Su Ticino Notizie torna Camilla Garavaglia: frizzante, interrogante, ruotante (a livello di prosa), mai banale, tra Maradona e Grignolino. Da leggere. As usual..
Anche 10 se leggi senza fretta: vino, politica, scrittura, cose. Porca miseria, ma perché non prendo appunti? (La risposta a quasi tutto è sempre: sono una scansafatiche). Ho letto qualche giorno fa che chi dice “Ah io adoro scrivere, mi piace tantissimo” solitamente non è capace di scrivere, mentre i bravi scrittori – al contrario – detestano scrivere. Dove posso averlo lett
Non so se sono d’accordo con questa tesi, ma a me gioca a favore: io odio scrivere, eppure lo faccio di mestiere (leggi: vengo pagata per farlo) quindi è più facile che io sia nel gruppo di quelli bravi.
Scrivere è una menata pazzesca. Perché le parole sono tante e non tutte suonano bene insieme, perché per dire la stessa cosa ci sono n modi diversi e molti di questi sono banali, già sentiti, già letti. Tipo, quando inizio un libro e leggo le classiche descrizioni dei personaggi (portava i capelli corti, aveva gli occhi verdi screziati) mi annoio, e non voglio che chi legge le cose mie si annoi e vada a guardare altrove.
Non andare, dai.
Anzi, vieni anche di là: i miei venticinque lettori (devo scrivere cit.?) che si sono iscritti hanno ricevuto una newsletter in più dedicata all’Hanami. Sono tutti contenti, dicono, e le loro prestazioni sessuali sono migliorate del 64%*.
Ah già tu sei già di qua. Grazie, che bello!
“Eating was her love, but more eating was her passion” – dal New Yorker
Pennac e le pizzette libanesi
Martedì scorso sono andata alla Feltrinelli di piazza Piemonte per la presentazione dell’ultimo libro di Daniel Pennac, probabilmente anche l’ultimo della saga dei Malaussène (si chiama Capolinea Malaussène, non serviva tutta ‘sta scaltrezza).
Visto che a dicembre avevo tentato di vedere la presentazione dell’ultimo disco di Guccini – sempre alla Feltrinelli, ma in Duomo – e tutto ciò che ho visto è stata una testa grigia in mezzo a una folla accalcata e sudata, per evitare di fare la stessa fine martedì mi sono presentata in libreria alle 16. La presentazione iniziava alle 19.
Inutile dire che non c’era (ancora) nessuno e quindi mi sono piazzata su una delle prime sedie non riservate e ho aspettato.
Daniel Pennac è alto e ha la faccia da bambino dispettoso. Ha parlato della saga dei Malaussène e della crudeltà umana, che poi è la stessa cosa.
Raccontando, invece, del suo documentario “Ho visto Maradona!” ha parlato del suo sogno la notte in cui Diego se n’è andato. “Ho sognato mio fratello, Bernard, sulla soglia della porta con un bisturi in mano. Ha fatto “shh” con il dito e ha detto “devo operare Maradona”. Quando mi sono svegliato, ho scoperto che Maradona era morto e ho visto tre, quattro miei amici piangere a dirotto per quella perdita. Mi sono detto: se delle persone adulte piangono per un giocatore di calcio, ci deve essere qualcosa che non capisco. E vorrei capire cosa”. (trascrittura brutta di quello che lui ha detto molto meglio)
Il fratello di Daniel Pennac, Bernard, era un ingegnere ed è morto nel 2008 durante un’operazione per appendicite: lo scopro adesso mentre mi sto documentando per scrivere questa newsletter. Vedi, a volte, i sogni. Vedi, a volte, le newsletter.
Dopo la presentazione io e la mia amica K siamo andate a mangiare in un ristorante libanese. L’ho proposto un po’ perché volevo sentirmi a Belleville, ma questo a lei non l’ho detto.
(presentazione bellissima, tranne che una ha ruttato rumorosamente per tutto il tempo, giuro)
Consigli di marketing
Non so niente di marketing, non voglio sapere niente di marketing.
Ma settimana scorsa davanti alla mia piscina/palestra (ad aprile parliamo di come lo sport abbia dato il colpo di grazia al mio corpo già disarmonico di suo) ho notato un cartellone pubblicitario di un negozio di ottica.
Diceva: occhiali pronti in 24 ore.
La grafica era terribile, i testi bruttini (come del resto quelli della newsletter di un’enoteca, da me citata in un’altra newsletter. La newsletter pirandelliana, o matrioska) ma il messaggio era efficace.
Hai un figlio che ha spaccato gli occhiali a basket? Hai lasciato gli occhiali in metropolitana? Quel negozio ti sta dicendo che può rispondere al tuo bisogno.
Se hai un negozio o vendi un servizio, anche tu lo stai dicendo a tutti e chiaramente? La palestra del volantino qui sotto sì.
Le letture del mese
Rapidi che è venerdì e devo uscire a bere.
La mia amica V mi ha regalato per Natale “L’avversario” di Emmanuel Carrère, la storia di un bugiardo patologico che mente su qualsiasi aspetto della sua vita, intrappolandosi in un’esistenza non reale anche se apparentemente normale. Per poi cercare di uscirne facendo una strage in famiglia (la regola dice che se l’argomento del libro viene espresso nella prima pagina del libro, raccontarlo a terzi non è spoiler).
Tutti, sembra, restano inorriditi di fronte a un tale mostro. A me ha fatto male perché conosco le bugie e ho avuto l’impressione, durante la lettura, di potermi perdere proprio come il protagonista. E di poter fare, un giorno, una fine non molto dissimile dalla sua.
Penso però che l’autore volesse lasciare questa sensazione nei lettori, quantomeno in alcuni di loro.
Di norma una bugia serve a nascondere una verità, magari qualcosa di vergognoso, ma reale. La sua non nascondeva nulla. Sotto il falso dottor Romand non c’era un vero Jean-Claude Romand
Terza volta che rileggo “Il cucchiaino scomparso e le altre storie della tavola periodica” di Sam Kean. Mi piacciono tantissimo gli autori che tentano di trasformare le materie di studio – scienze, matematica, arte, filosofia, storia no che mi fa schifo – in romanzi. Sam Kean, scrittore americano che come tutti gli americani è laureato in una cosa ma poi diventa esperto in altre settecentoventi cose, si è appassionato delle storie della tavola periodica di Mendeleev e le ha raccontate in questo libro.
Se avete figli in età da scuole superiori è un bel regalo, secondo me.
A inizio Novecento un tale si guadagnava da vivere come “uomo blu” nei circhi, dopo un’intossicazione dovuta al troppo nitrato d’argento preso per curare (senza successo) la sifilide
Il vino del mese
Il Grignolino è un po’ un outsider in Piemonte, o così almeno si dice. Il suo nome deriva da “digrignare” (i denti) perché le sue caratteristiche lo rendono, in senso lato, più buono da mangiare che non da bere.
Dicono anche sia il più bianco dei vini rossi e il più rosso dei vini bianchi, e questo lo si capisce dando un’occhiata al suo colore scarico.
Quello di tenuta Montalbera a me è piaciuto: nella sua versione in anfora si presta all’abbinamento con i piatti libanesi di cui sopra. E, quindi, con la lettura del ciclo dei Malaussène.
Ci vediamo a metà mese! Sapete che su Substack potete anche commentare?
*Il dato potrebbe essere inventato