I ripetuti dolori (e infortuni) del giovane Berrettini- di Teo Parini

Un'analisi purtropppo confermata dal ritiro all'Australian Open

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Matteo Berrettini ha solo ventisette anni. Poco, in generale, e pochissimo se si pensa a come i vari Federer, Nadal e Djokovic abbiano mostrato che sia possibile allungare, e pure molto, la carriera del tennista. Verrebbe da dire che tempo ne ha ancora parecchio davanti. Verrebbe. Il condizionale è quasi un obbligo perché non è che negli ultimi mesi Matteo abbia visto molto da vicino il campo, preferendo, si fa per dire, l’infermeria. Un contrattempo fisico dietro l’altro, infatti, ne ha condizionato lo status di giocatore di vertice perché se c’è una cosa che non deve mancare in uno sport così delicato è proprio la continuità di gioco.

A vederlo, Matteo pare, a scelta, uno dei due bronzi di Riace. Statuario, archetipo di fisicità e bellezza. Il problema, semmai, è che, più che di metallo, pare essere fatto di cristallo e con la scritta fragile sull’imballo: si rompe di continuo. Gli esperti fanno notare che cotanta muscolatura non sia il migliore requisito possibile per un tennista e la non-massa del più forte di tutti, Djokovic, sembra essere lì apposta per ribadire ogni volta il concetto. Matteo è un marcantonio di due metri di altezza per quasi un quintale di peso, una macchina complicata da movimentare sul campo da tennis dove il pane quotidiano sono gli scatti, brucianti e brevi, ripetuti migliaia di volte nell’arco di un match. Portarsi appresso quella massa, oltre che disfunzionale ad un gioco che esige piedi veloci e coordinazione, rischia seriamente di fare scopa con i malanni fisici.

Sarà un caso. A non esserlo è il surplus di tempo che Berrettini, una volta guarito clinicamente, necessità per riacquisire la giusta forma e, con essa, le migliori sensazioni. E le stagioni passano svelte. Ai box ormai da diversi mesi, emblematica la sua presenza in veste di tifoso sulla panchina italiana nella vittoriosa campagna della Davis Cup dello scorso novembre, l’obiettivo dichiarato era quello di ripresentarsi tirato a lucido per il primo Slam dell’anno a Melbourne. Con l’avvicinarsi dell’appuntamento, però, qualcosa dev’essere andato storto perché Matteo, giusto l’altro giorno, si è visto costretto a non prendere parte alla consueta esibizione preparatoria di Kooyong. Forse un motivo precauzionale, forse qualcosa di più serio. In ogni caso, se Matteo sprizzasse salute da tutti i pori, oggi sarebbe stato in campo a scaldare il motore in vista del complicatissimo primo turno degli Australian Open che la sorte gli ha propinato, quello con Tsitsipas, e non sul lettino a interrogare muscoli già incazzati prima ancora di cominciare. Pare essere un incubo senza fine: e infatti l’incontro col greco è saltato causa nuovo guaio fisico del tennista romano.

Peccato. Perché, pur non essendo giocatore epocale come rischia di diventare, invece, l’amico e rivale Sinner, Matteo è comunque giocatore vero, di grande sostanza; uno capace di fare finale a Wimbledon, strappando anche un set a Djokovic, e semifinale a New York, oltre che di assicurarsi un buon numero di tornei del circuito maggiore meritando per diritto di classifica la partecipazione al Master di fine anno. Ancorato nel gioco a due fondamentali da primo della classe, servizio e dritto, Berrettini è tennista che potenzialmente ha nelle corde la Top Ten in pianta quasi stabile, anche considerando il periodo storico non proprio pregno di talento. Infatti, oggi vi gravità uno come De Minaur che, con tutto il rispetto per un ragazzo che dà sempre tutto ciò che possiede, ha una cilindrata che il miglior Matteo sorpassa a velocità doppia.

Anche cercando ulteriori conferme in rete, la natura del guaio occorsogli a Kooyong non appare chiara, la speranza è che, almeno questa volta, sia solo un eccesso di precauzione e non l’ennesima ricaduta, fisica e pure morale. Sceso inevitabilmente nel ranking, come si diceva poc’anzi a Berrettini è stato abbinato il nome di Tsitsipas per il primo nobilissimo turno del Major australiano. Il greco, anch’esso dotato di un fisico da decatleta e – guarda un po’ – anch’esso assai fragile, pare non essere al top della forma a causa dei purtroppo ricorrenti problemi lombari. Insomma, quella che potrebbe essere la finale di uno Slam, non a caso è già successo per entrambi di accedervi, è un ‘banale’ primo turno e anche un match che rischia di non cominciare nemmeno o, comunque, di essere condizionato dagli infortuni. L’auspicio, a questo punto per entrambi, è che il 2024 riesca a dare loro un minimo di tregua. In quanto ad agone, si intende, perché, per il resto, sono due dei migliori interpreti del jet set modaiolo post tennis. Che non è certo una brutta cosa, eh.
In bocca al lupo, Berretto. A noi, quando fai deflagrare il dritto, piace sempre un sacco.

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