Quello che era nato per scherzo e che avrebbe dovuto essere provvisorio, ora รจ diventato definitivo (per quanto provvisorietร e stabilitร siano esterni al nostro essere su questo pianeta), e mi piace pensare, che la provvisorietร sia ancora manifesta e presente, come quando, a dispetto delle decisioni che prendo, e che immagino possano essere definitive, scelgo di cambiare colore o trattamento della superficie, di aggiungere qualcosa a quella magnifica superfetazione[1].
Eโ in questa maniera che considero pregnanti e inscindibili dal manufatto i cavalletti dellโIper (dove li acquistai), le varie aggiunte, superfetazioni per lโappunto, che mai, perรฒ, hanno tolto o modificato essenzialmente il disegno originario, la condizione primaria, poichรฉ le parti in piรน, le aggiunte, sono costantemente distinguibili e nulla osterebbe, un giorno, di poter riportareย il disegno, e lโoggetto, alla forma originaria.
A volte quel pezzo mi sembra un ectoplasma, che cresce con la mia voglia di non fare assolutamente nulla e di guardare, osservando i nodi del piano e i buchi, che ne costellano la superficie e che si sono addirittura accresciuti, dopo la penultima verniciata.
Un disastro, che mi รจ toccato togliere con un raschietto, lavorandoci quasi una settimana e maledendo il buon Fabrizio, che mi aveva venduto la sua vernice, spacciandomela per ย miracolosa ma che, al contrario, aveva causato una catastrofe, restituendo una superficie appiccicosa e instabile.
Ora, per il momento, quei buchi sono riempiti di uno stucco, che ho scovato nella cantina-laboratorio, un composto, che credo di aver comprato in qualche strano negozio di vernici e rimedi per il legno. Adesso, il giallognolo che adornava il bordo della cavitร , adombrando anche parte della superficie laterale, se ne รจ quasi completamente andato. Sarร stata lโumiditร , che si รจ depositata negli ultimi due inverni, saranno state le pulizie della stagione nuova di primavera, con il giallo nutriente dellโolio paglierino, che viene utilizzato per il โrinfrescoโ della superficie, prima dellโinaugurazione della stagione โsimangiaallโapertoโ, sarร stato il tempo, fatto staโ, che ora la superficie mi sembra quella rinata dellโorigine.
Eโ solo una convinzione, intima, personale, forse anche infantile e banale, ma quella superficie, spesso, quando mi soffermo a guardarla, mi suggerisce nella mente le immagini dei volti di amici e parenti che non vedo piรน. Non vedo piรน, perchรฉ alcuni sono morti (che brutta parola), non vedo piรน, perchรฉ la vita cambia le abitudini e le necessitร o persino i paesi da abitare, non vedo piรน, perchรฉ alcuni di loro non vogliono piรน vedermi e non so perchรฉ (capita, si, capita anche questo nella vita, e te ne devi fare una ragione, anche se non le comprendi quelle ragioni).
Il tavolo รจ una chiesa, รจ la dottrina della conoscenza: si mangia, si ride, si scherza, si gioca, si discute, si fanno i contratti, si legge, si lavora, si dorme con il capo appoggiato al piano o stretto fra i palmi delle mani. Ci hanno corso i miei figli appena nati, i figli dei miei amici, di mia sorella,ย i cuccioli dei cani e dei gatti che sono transitati al Caselle, i bruchi, le vespe, le api, il cetocembrice alla sera di luglio, le lucciole, Hermes e Euclide (i nostri mici), la Titti (la nostra tartaruga, che ora vive tra il dentro e il fuori, dentro dโinverno e, appena la temperatura si fa un poโ dolce allโesterno, fuori, nel laghetto adagiato ad incasso nel prato basso). Ci ho colorato con i gialli e i rossi (demolizioni eย costruzioni) i disegni per il N.O.P. (nulla osta per la prevenzione incendi), che il buon Evelino Bellato, Economo della Casa Madre dei Buoni Fanciulli della Divina Providenza dellโOpera Don Calabria, per la sede milanese del Parco Lambro, venne a firmare lassรน, per non farmi fare tre volte la strada, che avevo giร fatto quellโanno (il 1993, tremendo per lโesplosione del 27 luglio al P.A.C. milanese, che tolse la vita a tre poveri Vigili del Fuoco, un vigile urbano e un ignaro passante). ย In quellโoccasione, si gustรฒ un ottimo risotto, preparato da Laila e consumato, per lโappunto, sul tavolo sotto il portico[2].
[1] Eโ un termine che identifica, nellโarte e piรน specificatamente, in architettura, unโaggiunta, non coeva e dissenziente (per alcuni versi), al manufatto originale. Di fatto, una storpiatura e una bruttura rispetto al disegno originale. Spesso, perรฒ, nel corso della storia, e dellโarchitettura, alcune superfetazioni sono finite col diventare caratterizzazioni specifiche del manufatto, tanto che sono state avvallate come presenza, nel loro significato, oltre che dalla vita vissuta dellโoggetto, anche dagli studiosi stessi dellโarte.
[2] Fratel Evelino Bellato, economo della Congregazione e messo lรฌ a Milano, nella sede milanese dellโOpera Don Calabria, il complesso delle scuole professionali, disegnate da Carlo De Carli architetto, storico preside della Facoltร di Architettura milanese, durante gli anni della rivoluzione studentesca degli anni โ60; scampato alla tragedia del Polesine, Evelino si portava costantemente appresso il senso dellโeconomia (quasi un ossimoro, data la sua momentanea funzione strappata alla vocazione mai soddisfatta appieno), Laila rimase colpita dal suo modo di pulire la grattugia dal formaggio, o meglio dai residui del formaggio, operando, in maniera minuziosa tra le asperitร dei rilievi del contorno dei fori, con i rebbi della forchetta, precisando che: โ anche questo xe bon e dono del Signore nostro!โ, senza contare che lโoperazione avrebbe, poi, accelerato e favorito lโoperazione di pulizia sotto lโacqua, poichรฉ, sempre da Evelino: โxe piรน facile e non se impiastra su tuto con lโacqua, non te pare?โ
Ivan D’Agostini