Luglio 2014, Tour de France. La tappa è la numero cinque e gli organizzatori hanno previsto per quel giorno uno spaccato della Parigi-Roubaix, corsa che fa delle pietre una leggenda, nel cuore della Grande Boucle.
Infatti, si parte da Ypres e si arriva ad Arenberg, un nome, quest’ultimo, che sta al ciclismo come Twickenham sta al rugby o Church Road al tennis: è mito. Dici Arenberg e pensi alla foresta, un tratto inospitale di mondo che si snoda lungo una strada selciata immersa tra gli alberi e, spesso, intrisa di fango e sferzata da vento gelido. Come quel pomeriggio.
Al via della tappa, la maglia gialla è sulle spalle di Nibali e all’arrivo lo sarà ancora più saldamente, in virtù di una delle migliori performance della carriera dei siciliano che quel Tour, come noto, finirà per vincerlo. La tappa, invece, è appannaggio di Lars Boom, uno che sul pavé trova plasticamente la sua zona confortevole, mentre Nibali, in ottica classifica finale, mette una granitica ipoteca sul trionfo parigino. Ma è tutta la sua compagine, il Team Astana, a dare di sé una versione memorabile.
In maglia color celeste Kazakistan c’è anche Lieuwe Westra, un trentaduenne non molto conosciuto al grande pubblico perché impegnato sovente a fare un lavoro di gregariato, prezioso ma invisibile. Tuttavia, ha anche un certo feeling con la vittoria e, soprattutto, nel 2014 sta incontrando forse la sua migliore stagione di sempre, impreziosita dal successo in tappe di prestigio al Catalunya e al Delfinato. Specializzato in lunghi rapporti, Lieuwe è il compagno che tutti vorrebbero al proprio fianco nell’inferno del Nord, quando si è chiamati a spingere a testa bassa, dribblando pozzanghere e sassi sporgenti che lambiscono le pedivelle con l’equilibrio di un ginnasta alla trave. Del resto, il pavé non si può allenare: chi ce l’ha impresso nei cromosomi vola, gli altri si inabissano. Westra, che appartiene alla prima categoria, balza all’onore della cronaca ciclistica per alcuni settori di percorso divorati a velocità assassina, rendendosi splendido protagonista del piano di gara che porta il compagno Nibali ad eliminare dalla contesa, uno a uno, i suoi principali avversari, inghiottiti in un mix letale di scoramento e fanghiglia. Westra, per tutti, era la Bestia, un soprannome che quel giorno, a vederlo sgretolare il gruppo come una locomotiva lanciata in un moto perpetuo, divenne più che mai appropriato.
Non ha mai avuto una vita semplice. Da ragazzino, infatti, cade nel tunnel della droga e dello sballo notturno. Ha quindici anni e un futuro che pare già compromesso. Figlio di un ex ciclista, prova fin da subito a seguire le orme paterne ma l’ambizione svanisce in fretta, sopraffatta da una brutta forma di autodistruttiva sregolatezza. Getta via la bicicletta, di giorno fa l’operaio stradale e di notte si rovina la vita. Con un fisico ormai sfatto che rasenta il quintale, sette anni più tardi la fiammella si accende di nuovo, torna in sella ma questa volta lo fa sul serio. La svolta arriva nel 2009 quando gli viene proposto un contratto da professionista. Mette a disposizione i suoi quadricipiti possenti alla Vacansoleil, prima, e all’Astana, poi, sette anni con il numero appiccicato sulla schiena a sgomitare con il gotha della disciplina. Si trattasse di soccer, di lui si parlerebbe come del mediano con il fiuto del gol. Il risultato è che la sua parabola travagliata appare ora come la più classica delle storie a lieto fine. Appare, purtroppo.
A due anni dal pomeriggio di gloria, il ritiro. Il problema non è più la droga ma uno altrettanto subdolo, la depressione. La moglie è australiana e così la coppia opta per il trasferimento transoceanico, una fugace parentesi. Sì, perché dopo due anni fa ritorno in Europa, destinazione Spagna, dove, sempre con la moglie, avvia un albergo di quelli che assecondano le esigenze dei ciclisti, tanto per provare a restare agganciato al mondo che tante soddisfazioni gli ha saputo dare. Le cose sembrano anche girare per il verso giusto, perché la depressione è tenuta a bada e gli affari non sono un grattacapo. Poi la pandemia. Il mondo che in un amen non è più quello abitato fino a qualche giorno prima, l’hotel che inesorabilmente fallisce, il divorzio. Lieuwe fa la valigia un’altra volta e torna a casa, in Olanda, dove ad attenderlo implacabili ci sono le cattive frequentazioni di un passato che ritorna. Il resto è la maledetta storia di questi giorni. Lo scorso sabato, il suo corpo è stato ritrovato privo di conoscenza in casa e inutili sono stati i tentativi di riportarlo alla vita. Aveva solo quarant’anni. Non è chiara la dinamica del decesso ma poco importa, quella di Westra non è che una delle troppe vicende di umana vulnerabilità che si chiudono in tragedia per mano della depressione. Un male che, ancora nel 2023, si ha la pessima abitudine di sottovalutare.
Buon ultimo chilometro, Lieuwe. Bestia fragile che nemmeno le divinità del ciclismo hanno saputo salvare.

PREGHIERA IN GENNAIO, di Fabrizio De Andrè
Lascia che sia fiorito
Signore, il suo sentiero Quando a te la sua anima E al mondo la sua pelle Dovrà riconsegnare Quando verrà al tuo cielo Là dove in pieno giorno Risplendono le stelleQuando attraverserà
L’ultimo vecchio ponte Ai suicidi dirà Baciandoli alla fronte Venite in Paradiso Là dove vado anch’io Perché non c’è l’inferno Nel mondo del buon DioFate che giunga a Voi
Con le sue ossa stanche Seguito da migliaia Di quelle facce bianche Fate che a voi ritorni Fra i morti per oltraggio Che al cielo ed alla terra Mostrarono il coraggioSignori benpensanti
Spero non vi dispiaccia Se in cielo, in mezzo ai Santi Dio, fra le sue braccia Soffocherà il singhiozzo Di quelle labbra smorte Che all’odio e all’ignoranza Preferirono la morteDio di misericordia
Il tuo bel Paradiso L’hai fatto soprattutto Per chi non ha sorriso Per quelli che han vissuto Con la coscienza pura L’inferno esiste solo Per chi ne ha pauraMeglio di lui nessuno
Mai ti potrà indicare Gli errori di noi tutti Che puoi e vuoi salvareAscolta la sua voce
Che ormai canta nel vento Dio di misericordia Vedrai, sarai contentoDio di misericordia
Vedrai, sarai contentoTeo Parini
