche musicisti, con il suo bellissimo cinema d’autore, viva fino a 100 anni… Lui sa esattamente ciò che vuole in ogni frame di film, a livello musicale, grazie alle sue conoscenze da musicista; e questo fa si che lavorare con lui sia ancora più semplice. Chiese a Lucio Gregoretti, suo collaboratore musicale di fiducia, di dare a questa canzone che avevo scritto per il film, un vestito anni ’40-’50, uguale ad una orchestra che lui aveva sentito 50 anni fa…
D. Anche con la famiglia Tognazzi c’è un feeling particolare…
R. Da sempre. Con Giammarco. Infatti nel film di Maria Sole, “Ritratto di mio padre”, un documentario bellissimo, dedicato ad Ugo, con le testimonianze di Monicelli, di Ettore Scola, dei più grandi registi, poi arrivo io ad un certo punto, da casa mia tra l’altro, perché la troupe venne qui, per cantare una canzone che ho scritto con Giammarco, un mese dopo la scomparsa di Ugo. “Due Gocce d’Acqua”, questa canzone con le parole di Giammarco, chiude questo documentario. Sono anche testimone di nozze (ride), di Giammarco! Il film è da vedere perché ci sono delle scene in super 8, veramente suggestive, del privato di Ugo.
D. Quale infine è il brano che secondo lei resta il manifesto della sua produzione musicale? E penso tra l’altro anche ad un omaggio importante che lei stesso ha ricevuto… Per un brano in particolare.
R. Si certo, da parte di Mina… Quello per me è un premio alla carriera! La più grande cantante italiana e conosciuta nel mondo. Il brano è “Tutto quello che un uomo”. E questo è sicuramente il mio “manifesto” personale come artista! Anche perché è il mio brano più famoso e più coverizzato. Rimane il clou del mio concerto ed è molto amata. Nel mio libro ho scritto una cosa molto bella a tal proposito, sul fatto che io l’avevo sognato e poi si è avverato… In un programma della RAI degli anni 70,Milleluci, Mina ad un certo punto cantava una canzone “Non gioco più”, con questa grande orchestra, e all’armonica c’era il grande maestro Toots Thielemans… Nel 2004, si avverò un sogno perché suonai anche io proprio con lui! A Pescara Jazz, sul palco insieme… ! Ma guarda la vita quante sorprese incredibili riserva, pensai! Io da bambino che guardavo Mina suonare con lui in televisione; e poi io che suono con lui in un importante festival jazz, tanti anni dopo… ! Questi sono i doni divini ed inaspettati… Come l’amore vero, che è totalmente inaspettato e magico.
Ma tornando a “Tutto quello che un uomo”, bisogna ricordare anche che si tratta del brano inserito da Giulio Base nel film sulla Shoa, ritrovabile su RaPlay, “Un Cielo stellato sopra il Ghetto di Roma”, del 2020. Vi si parlava di questi bambini ebrei, ed è una storia molto affascinante, molto bella. Alla fine, bambini, ragazzi e adolescenti, ebrei, non ebrei e cristiani, cantano in coro questa mia canzone, “Tutto quello che un uomo”.
D. Cosa porterà a Locarno in concerto e con quale stile suonerà?
R. Il live durerà più o meno un ora e un quarto circa, essendo piano solo. È un concerto molto intimo. Vi è solo uno strumento, il pianoforte. Nel caso però del concerto a Locarno, visto che ogni volta ho ospiti diversi, ma non poteva esserci la mia violoncellista, verrà il mio sassofonista Daniele Tittarelli, che infonderà il jazz nei miei brani. Con i suoi fraseggi ed il suo gusto. Il repertorio comprenderà tutte le mie canzoni, quelle più ballad, più lente, dove si può riassaporare in qualche modo la dinamica stessa del brano suonato. Saranno tra le 16 e le 18 tracce. La specialità di ogni mio live è che è sempre diverso uno dall’altro: le mani vanno da sole. Io la musica l’ho imparata da autodidatta e ogni volta volo sui tasti in modo libero ed ispirato. Si può riascoltare ogni volta una destrutturazione dei miei brani e solo chi è perfettamente padrone del suo strumento, sa farlo! Questo è il segreto dei miei concerti sempre sold out, perché la gente torna volentieri a riascoltarmi!
D. C’è qualcosa che vorrebbe ancora dire ai nostri lettori?
R. Era da qualche anno che non tornavo dalle vostre parti. Sarà un piacere condividere le mie emozioni con chi sarà presente al concerto.
Monica Mazzei
Freelance culturale
TicinoNotizie.it