Italrugby, la dura (e prevedibile) lezione irlandese- di Teo Parini

Con in mano la birra del terzo tempo, perché nel rugby si usa così e oggi regna la Guinnes per dovere di ospitalità, è già ora di pensare alla Francia che tra due domeniche ci ospiterà per il terzo turno del torneo.

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Un bambino che canta l’Ireland’s call, inno che unisce le due anime irlandesi, sarebbe già sufficiente a giustificare la scelta di dedicare la domenica pomeriggio al rugby. Elogio della bellezza. Anche senza più un mito come Sexton, capitano inscalfibile che era solito commuoversi anche dopo mille battaglie ascoltando l’invito canoro a stringersi spalla a spalla, che ha appeso le scarpette al chiodo. Espletati i convenevoli, la partita è andata così come fosse logico preventivare: un corrosivo monologo verde. Troppo forte questa Irlanda, e non solo per gli azzurri, costretti a spendere tutto il serbatoio già nei primi venti minuti, chiusi sotto per cinque a zero e con un calcio di punizione piuttosto facile sbagliato da Garbisi che avrebbe addirittura portato l’Italia a muovere per prima il punteggio. Per chi non lo sapesse, venti minuti di palla ovale, mischie e placcaggi sono un’era geologica.

L’Irlanda è un collettivo impressionante, toglie il fiato per quanta pressione riesca a mettere in campo, tanto che dev’essere davvero un incubo sportivo quello di trovarli di fronte. Furia agonistica sì, ma tutt’altro che cieca, perché i verdi ci vedono benissimo e uniscono al vigore bestiale una competenza tecnica con pochi eguali. Ferro e piuma, questi diavoli si passano la palla alla stregua di playmaker da NBA, no look, traiettorie telecomandate che incontrano mani solide nella presa e idee piene di fosforo. Mani dure come il granito ed educate come il velluto. La lezione è severa, certo, ma tutto nella normalità delle differenze strutturali che nel rugby difficilmente possono essere sovvertite in una sola partita.

Per la verità qualcosa di interessante l’Italia l’ha anche fatta vedere qua e là, ma la competenza avversaria ha finito per amplificare a dismisura i nostri limiti. Che sono i soliti: non portiamo a casa una touche nemmeno a pagarla e la mediana non è in grado di gestire palloni con la necessaria rapidità. E con queste lacune, unite a troppi errori individuali dettati dallo stato permanente di apnea, affrontare l’Irlanda significa sofferenza alla potenza enne. Anche la mischia, a ben pensarci, è stata sbriciolata dai pari ruolo avversari e così il punteggio finale di 36 a zero non è nemmeno così terribile. Certo, non segniamo punti ed è un bel problema, ma non è dalla trasferta di Dublino che passa il giudizio del nostro Sei Nazioni.

In uno sport che più di squadra non si può, una menzione speciale ci si sente di farla per il neozelandese d’Irlanda, James Lowe. Uno che probabilmente di quadricipiti ne ha quattro e che unisce alla cinetica di una massa che invece alla velocità della luce una qualità nei fondamentali del rugby da manuale, oltre ad un’eleganza nella falcata da duecentista olimpico che non guasta mai. Uno spettacolo della natura. In casa Italia, invece, è purtroppo particolarmente negativa la partita di Varney, sono spuntate le ali Ioane e Capuozzo, i due che più hanno risentito della mancanza di possessi, è fragile come cristallo la prima linea. Caparbi i placcatori, vedi capitan Lamaro ma non solo, e se qualche uomo verde è scappato dalla rete azzurra non è certo imputabile alla scarsa abnegazione dei difensori ma alla necessità di fermare uno tsunami con le mani. Bisogna essere onesti: l’Italia fa passi da gigante, e chi lo nega è in malafede, ma le tre o quattro squadre che comandano il ranking mondiale, tra le quali ci sta l’Irlanda che forse guarda tutti dall’alto, fanno un altro sport. Giù il cappello.

Con in mano la birra del terzo tempo, perché nel rugby si usa così e oggi regna la Guinnes per dovere di ospitalità, è già ora di pensare alla Francia che tra due domeniche ci ospiterà per il terzo turno del torneo. A Lille, perché Parigi è già in modalità olimpica, abbiamo il dovere di dimostrare che la lezione incassata a Dublino è stata presa dal verso giusto. Nello sport, lapalissiano, si cresce un pezzetto alla volta, non ci si inventa niente e, più di tutto, l’importante è non fermarsi mai nella volontà di migliorarsi. Avanti, allora, con il giusto ottimismo. Perché, fortunatamente, non ci sarà sempre una marea verde ad agitare i nostri pomeriggi e abbiamo le qualità per insinuare qualche dubbio nella mente di tutti gli altri. Senza paura.

-foto tratta da pagina Facebook Federazione Italiana Rugby-

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