Voglio consigliare un libro; una storia, un pianto. La Casa editrice Piemme (nota per la specialistica sui minori) si è fatta carico in Italia di pubblicare la storia della famiglia di Alan Kurdi, la foto del cui cadavere riverso su una spiaggia della Turchia, scattata dalla giornalista turca Nilüfer Demir, fece, come si dice, “il giro del mondo”. Da dove veniva quel cadaverino con la magliettina rossa, i pantaloncini blu, su una spiaggia dell’Egeo? L’annegamento era avvenuto a seguito del (prevedibile, ma non per chi è senza scelta) naufragio del GOMMONE sul quale scappava la famiglia dalla guerra e dalle persecuzioni in Siria.
La famiglia di Alan (erroneamente e forse anche un po’ disprezzabilmente chiamato ‘Aylan’ da tutto il mondo) era di etnia curda e da tempo fuggiva e tornava tra Siria e Turchia. La storia della famiglia è raccontata da TIMA KURDI, zia del piccolo Alan. Sorella del padre del bambino, Abdullah, unico superstite della famiglia al naufragio. La moglie ed i due bambini (Alan, fratello Galib e la madre Rehana), morti annegati. Abdullah, ne ho ascoltate in auto le parole alla radio qualche giorno fa, mentre andavo al lavoro; non ho potuto ascoltare l’intero servizio, ma ho fatto in tempo a cogliere la frase: “Il bambino che gridava “aiuto papà”… “. Un colpo allo stomaco. Orribile. Tima vive in Canada da 20 anni. Emigrò allora, dalla Siria, per motivi economici: «Allora per noi curdi era diverso: ce ne si andava per motivi economici. Ma oggi no, oggi si fugge dalla guerra, si scappa per non morire». Insieme al fratello sopravvissuto ha fondato la Kurdi Foundation, che si occupa di fornire cibo e assistenza ai bambini colpiti dalle guerre. Tima: «Ancora oggi non riesco a darmi pace, perché una parte di me è dovuta morire lì nel mare? Mi sento anche in colpa perché non sono riuscita a fermare Abdullah, da quell’idea del viaggio. Ma poi mi dico, cosa altro potevo fare, cosa altro potevano fare loro». Ogni anno, il 2 settembre, Tima va a trovare suo fratello che nel frattempo ha lasciato Kobane, dove sono sepolti i suoi cari, per trasferirsi a Erbil, la capitale del nord iracheno. «Lui è vivo. Ma ha perso tutto, anche la sua anima».
Alessandra Branca