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Il mese in 5 minuti. Torna, su Ticino Notizie, l’elegiaca rubrica di Camilla Garavaglia

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Mi ci sono voluti 19 anni di articoli, articoletti, articolesse e trafiletti per capire che la cifra che caratterizza il giornalista compiaciuto e che si crede stocazzo (manco due righe e già una volgarità, scusate ma stanotte mi è venuto il ciclo con 9 giorni d’anticipo) è l’attacco di un pezzo basato sull’etimologia di una parola. Se stai parlando della costruzione di una strada che passa in mezzo ai campi, innervosendo gli agricoltori, non ce ne frega niente dell’etimologia latina della parola strada, non ci interessa nemmeno sapere che hai fatto il liceo classico (sapendo che, come me, l’hai fatto al solo scopo di farlo pesare a tutti per il resto della tua vita).

E tuttavia l’aggettivo pigro è così bello nel suo superlativo: quando Celio lo utilizza in una lettera per scusarsi con Cicerone del fatto di non avergli più scritto, nonostante avesse promesso di farlo: “sono estremamente pigro (pigerrimus) nello scrivere lettere, e poi sai ero occupato a fare un sacco di cose, non puoi capire”.

Io Celio lo capisco (anche perché, povero, adesso il suo nome lo collegate tutti a un marchio di abbigliamento da uomo) ed è per pigrizia che anche questo mese arrivo al 28 a mandare questa newsletter avendo solo una pallida idea di cosa scrivere. Ad newsletter scribenda pigerrima.

Due sono gli scopi di questa introduzione:

  1. Annunciare il fatto che, per festeggiare il primo anno della mia newsletter, questa sarà l’ultima uscita interamente disponibile su LinkedIn: dal mese prossimo verrà inviata, se capisco come funziona, da Substack. Così anche i 10 che vivono nel 1997 e non hanno un profilo LinkedIn potranno leggerla. Non lo faccio per i soldi, ho tolto la funzione a pagamento da Substack e comunque non escludo il fatto che mi scocci prima del tempo e che dal mese prossimo la newsletter resti solo su LinkedIn. Ricordo, come da pippone sopra, che sono molto pigra.
  2. Far pesare il fatto che ho frequentato il liceo classico.

Credo che cliccando sul link qui sotto ci si possa già iscrivere. Non so, mi sto già scocciando, io lo dico.

https://it.linkedin.com/pulse/pigre-contro-tigre-camilla-garavaglia?trk=public_post_feed-article-content

Che fatica. Iniziamo.

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“Nope. I’m pigerrimus”

Ma quale società della performance
Chi scrive i giornali e chi li legge – spesso si tratta delle stesse persone, ma vorrei sottolineare che la colpa di questo fenomeno è dei giornali e non delle persone – sa che l’interesse attorno a certi argomenti è ciclico. Per qualche giorno si parla di femminismo, poi di fascismo, poi di bullismo, poi di Sanremo (che poi è la stessa cosa: quello di Carla Bruni in tutina di Versace e di Lorella Cuccarini in minigonna non è forse bullismo verso noi tutte femmine mediamente normali?) poi dei Ferragnez e adesso per qualche giorno si parlerà di Partito democratico e di donne al potere. Una delle tematiche che girava nel periodo appena precedente Sanremo era la protesta contro la “società della performance”, quella che spinge tutti noi a lavorare fino all’esaurimento nervoso e che porta i ragazzi a competere fin dalle scuole: se n’è parlato perché proprio all’inizio di febbraio una giovanissima universitaria si è suicidata nel bagno della Iulm.

Distinguiamo le notizie: un suicidio è un suicidio, e come tale nella sua gravità va trattato, mentre la società è la società e gettarla nel semplificatioio non è mai una buona idea. Non ho l’impressione che la scuola o l’università italiana siano particolarmente competitive, ma forse sono sfortunata io a conoscere gente che si è laureata nonostante le gravissime lacune grammaticali o a trovare settecento refusi in ogni testo che leggo. Non penso nemmeno che il mondo del lavoro chieda grandi performance: semmai, la società di questi tempi in cui ci tocca vivere è una società della presenza.

Non ci si chiede la migliore delle performance, ma la più incessante delle presenze. E-mail a qualsiasi ora del giorno e della notte, notifiche di lavoro su WhatsApp anche di sera e nel week-end, telefono che squilla pure all’ora di pranzo. Per me che lavoro per conto mio va anche bene, ma so che questa cosa succede anche a dipendenti che sarebbero pagati per lavorare 40 ore alla settimana, senza obbligo di reperibilità. Fatto è meglio che perfetto, dicono, anche perché il capitalismo ci dice che è meglio vendere 100 prodotti imperfetti che non un prodotto solo, ma impeccabile.

Se dovessi fare una critica della nostra società partirei da qui: che fine si farà in un tempo in cui sono bene accette le performance scarse, ma guai a fermarsi un attimo? (Prima di rispondere “echissenefrega”, immaginatevi che la persona scarsa di cui sopra sia il medico che vi opera o l’infermiera che vi infila il catetere).

