“Costretto a giocare di fino, rivela le sue umili origini”. É il modo con il quale Rino Tommasi ha svelato per decenni l’inadeguatezza tecnica di un giocatore – diciamo – non sufficientemente attrezzato a risolvere un quesito tennistico variamente complesso. Con l’espressione “Siamo in stazione”, invece, era, solito dare la benedizione ad un match giunto al suo epilogo e non era affatto detto che ci si trovasse nei dintorni temporali del match point perché – ci ha insegnato – la fine virtuale può benissimo precedere di diversi minuti la stretta di mano. Con “Palla calante volée scadente”, ancora, è diventato chiaro a tutti che non è tirare sempre col bazooka la scelta tattica migliore, ma è esplorando tocchi più raffinati e geometrie più ricercate che si possono mettere a nudo le debolezze altrui. E si potrebbe continuare per ore, perché il Maestro ha coniato talmente tante locuzioni illuminanti da poter comporre l’enciclopedia italiana del tennis narrato.
Chi ha almeno una quarantina di primavere alle spalle ed ha fatto dello sport che fu di Bill Tilden una meravigliosa ragione di vita, è soprattutto grazie a Rino Tommasi che può dire di aver apprezzato fino in fondo e anche un po’ compreso una disciplina così complessa e imprevedibile, in un periodo storico di transizione dal classicismo aggraziato dei gesti bianchi e degli attrezzi ricavati dai tronchi al corri-e-tira (con fortunate eccezioni) moderno. Antesignano. Perché, in tivù, c’è stato un prima e un dopo. Rino Tommasi, buon giocatore universitario, tifoso dell’Hellas Verona e professionista dell’universo pugilistico del quale la “Grande boxe” ha rappresentato l’acme del piccolo schermo, ha dato vita ad un modo nuovo di fare televisione sportiva. Pane al pane, del resto “Qui non si vendono tappeti”, ricordava spesso. Imbonitori al muro, cinico fino al midollo, spigoloso all’occorrenza, intransigente con i colleghi. Competenza esondante esibita senza inutili orpelli come tipico di chi ne sa più degli altri. In coppia con Gianni Clerici – il Vate – ha dato vita ad un fenomeno comunicativo mai osservato né prima né dopo. Telespettatori decisamente più interessati al commento polifonico del duo al microfono che all’evento in sé. Combo geniale fra la mente matematica di Rino, come ebbe modo di definirla Gianni Brera, e la fantasia da numero dieci sulla maglia del Dottor Divago, come Rino era solito chiamare l’amico e collega. Stringato uno, prolisso l’altro a comporre quartine di poesia tennistica.
Rude nella fisionomia, tuttavia, il Rino romantico che non ti aspetti è quello che, prima di un sacco di ritardatari, si innamora di Stefan Edberg. Al punto da azzardare una profezia. Lo svedesino dal rovescio paradisiaco e dalla prima volée in uscita dal servizio più efficace di ogni epoca è ancora un elegante pischello che sgomita nel purgatorio degli juniores. Rino, sempre un lustro avanti, dichiarava in tempi e modi non sospetti che l’avrebbe fatta finita col tennis qualora Edberg, giudicato leggero anche da tanti addetti ai lavori, da lì a cinque anni non avesse vinto il torneo di Wimbledon. All-in sul biondino, quindi, che, manco a dirlo, esattamente cinque stagioni più tardi sollevava la coppa più iconica del tennis. Primo di tre successi in Church Road, che diventerà il suo giardino di casa.
Due, per chiudere il più doveroso dei tributi, le invenzioni che oggi, a poche ore dalla sua scomparsa, si vogliono ricordare con nostalgia. Una è mutuata, non a caso, dal “suo” pugilato, ed è nota come il “Personalissimo cartellino”. Dove, se nella boxe i giudici annotano fisicamente l’attribuzione delle riprese tra i pugili, Rino nel corso della telecronaca si segnava i momenti salienti del match per poi ricordarli al momento opportuno in sede di sintesi, il suo pane. La seconda, alla quale siamo ancora più affezionati, è quella del “Circoletto rosso”. Tributo virtuale assegnato con intonazione vocale inconfondibile da Rino ad un punto di mirabile fattura. Locuzione nazionalpopolare semmai ne esistesse una. Non esiste campo da tennis in Italia, infatti, dove gli aficionados, da quelli della domenica con la pancetta e le braghe alzate fin sotto le ascelle agli aspiranti campioni, non si vantino a valle di un bel quindici strappato all’avversario definendolo, appunto, da circoletto rosso. Di tommasiana memoria, un must. E chissà quante volte Rino sarebbe stato d’accordo con noi, perché la sua intransigenza non faceva sconti nemmeno alla bellezza.
Insomma, a poco tempo dalla scomparsa terrena di Gianni Clerici, lo sport si vede costretto a piangere anche quella di Rino Tommasi. Un giorno triste per noi di TicinoNotizie.it che con il Maestro abbiamo contratto un debito che intendiamo onorare. Provare a raccontare il tennis al meglio delle nostre possibilità, pertanto, è il modo migliore per fargli arrivare, ovunque esso sia, il nostro sentito grazie. Ciao Rino, insegna agli angeli che nella vita come nel tennis, della quale è sempre formidabile paradigma, i momenti non sono mai tutti uguali e solo in una manciata di questi si può scrivere la storia. Basta solo saperli riconoscere.