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Il Cavalletto, romanzo breve di Ivan D’Agostini- Capitolo 7, Il tavolo del cantiere e del pranzo estivo

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Quello che era nato per scherzo e che avrebbe dovuto essere provvisorio, ora รจ diventato definitivo (per quanto provvisorietร  e stabilitร  siano esterni al nostro essere su questo pianeta), e mi piace pensare, che la provvisorietร  sia ancora manifesta e presente, come quando, a dispetto delle decisioni che prendo, e che immagino possano essere definitive, scelgo di cambiare colore o trattamento della superficie, di aggiungere qualcosa a quella magnifica superfetazione[1].

Eโ€™ in questa maniera che considero pregnanti e inscindibili dal manufatto i cavalletti dellโ€™Iper (dove li acquistai), le varie aggiunte, superfetazioni per lโ€™appunto, che mai, perรฒ, hanno tolto o modificato essenzialmente il disegno originario, la condizione primaria, poichรฉ le parti in piรน, le aggiunte, sono costantemente distinguibili e nulla osterebbe, un giorno, di poter riportareย  il disegno, e lโ€™oggetto, alla forma originaria.

A volte quel pezzo mi sembra un ectoplasma, che cresce con la mia voglia di non fare assolutamente nulla e di guardare, osservando i nodi del piano e i buchi, che ne costellano la superficie e che si sono addirittura accresciuti, dopo la penultima verniciata.

Un disastro, che mi รจ toccato togliere con un raschietto, lavorandoci quasi una settimana e maledendo il buon Fabrizio, che mi aveva venduto la sua vernice, spacciandomela per ย miracolosa ma che, al contrario, aveva causato una catastrofe, restituendo una superficie appiccicosa e instabile.

Ora, per il momento, quei buchi sono riempiti di uno stucco, che ho scovato nella cantina-laboratorio, un composto, che credo di aver comprato in qualche strano negozio di vernici e rimedi per il legno. Adesso, il giallognolo che adornava il bordo della cavitร , adombrando anche parte della superficie laterale, se ne รจ quasi completamente andato. Sarร  stata lโ€™umiditร , che si รจ depositata negli ultimi due inverni, saranno state le pulizie della stagione nuova di primavera, con il giallo nutriente dellโ€™olio paglierino, che viene utilizzato per il โ€œrinfrescoโ€ della superficie, prima dellโ€™inaugurazione della stagione โ€œsimangiaallโ€™apertoโ€, sarร  stato il tempo, fatto staโ€™, che ora la superficie mi sembra quella rinata dellโ€™origine.

Eโ€™ solo una convinzione, intima, personale, forse anche infantile e banale, ma quella superficie, spesso, quando mi soffermo a guardarla, mi suggerisce nella mente le immagini dei volti di amici e parenti che non vedo piรน. Non vedo piรน, perchรฉ alcuni sono morti (che brutta parola), non vedo piรน, perchรฉ la vita cambia le abitudini e le necessitร  o persino i paesi da abitare, non vedo piรน, perchรฉ alcuni di loro non vogliono piรน vedermi e non so perchรฉ (capita, si, capita anche questo nella vita, e te ne devi fare una ragione, anche se non le comprendi quelle ragioni).

Il tavolo รจ una chiesa, รจ la dottrina della conoscenza: si mangia, si ride, si scherza, si gioca, si discute, si fanno i contratti, si legge, si lavora, si dorme con il capo appoggiato al piano o stretto fra i palmi delle mani. Ci hanno corso i miei figli appena nati, i figli dei miei amici, di mia sorella,ย  i cuccioli dei cani e dei gatti che sono transitati al Caselle, i bruchi, le vespe, le api, il cetocembrice alla sera di luglio, le lucciole, Hermes e Euclide (i nostri mici), la Titti (la nostra tartaruga, che ora vive tra il dentro e il fuori, dentro dโ€™inverno e, appena la temperatura si fa un poโ€™ dolce allโ€™esterno, fuori, nel laghetto adagiato ad incasso nel prato basso). Ci ho colorato con i gialli e i rossi (demolizioni eย  costruzioni) i disegni per il N.O.P. (nulla osta per la prevenzione incendi), che il buon Evelino Bellato, Economo della Casa Madre dei Buoni Fanciulli della Divina Providenza dellโ€™Opera Don Calabria, per la sede milanese del Parco Lambro, venne a firmare lassรน, per non farmi fare tre volte la strada, che avevo giร  fatto quellโ€™anno (il 1993, tremendo per lโ€™esplosione del 27 luglio al P.A.C. milanese, che tolse la vita a tre poveri Vigili del Fuoco, un vigile urbano e un ignaro passante). ย In quellโ€™occasione, si gustรฒ un ottimo risotto, preparato da Laila e consumato, per lโ€™appunto, sul tavolo sotto il portico[2].

[1] Eโ€™ un termine che identifica, nellโ€™arte e piรน specificatamente, in architettura, unโ€™aggiunta, non coeva e dissenziente (per alcuni versi), al manufatto originale. Di fatto, una storpiatura e una bruttura rispetto al disegno originale. Spesso, perรฒ, nel corso della storia, e dellโ€™architettura, alcune superfetazioni sono finite col diventare caratterizzazioni specifiche del manufatto, tanto che sono state avvallate come presenza, nel loro significato, oltre che dalla vita vissuta dellโ€™oggetto, anche dagli studiosi stessi dellโ€™arte.

[2] Fratel Evelino Bellato, economo della Congregazione e messo lรฌ a Milano, nella sede milanese dellโ€™Opera Don Calabria, il complesso delle scuole professionali, disegnate da Carlo De Carli architetto, storico preside della Facoltร  di Architettura milanese, durante gli anni della rivoluzione studentesca degli anni โ€™60; scampato alla tragedia del Polesine, Evelino si portava costantemente appresso il senso dellโ€™economia (quasi un ossimoro, data la sua momentanea funzione strappata alla vocazione mai soddisfatta appieno), Laila rimase colpita dal suo modo di pulire la grattugia dal formaggio, o meglio dai residui del formaggio, operando, in maniera minuziosa tra le asperitร  dei rilievi del contorno dei fori, con i rebbi della forchetta, precisando che: โ€œ anche questo xe bon e dono del Signore nostro!โ€, senza contare che lโ€™operazione avrebbe, poi, accelerato e favorito lโ€™operazione di pulizia sotto lโ€™acqua, poichรฉ, sempre da Evelino: โ€œxe piรน facile e non se impiastra su tuto con lโ€™acqua, non te pare?โ€

Ivan D’Agostini

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