La guerra, una storia tra mille storie che si ripetono- di Giovanni Navicello

A Rozzano, sabato 27, la presentazione del libro sul conflitto balcanico

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Vi abbiamo già parlato di Dannati e condannati, il bellissimo, intenso libo che Giovanni Navicello ha dedicato al dramma della guerra nell’ex Jugoslavia. Verrà presentato a Rozzano il 27 gennaio prossimo. Proponiamo a voi lettori un intervento dell’autore. Buona lettura.

Dannati e condannati Welcome to Sarajevo- 27/01/2024, 16:30-17:30- Biblioteca di Rozzano
Viale Palmiro Togliatti, 105 PER INFORMAZIONI Biblioteca di Rozzano 028925931

Un romanzo che parla di guerra oggi sembra purtroppo molto attuale, ma quando ho deciso di scrivere “Dannati e condannati” ancora non era scoppiata la guerra in Ucraina e tantomeno quella odierna tra israeliani e palestinesi. L’idea nasce dal racconto che mi è stato fatto da un mio amico che solo dopo due decenni ha trovato la forza di raccontarmi la sua esperienza come “portatore di pace” in Bosnia all’indomani degli accordi di Dayton che avevano posto fine a tre anni e mezzo di assedio e di umane atrocità. Una intera notte trascorsa ad ascoltare la confessione di un uomo, ai tempi della missione poco più di un ragazzo, che, come in un processo liberatorio e redentivo, narra sé stesso, i suoi compagni, le sue azioni, i luoghi, le sofferenze e il dolore con una dovizia di particolari e una difficoltà emotiva da lasciare immaginare che tutto fosse accaduto pochi mesi prima e non che fossero trascorsi venti anni. Le emozioni erano così vivide, le immagini così reali, i suoi ricordi così dolorosi che rimasi profondamente colpito e capii d’un tratto perché la persona che conoscevo ormai da tanto tempo fosse così difficile da comprendere in alcune sue reazioni a fatti apparentemente semplici e normali, perché eludesse ogni domanda su quel periodo, perché necessitasse costantemente di un supporto psicologico e perché non riuscisse a parlare con serenità di quella esperienza. Lui era ancora lì, con la testa, con l’anima e ogni cosa che ha visto e ogni azione che ha compiuto hanno lasciato segni indelebili, mostri che si porterà dietro per sempre.

Ecco, da quel momento ho deciso che avrei raccontato tutto questo, ma che avrei voluto dare alla sua storia un respiro ampio perché la sua esperienza è l’esperienza di molti, di migliaia di nostri ragazzi impegnati nelle missioni di pace all’estero, numerosi contingenti sparsi per il mondo a garantire la pace, o a tentare di tenere a freno situazioni esplosive. Che le si chiami missioni di implementazione o di interposizione, questi ragazzi portano la pace dove la pace non c’è, dove è stata imposta oppure dove non la vuole nessuno. E dato che siamo esterofili adesso le chiamiamo missioni di peacekeeping che letteralmente significa ‘mantenimento della pace’ e che praticamente è l’insieme delle operazioni condotte da forze armate multinazionali allo scopo di mantenere la pace in aree di crisi. Quindi nella stessa definizione il termine “armate” convive con il termine “pace”. Al di là di ogni giudizio di merito, non è questo che intendevo e intendo approfondire, mi sono chiesto come si conciliassero le due cose nell’esperienza di ragazzi che si ritrovano a portare la pace in contesti di tensione o ancora di guerra. I giovani soldati sono consapevoli di quello che troveranno, delle difficoltà che dovranno affrontare e quali saranno le conseguenze sulle loro vite?

E mentre costruivo nella testa il mio romanzo e più facevo ricerche documentali sul periodo storico mi sono convinto che anche questo approccio da solo fosse riduttivo. La storia della guerra in Bosnia è estremamente complessa, come tutte le guerre d’altro canto, ed era quindi necessario che io provassi a comprendere anche il punto di vista di chi questa guerra civile, etnica e culturale, oltre che economica e territoriale, l’aveva vissuta dentro, durante quei tre anni e mezzo durante i quali sono state commesse atrocità dimenticate, come una grande rimozione collettiva. Chi ricorda il massacro di Srebrenica dell’11 luglio 1995? Chi ricorda che in un luogo così vicino a noi, dall’altra parte dell’Adriatico, è stato perpetrato scientificamente lo stupro come mezzo di sostituzione etnica? Chi ricorda che in un solo giorno furono massacrate 1500 persone con un solo mitragliatore? Chi conosce le storie delle migliaia di madri impazzite per la perdita violenta dei propri figli?

Ho sentito una enorme responsabilità verso ognuna di queste persone che in un modo o in un altro avevano vissuto la guerra, siano essi cittadini o soldati, osservatori o portatori di pace. Pur nel rispetto e senza tradire la verità dell’esperienza che mi è stata raccontata, ho sentito il dovere di allargare lo sguardo e narrare un fenomeno umano complesso come la guerra attraverso una sorta di filtro emozionale che consentisse al lettore di entrare in empatia con ognuno dei personaggi e di vivere attraverso loro gli orrori della guerra, di condividere con loro i dubbi e sentirne le sofferenze. Volevo raccontare e rappresentare il trauma di chi si ritrova di fronte alla violenza e deve fare in fretta scelte difficili, raccontare se e come un ragazzo di diciotto anni, nonostante la divisa e l’arma, possa rimanere quello che era sino a un minuto prima della partenza, ma anche se e come si affrontano le situazioni una volta che si è dentro quel regno di violenza e vendetta, e infine cosa resta per tentare di capire cosa lascia l’esperienza della guerra nelle persone attraverso la caratterizzazione dei miei personaggi che hanno un nome e non sono solo numeri come oggi ci vengono proposti nella narrazione delle guerre.

Ed ecco che per rispondere a questa molteplicità di esigenze e responsabilità che mi sono imposto il romanzo diventa una storia in mezzo a mille storie, un caleidoscopio di umanità, situazioni ed emozioni tenute insieme da un unico fattore comune, un filo rosso che accomuna tutti i personaggi, tutte le donne e gli uomini del mondo, in qualsiasi tempo: la convinzione che la pace non esiste perché anche quando si alterna alla guerra, lascia solchi insuperabili nelle vite di ognuno che si tramandano di generazione in generazioni fino a quando non sfociano in un’altra guerra. La storia di oggi ce lo insegna, la storia che ritorna e non cambia, l’uomo che non impara dai suoi errori.

Giovanni Navicello

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