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Il candidato dia una definizione di “spirito guida”. No battute sui cateteri.

Quelli a cui manca l’onestà intellettuale
L’altra sera stavo lavorando a una delle numerose consegne che rischio immancabilmente di bucare e ho acceso la tv per avere un sottofondo (non lo faccio mai, giuro).

Per puro caso sono capitata su Belve, un programma in cui la conduttrice intervista con ritmo incalzante politici e personaggi dello spettacolo: la rapidità è fondamentale perché rende il tutto molto più fruibile a noi mentecatti disattenti e residenti dell’era in cui pure un TikTok di dieci secondi ci stufa, se non va subito al sodo.

L’intervistato del momento era Ignazio La Russa, forse una delle persone più politicamente e ideologicamente lontane da me: ad accomunarci, solo l’Inter. Con questo spirito aperto e costruttivo ho seguito il botta e risposta, pronta a sbuffare ad ogni frase, e invece mi sono trovata a constatare come il tempo addolcisca tutti, persino quelli che amano la fiamma, e li riconsegni a una moderazione un po’ naif. Ha ragione mio papà a dire che, alla fine, tutti muoiono democristiani: la risposta di La Russa sull’eventualità di avere un figlio omosessuale dice proprio questo. “Lo accetterei, ma sarei dispiaciuto, proprio come se fosse milanista: perché non mi assomiglierebbe”.

Vorrei dire che i tweet e i titoli di giornale indignati “La Russa omofobo, e pure sessista” mi hanno stupita, ma non sarebbe vero. Oltre a vivere nella società della presenza viviamo anche nella società della semplificazione, che niente di complesso accetta, figuriamoci un pensiero. Non se ne dolga La Russa: è proprio grazie alla semplificazione della realtà che il suo partito – e altri prima del suo – hanno conquistato il cuore degli elettori.

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Chi di semplificazione ferisce

Le letture del mese
La newsletter questo mese è già fin troppo lunga, andiamo veloci.

Due libri per questo febbraio doloroso ma rapido: L’utilità dell’inutile di Nuccio Ordine e Le nozze di Cadmo e Armonia di Roberto Calasso.

L’utilità dell’inutile è il regalo del mio amico laureato in Filosofia ed è la risposta a tutti quegli articoli che ci è toccato scrivere con il titolo “Le aziende cercano operai: meglio l’Itis del liceo!”.

Quando i saperi umanistici – e in generale tutti i saperi che non producono profitto – vengono considerati inutili, il mondo inizia a dare più valore “a un martello che non a una sinfonia, a un coltello più che a una poesia”. L’accumulazione di soldi e potere, con tutte le rappresentazioni del successo che questa comporta, porta a una folle corsa verso un guadagno che trascura tutto ciò che conta, dalla natura agli altri esseri umani. Un libro fatto di riflessioni, tutte importanti, nessuna banale.
In queste mie pagine non c’è nessuna intenzione di riproporre la dannosa contrapposizione tra saperi umanistici e saperi scientifici (…) geni come Galileo e Newton hanno coltivato le loro curiosità senza essere ossessionati dall’utile e dal profitto.
Per Roberto Calasso ho un debole dovuto forse al fatto che è stato proprietario, presidente e direttore di Adelphi per interi decenni, fino alla sua morte (2021). Essendo io ormai azionista di minoranza di questa casa editrice stupendamente snob, non ho potuto che apprezzare questo saggio sulla Grecia antica vista attraverso le vicissitudini non degli uomini, ma degli dèi.
Si danno due regimi dei rapporti fra gli dèi e gli uomini: la convivialità e lo stupro. Il terzo regime, quello moderno, è l’indifferenza, ma implica che gli dèi si siano già ritirati. Quindi, se loro sono indifferenti, diventa anche indifferente agli uomini se esistano o no. Questa è la peculiare situazione moderna.

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Manifesti

Il vino del mese
Ho già parlato di Cave Mont Blanc in un’altra newsletter, ma ora lo rifaccio al chiaro di luna.

Chaudelune è un vino del ghiaccio, ottenuto dalla vendemmia notturna sui vigneti più alti d’Europa tra Morgex e La Salle, con il Monte Bianco che sta a guardare. Centopercento Prié Blanc de Morgex, raccolto tra i meno sei e i meno dieci gradi centigradi.

Profumo di nocciole, noci, mazzetti di menta, il ricordo di un’albicocca secca ma non troppo. Penso che chaud sia una parola in lingua patois (in francese chiaro è clair) ma è un’ipotesi che appoggio qui senza la minima prova.

Finitelo subito perché la bottiglia è lunghissima e in frigo dà noia.

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Bottiglia lunga, però che bella l’etichetta

Ci rivediamo a marzo, forse di qua, forse di là.

Di Camilla Garavaglia

Copywriter freelance

Milano, Lombardia, Italia

Questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie e potrebbe risultare obsoleto.

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