Quando l’arbitro, il signor Andrew Brace, ha convalidato, nonostante la reiterata visione dell’azione al maxischermo, una meta folle perché viziata da un “in avanti” pachidermico dell’australiano, fossero stati altri tempi meno splendenti l’Italia sarebbe implosa. Momento chiave intorno al cinquantesimo minuto, con la girandola delle sostituzioni alle porte e il punteggio in parità, dodici pari. Il più formidabile rubapalloni del rugby, Zuliani, placca mirabilmente il portatore di palla avversario e lo costringe all’errore, ma per Brace è tutto regolare e, con gli azzurri fermi ad aspettare il fischio, l’Australia va in meta e piazza l’allungo potenzialmente decisivo.
Ma i tempi, appunto, sono cambiati: l’ingiustizia, anziché spegnere le velleità di una fin lì buonissima Italia, fa scaturire una reazione devastante. Così fanno le grandi squadre. Testa sgombra da cattivi pensieri e testa bassa. La marea azzurra porta prima al cartellino giallo per Suaalii, reo di un’azione scorretta su Garbisi, poi alla meta di Lynagh – proprio lui, figlio di una leggenda australiana – e, infine, a quella di Ioane, a valle di due azioni arrembanti. Le due trasformazioni di un impeccabile Garbisi dalla piazzola fissano il punteggio sul 26-9, che gli azzurri nei venti minuti finali gestiscono senza troppi affanni.
Dopo quella del 2022 a Firenze, l’Italia torna a battere una compagine dell’emisfero sud, ancora l’Australia. Miglior modo di cominciare le Quilter Nations Series non c’era. E non è una sorpresa, nemmeno con le assenze pesanti di Lamaro e Negri, sostituiti da una terza linea feroce che non li ha fatti rimpiangere.
Quando la palla cade dal cielo, facciamo ancora troppa fatica a essere performanti, sia in touche, dove schieriamo un solo saltatore vero come Zambonini e una spalla come Vincent, sia sui calci alti avversari, in seguito ai quali tspesso lasciamo il possesso ai rivali. Ma lo si sapeva e Quesada ci sta lavorando. Facciamo un po’ fatica anche a tradurre in meta i possessi nei ventidue metri avversari, dove l’ondata avanzante talvolta si inceppa per qualche meccanismo non perfetto. Ma è il classico pelo nell’uovo – il popolo del rugby è super esigente – perché il resto, a cominciare dalle fasi statiche, con l’avanzamento della linea difensiva e la qualità esagerata nei placcaggi (Vincent monumentale), è un’ira di Dio. Oltre che l’essenza del rugby: placcare alla morte, far salire la squadra, erodere centimetro per centimetro di campo.
Consistenza che assurge ad opera d’arte, una prestazione da consegnare alla storia. Mai l’Italia, contro un’avversaria di livello assoluto, aveva esibito questa organizzazione e l’impressione di poter disporre, per soli propri meriti, di un avversario abituato a dettare legge. Dopo un decennio di pane durissimo, fatto di sconfitte senza soluzione di continuità e, ciò che è più grave, di stallo tecnico, la visione di Quesada sta proiettando l’Italrugby in una dimensione nuova che spazza via quella delle cosiddette “sconfitte onorevoli” alle quali ci si era rassegnati. Bravi, sì, ma a vincere erano sempre gli altri. Ieri, invece, lo smacco è toccato ai Wallabies, e forse non a tutti è chiara la portata del risultato.
Grazie a una gestione perfetta dei tempi, il titolo di Man of the Match è andato a Varney. Bella rivincita per uno che in tante circostanze è stato messo sulla graticola, a volte anche senza meritarlo. Detto dello score senza macchia di un Garbisi versione Dominguez (per chi se lo ricorda), da segnalare i diciannove placcaggi positivi di Niccolò Cannone, una saracinesca, i sei “defenders beaten” del solito monumentale Menoncello e i centocinque metri corsi in possesso da Ioane. Numeri individuali importanti nel quadro di una prestazione collettiva senza grosse sbavature.
Lo si diceva in preview: l’Italia, se non da favorita, sarebbe scesa in campo alla pari, e la conferma del pronostico rappresenta forse la più luminosa attestazione di crescita degli azzurri. Tanto che la decima posizione nel ranking mondiale comincia a somigliare più a un punto di partenza che d’arrivo. Le Fiji, che ci precedono, sono avvisate. Ora, però, è già tempo di pensare al prossimo impegno, quello di sabato prossimo, quando a Torino l’avversario sarà quanto di peggio (o di meglio, a seconda dei punti di vista) possa capitare oggi, gli Springboks sudafricani. Vertice indiscusso della piramide rugbystica, i campioni del mondo in carica che ieri hanno disposto della Francia a domicilio. Ma ci sarà tutto il tempo per parlarne.
Oggi è giorno di festa. Soddisfazione impareggiabile per chi, nei momenti peggiori – e se ne sono visti tanti – è rimasto ancorato in trincea con immutata passione e incrollabile fiducia.





















