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Il desiderio di conoscere, conoscere, dramma del conoscere (Inferno XXVI)

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MAGENTA – Debutto, martedì scorso, presso l’Auditorium del Liceo Scientifico ‘Bramante’ per il primo incontro della quinta rassegna culturale, dedicata a ‘Il desiderio’, targata UrbanaMente. Né luogo poteva essere migliore, poiché, come commentato dal dirigente scolastico Davide Basano (nella foto sotto), “la Scuola rappresenta un riferimento culturale importante per la vita comunitaria”. Le prossime serate, spalmate tra febbraio e ottobre, si terranno in altre sedi cittadine (CinemaTeatroNuovo e Sala consiliare), nella vicina Corbetta, presso l’Istituto ‘Aldo Moro’, e in Milano.

L’Associazione, presieduta da Daniela Parmigiani, ha infatti esteso, insieme alla proposta disciplinare (Filosofia più Poesia, Biologia, Astronomia e Psicologia), il proprio perimetro urbano. “Stiamo diventando un progetto metropolitano”, così, con orgoglio, l’ex sindaco Marco Invernizzi (tra i fondatori di UrbanaMente) ha colorato il saluto ai presenti e al relatore Giuseppe Frasso, ordinario di Filologia della Letteratura italiana presso l’Università Cattolica. “Io sono solo un professore, contento di esserlo, non un brillante conferenziere”, ha esordito (chiuderà, celiando, rivolto alla sala: “Vi ho ucciso?”) prima di avviare il proprio intervento – ‘Il desiderio di conoscere, conoscere, dramma del conoscere (Inferno canto XXVI) – “su un aspetto dell’opera di Dante spesso lasciato agli addetti ai lavori”, vale a dire, il problema della conoscenza, legato al desiderio di conoscere; perciò, si è dovuto attendere un poco per incontrare il mitico Ulisse (credo ancora adesso nella top ten dei più amati della Divina Commedia). Il Docente ha citato passi del Convivio: il desiderio di conoscere è insito nell’uomo, è un istinto datogli da Dio e, per la stessa felicità dell’individuo, non può che essere appagato (Aristotele docet). Vi sono dei limiti a questo? Frasso ha esortato a non dimenticare che il Poeta “era un cristiano del Medio Evo”, convinto che l’uomo non può oltrepassare il segno, sfidare il mistero con il solo ingegno, quindi, per ciò che supera la sua capacità di comprendere, come fa dire a Virgilio, si deve affidare a Beatrice (ovvero alla Fede, alla Grazia, alla Teologia). Ma l’Ulisse dantesco, personaggio straordinario e coinvolgente, lo fa, si scontra con il soprannaturale.

“La vicenda assume quasi le tinte di un dramma greco… un’ananké in termini cristiani”, ha chiosato il relatore. L’Itacense non è pertanto un eroe romantico, bensì tragico, la cui colpa più grave è il folle volo, ancorché arda, consigliere di frode, nel fondo dell’Inferno. “La montagna scura è l’Eden da cui il genere umano è stato scacciato e cui può tornare solo dopo la morte”.

L’Alighieri ammira l’intelligenza, l’ardore a divenir del mondo esperto di Ulisse, l’orazion picciola con cui questi sprona i compagni contiene concetti incontrovertibili, “fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza”, tuttavia lo condanna. “Solo tenendo presente il contesto medioevale, capiamo appieno l’Ulisse del Poema”, ha ribadito il Professore, che, lungi da sé il voler attualizzare Dante – “la qualcosa non si deve fare con gli autori classici” – ha concluso affermando come la riflessione sul Canto XXVI una domanda sull’oggi la ponga.

“Fino a che punto usare la nostra ragione per conoscere? il nostro desiderio di conoscenza può e deve avere qualche limite?”. Non sa la risposta, ma ringrazia Dante per avergli suscitato l’interrogativo. E qui si tratta di una faccenda etica (cristiana e laica). Molte le osservazioni dal pubblico – c’era anche il sindaco Chiara Calati – e ulteriori considerazioni su libero arbitrio e responsabilità della scelta. E’ stata una serata densa, intensa, stimolante alla cui riuscita hanno collaborato il gruppo Oida, gli studenti (nella lettura dei testi, permettetemi, si poteva e doveva fare meglio) e i docenti del Liceo. Fine (a questo punto sono io a preoccuparmi di non aver ucciso nessuno).

Franca Galeazzi

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