Gli articoli di giornale apparsi in questi giorni, dopo l’elezione dell’agostiniano Leone XIV, mi hanno fatto ripensare a Francesco Petrarca e al “Secretum”, la sua più importante opera in prosa scritta tra il 1347/48. Si tratta di un diario autobiografico molto personale, in cui il poeta immagina di dialogare per tre giorni con sant’Agostino (e il 3 non è casuale, ma legato alla Trinità), e quindi tre sono i libri che verga.
Questo dialogare si svolge di fronte alla figura della Verità, il cui compito è quello di ascoltare in silenzio e fungere da garante alla veridicità delle parole del poeta. E poiché il titolo completo di questi suoi diari è “De secreto conflictu curarum mearum” (Il segreto conflitto della mia ansia), il sant’uomo, padre e dottore della Chiesa, nel primo gli dice che la causa di questa sua ansia è la conseguenza del troppo attaccamento ai beni terreni, soprattutto legato al desiderio di fama letteraria.
Nel secondo invece affronta i peccati capitali del poeta che si difende dicendo che lui, ad esempio, non sa cos’è l’Invidia, ma Agostino invece ribatte che se in questo è d’accordo, per quanto riguarda gli altri sei, è colpevole, soprattutto per quanto riguarda quello dell’Accidia che, per la morale cattolica, indica la pigrizia nel praticare il bene e lo scarso amore verso Dio; e qui già ammicca alla pigrizia di Francesco scaturita dall’amore per Laura, che lo ha sempre distolto dal divenire un grand’uomo e dall’elevarsi spiritualmente.
Nel terzo libro si parla più approfonditamente di Laura.
Di piacevole lettura il dialogo in cui Petrarca afferma che l’amore per questa donna l’ha indirizzato al bene; da qui nasce una sorta di battibecco tra i due, in cui Agostino sostiene il contrario e colpevolizza la passione terrena che da sempre lo tiene incatenato e che tanto lo fa soffrire, da causargli una continua pioggia di lacrime per l’eccessivo desiderio, accusando che è proprio questa passione che lo ha allontanato dal Creatore. E aggiunge: “Poiché infatti sono multiformi le fatiche che non si possono evitare, quanta follia è il cercarne altre di propria iniziativa!” Insomma, lo redarguisce dicendogli che già si fa fatica a vivere, e che lui ha fatto in modo di far ancor più fatica.
Di fronte a queste parole Francesco si difende ribadendo che se lui ha amato Dio, lo ha fatto anche perché ha creato la bellissima anima di Laura; a questo punto Agostino gli risponde senza mezzi termini:
“Mi vuoi prendere in giro? Se la stessa anima abitasse in un corpo brutto e contorto, ti sarebbe piaciuta ugualmente?”
“Non oserei a dir questo: l’anima non si può vedere, né l’aspetto del corpo l’avrebbe promessa tale; ma se apparisse allo sguardo, amerei senz’altro la bellezza di un’anima che pure avesse una brutta dimora”.
E poiché mente, il santo lo rimprovera di usare mezzucci verbali, ricordandogli che ha cercato in tutti i modi di ottenere la laurea poetica a Roma e che è divenuto adoratore della pianta del lauro, così Francesco alla fine ammette:
“Ho amato l’anima assieme al corpo”.
Naturalmente in questi dialoghi Agostino rappresenta la coscienza di Petrarca. I moderni psicologi parlerebbero di scissione psicologica, ma d’altronde egli è un uomo vissuto in un’epoca di cambiamento, un uomo in cui nasce la coscienza moderna: non ha più le certezze medievali che aveva Dante nella religione, lui vive il passaggio verso l’umanesimo, in cui l’intellettuale emergerà come “io” singolo a differenza della società collettiva medievale in cui la religione accompagnava e scandiva la vita quotidiana.
Luciana Benotto