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Il Cavalletto, romanzo breve di Ivan D’Agostini- Capitolo 7, ultimo paragrafo

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Eโ€™ solo una convinzione, intima, personale, forse anche infantile e banale, ma quella superficie, spesso, quando mi soffermo a guardarla, mi suggerisce nella mente le immagini dei volti di amici e parenti che non vedo piรน. Non vedo piรน, perchรฉ alcuni sono morti (che brutta parola), non vedo piรน, perchรฉ la vita cambia le abitudini e le necessitร  o persino i paesi da abitare, non vedo piรน, perchรฉ alcuni di loro non vogliono piรน vedermi e non so perchรฉ (capita, si, capita anche questo nella vita, e te ne devi fare una ragione, anche se non le comprendi quelle ragioni).

Il tavolo รจ una chiesa, รจ la dottrina della conoscenza: si mangia, si ride, si scherza, si gioca, si discute, si fanno i contratti, si legge, si lavora, si dorme con il capo appoggiato al piano o stretto fra i palmi delle mani. Ci hanno corso i miei figli appena nati, i figli dei miei amici, di mia sorella,ย  i cuccioli dei cani e dei gatti che sono transitati al Caselle, i bruchi, le vespe, le api, il cetocembrice alla sera di luglio, le lucciole, Hermes e Euclide (i nostri mici), la Titti (la nostra tartaruga, che ora vive tra il dentro e il fuori, dentro dโ€™inverno e, appena la temperatura si fa un poโ€™ dolce allโ€™esterno, fuori, nel laghetto adagiato ad incasso nel prato basso,).

Ci ho colorato con i gialli e i rossi (demolizioni eย  costruzioni) i disegni per il N.O.P. (nulla osta per la prevenzione incendi), che il buon Evelino Bellato, Economo della Casa Madre dei Buoni Fanciulli della Divina Providenza dellโ€™Opera Don Calabria, per la sede milanese del Parco Lambro, venne a firmare lassรน, per non farmi fare tre volte la strada, che avevo giร  fatto quellโ€™anno (il 1993, tremendo per lโ€™esplosione del 27 luglio al P.A.C. milanese, che tolse la vita a tre poveri Vigili del Fuoco, un vigile urbano e un ignaro passante). ย In quellโ€™occasione, si gustรฒย  un ottimo risotto, preparato da Laila e consumato, per lโ€™appunto, sul tavolo sotto il portico[1].

Insomma quel tavolo, quei cavalletti, di storia ne hanno vista tanta e non รจ banale, ogni volta, volerla rievocare. Non รจ una malinconia, รจ una festa. Il passato รจ parte di noi e occorre saper guardare indietro, se si desidera percorrere la strada verso il futuro. Capisco chi non vede, i non vedenti, si ha cura di dire oggi, persone cui basta un tocco per sentire e vedere colori, forme e superfici; non sono schiavi delle apparenze, meditano e riflettono e valorizzano il tempo, senza consumarlo in inutili chiacchiericci e distrazioni formali.

E non nuoce, di tanto in tanto, attivarsi in una manutenzione, a volteย  leggera, a volte decisa.

Eโ€™ un modo per riflettere, per fermarsi dalla corsa, che ogni giorno la vita ci impone. Inutile e sciocco essere convinti del contrario. Quel tavolo, che spesso dorme sotto il tetto del portico, vive le nostre vite, le accoglie, le conserva, quasi le memorizza nei suoi fremiti, fatti da graffi, segni, macchie di tutto, come quando si gioca a carte sino alla una di notte con la Wandina (mia suocera come la chiamo io), alla โ€œBestiaโ€e ย che ci vede tutti agguerriti giocatori, pronti a combattere per il centesimo a carta e dove la puglia arriva a stento a ottanta centesimi della nostra moneta unica europea.

E chissร  cosโ€™altro potrei scrivere di quel tavolo, forse troppo, e ora stanco, per lโ€™ora, mi fermo qui. Mi fermo qui, a pensare agli altri tavoli, che guarniscono quel magnifico posto, e alle storie che attorno si sono generate.

Tavoli diversi, differenti, nulla di pregiato o di antico, che valga la pena di commercializzare, un domani, tavoli di legno, consunti dalla polvere del tempo e arricchiti, perรฒ, dal sudore della vita e dallโ€™umore della gioia.

Tavoli.

Fratel Evelino Bellato, economo della Congregazione e messo lรฌ a Milano, nella sede milanese dellโ€™Opera Don Calabria, il complesso delle scuole professionali, disegnate da Carlo De Carli architetto, storico preside della Facoltร  di Architettura milanese, durante gli anni della rivoluzione studentesca degli anni โ€™60; scampato alla tragedia del Polesine, Evelino si portava costantemente appresso il senso dellโ€™economia (quasi un ossimoro, data la sua momentanea funzione strappata alla vocazione mai soddisfatta appieno), Laila rimase colpita dal suo modo di pulire la grattugia dal formaggio, o meglio dai residui del formaggio, operando, in maniera minuziosa tra le asperitร  dei rilievi del contorno dei fori, con i rebbi della forchetta, precisando che: โ€œ anche questo xe bon e dono del Signore nostro!โ€, senza contare che lโ€™operazione avrebbe, poi, accelerato e favorito lโ€™operazione di pulizia sotto lโ€™acqua, poichรฉ, sempre da Evelino: โ€œxe piรน facile e non se impiastra su tuto con lโ€™acqua, non te pare?โ€

Ivan D’Agostini

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