“Troppi no fanno male all’Italia”
È questo il refrain con cui Salvini occupa gli spazi mediatici dal giorno successivo a quello in cui si sono tenute le elezioni europee, che lo hanno visto uscire vincitore (almeno in Italia).
Il riferimento, nemmeno troppo velato, è ai continui stop e rinvii su provvedimenti ritenuti indispensabili per rilanciare il Paese (e cari all’elettorato leghista) causati dall’ostruzionismo del M5S: riduzione delle tasse (leggi Flat Tax), autonomie (più per spinta dei Governatori che tengono le redini dell’elettorato al nord), riforma della giustizia con la separazione delle carriere di Giudici e Pm (tanto cara in passato a Berlusconi e, dato lo scandalo che ha investito il Csm, mai così alla portata come oggi), Tav, salario minimo, etc…
Insomma, i nodi di cui parlava all’inizio dell’esperienza di quello che è stato auto-battezzato come il “Governo del cambiamento”, sono venuti al pettine e sembra non ci sia modo di riparare alla situazione (certi toni e insulti che stanno volando non permettono di tornare facilmente indietro).
Che Salvini volesse passare all’incasso dopo il risultato delle elezioni europee (c’era solo da stabilire il quando, non il se), era argomento ricorrente da inizio anno quando, sondaggi alla mano, i rapporti di forza in termini di consenso si stavano invertendo con i grillini.
Mancava il casus belli, la scintilla che facesse esplodere la dinamite nascosta sotto il tappeto, la goccia che facesse traboccare il vaso.
Con il voto sulla Tav al Senato eccolo servito.
Gli ultimi sei mesi sono serviti a Salvini e alla Lega per preparare la crisi di governo scoppiata in questi giorni, senza avere addosso la macchia di aver fatto cadere l’esecutivo per motivi futili o questioni di poltrone, cose che non sarebbero state capibili da parte dell’elettorato.
Per ora sembra sia andato tutto (abbastanza) liscio, ma solo a fine mese, massimo primi di settembre, capiremo se il M5S avrà ancora in mano il cerino.
C’è da dire anche che più di un sospetto aveva destato la “campagna d’agosto” pianificata da Salvini nelle regioni del sud, in un’estate politica frizzantina come mai che ha avuto come centro del mondo il Papeete di Milano Marittima dell’amico ed europarlamentare Massimo Casanova. Le bordate dalla spiaggia, e le date già programmate nelle terre un tempo ostili al Carroccio, mi avevano convinto già da un paio di settimane che la fine del governo era solo una questione di giorni. Non di mesi, di giorni. Così è stato.
Sapevo, inoltre, un po’ per intuizione e un po’ per successive conferme interne alla Lega, che Salvini avrebbe voluto correre da solo per capitalizzare al massimo consenso, aprendo ad alleanze governative solo dopo il voto.
“Se devo mettermi in gioco lo faccio tranquillo, da solo e a testa alta”, parole del Matteo dominante ieri a La7, a confermare quelle che prima erano solo ipotesi.
Alleanza con chi? Non per ricostruire il vecchio centrodestra, che a Salvini non piace per nulla, ma per formare (nell’eventualità di non avere da i numeri da solo, cosa molto molto difficile) un esecutivo con Fratelli d’Italia come partner junior ed eventualmente Toti (che ha appena lanciato “Cambiamento”, il suo nuovo soggetto politico) come partner baby. Forza Italia, in cui è in corso un fuggi-fuggi sui territori che sta accelerando l’agonia del partito di Berlusconi, fuori.
Una cosa è certa: Salvini ha fretta, molta fretta. Oggi la Lega ha presentato una mozione di sfiducia al premier Conte, con il passagio parlamentare richiesto dal leader leghista, per velocizzare il tutto senza farsela menare per le lunghe. Ovvio che il Presidente della Repubblica cercherà altre maggioranze prima di concedere il voto, ma oggi sembra non ci siano alchimie possibili per prolungare la legislatura più del tempo necessario per guidare il Paese a nuove elezioni.
Salvini ha fretta anche perché il M5S e le opposizioni (anche la magistratura con il “Caso Savoini-Russia” ne fa virtualmente parte) stanno aprendo troppi fronti di lotta contro di lui. Meglio attaccare subito e “ammazzare” gli avversari prima di essere circondati.
Però…c’è un però.
Cosa succederà alla manovra finanziaria che avrebbe dovuto essere pronta in ottobre, se in quello stesso mese si andrà a votare? Ci sono non poche cose da incastrare, tra cui il disinnesco delle clausole di salvaguardia per evitare l’aumento nefasto dell’iva. Nessuno vuole questa responsabilità e, guarda caso, il primo attacco di Di Maio è stato proprio su questo argomento: “se il governo cade c’è il rischio di aumento dell’iva e chi ha voluto porre fine a questa esperienza se ne prenderà la responsabilità”, più o meno questo era il significato delle parole del capo politico del M5S ieri. Non ho la certezza matematica, ma ho l’impressione che non convenga a nessuno che l’iva aumenti prima delle elezioni e che alla fine si troverà una soluzione almeno su questo problema.
Per concludere, in questo momento Salvini ha il vento a favore e l’occasione della sua vita: o diventa premier entro breve tempo o rischierà di finire impantanato nella palude romana. Se riuscisse nel suo intento porterebbe in parlamento una pattuglia leghista mai vista per dimensioni. A quel punto, però, non avrebbe più alibi e nessuno da incolpare: o porta a casa i risultati promessi o la sua aurea potrebbe scomparire molto velocemente (le ere politiche si stanno accorciando sempre di più).
*fonte: Matteo Spigolon Fondatore di Fabbrica Politica