17 ottobre 1978, leggo dal mio taccuino: โMilano, martedรฌ, pioggia, ore 11, Ali, Don Giussani, caffรจ via Nirone โ A. Blok, I Dodici. 61 anniโ. Una riga scritta a inchiostro Pelikan Konigsblau in smarrimento, sufficiente perรฒ a ricostruire la quinta di quellโistante cristallizzato. La prospettiva del nero asfalto traslucido, gli ombrelli gocciolanti dei passanti in soprabiti scuri, i vetri appannati di una volante della Polizia parcheggiata davanti lโadiacente sede regionale della Democrazia Cristiana; fermo, nel caffรจ, il fumo azzurrognolo in sospensione tra i secchi ciocchi della sala di biliardo retrostante. Sul bancone di acciaio, graffiato dalle passate di canovaccio, la mia copia de โI dodiciโ di Aleksandr Blok, Einaudi, Collezione di poesia, edizione 1965, prefazione di Clara Strada Jovanovic, traduzione di Renato Poggioli. Sulla copertina il pacchetto azzurro di Gauloises caporal con lโargenteo caschetto gallico alato, numinoso schizzo di Marcel Jacno e lo Zippo, ancora in uso ai mei dรฌ. Dallo specchio mensolato, tra i colli delle bottiglie di liquore, ritorna il mio volto convalescente di caparbia adolescenza. La porta non sโera ancora richiusa e giร turbinava il distillato di Pogostemon cablin, il patchouli che annunciava Alice, in completo maglieria Benetton violacciocca. Abitava a tre minuti, in un monolocale fasciato di legno che, smorzando le parole, accordava i respiri. Ali investรฌ cento lire nel jukebox e il falsetto di โWuthering heightsโ, trionfo di Kate Bush, avvolse il caffรจ nella brughiera narrata da Emily Brontรซ. La pioggia sul suo volto, Ali mi torse lโinterno coscia e scosse il capo sorridendo un rimprovero. Quel giorno non sarebbe venuta la solitudine. Mi abbracciava in un modo solo suo, prendendomi per le spalle. Sentivo il suo capo premere tra le scapole. Mi sfilรฒ il basco nero arruffandomi i capelli tenuti lunghi. Guardammo dentro lo specchio, tra i colli delle bottiglie, i nostri volti assediati da uno statico silenzio miceneo.
Lโhai letto almeno, cosรฌ dโimprovviso. Era al bancone, un viso rotondo, lโalito che sapeva amaro di toscano, lโindice puntava il libro. Mi fissรฒ per lโattimo. Si, tu leggi. La giacca e la pioggia. Era Don Luigi Giussani, celebre professore della Cattolica. Aveva capito tutto, indicando lโautore, e aveva coniato lโespressione perfetta: il secolo canelupo. Ah fratelli, recitรฒ a memoria, sapeste gli anni terribili che ci attendono, il secolo canelupo. Si รจ ucciso. Era ancora un ragazzo. E una domanda te la faccio. Tu, anche tu sei ragazzo, e cosa avresti fatto allora? Non mi devi rispondere. Non lo devi a me. Lo devi a te stesso. Lโaccompagnava un notabile democristiano conosciuto che sorrideva con espressione compiaciuta. Giussani, cogliendone il moto lo fissรฒ duro. Poi, con un gesto paterno gli pose una mano sul braccio e gli disse, il suono carezzevole, che la domanda valeva anche per lui, per tutti. E che Dio, solo Dio, conosceva il nostro cuore. Poi uscรฌ, sotto la pioggia, a capo scoperto.
Lโestate seguente trascorremmo giorni in quel palazzo castellato da un ponteggio. Dalle commessure delle persiane accostate intrufolava lโodore della calce, i richiami gutturali di muratori, il loro passo ingigantito dalle assi, la rimostranza del geometra. Ne fuoriusciva, in diagonale, lโaroma delle nostre sigarette e dei nostri corpi. Tra le antiche solide mura profonde, si respirava unโaria umida, da grotta. Sdraiato a letto stavo leggendo, ad alta voce, โLโarmata a cavalloโ di Isaak รmmanuiloviฤ Babeโl. Un passaggio in cui narrava (vado sulla memoria) per lirici squarci, di un piccolo villaggio, un presepe composto a diorama: cagnetti, pecore, mucche, oche, galline, tacchini, da qualche parte su verso oriente, di neppure cento anime tutte radunate davanti alla chiesa di legno e subito fucilate. Il pope, con la lunga barba bianca, le vecchie che si torcevano le mani invocando il Redentore, le donne che coprivano gli occhi ai figli e i lattanti saldati con la baionetta nella gola, i pochi maschi sfuggiti braccati poi nei boschi prima del limpido tramonto e abbattuti lรฌ, le nevi sgelavano in lucenti ruscelli nel verde delle erbe di una primavera incombente. Poi il bivacco e una canzone mentre il fuoco brillava a stella cadente. Coprendosi i seni con le mani a coppa Alice si levรฒ. Ci guardammo. I lunghissimi ricci capelli castani incorniciavano il suo viso ovale dal sottile naso assiro. Andรฒ in bagno, alzai la voce per dirle che Babeโl aveva scritto quello che aveva visto nel โ20, al seguito dellโarmata a cavallo di Budรซnnyj, quando aveva ventisei anni. E che venne fucilato alla prigione Butyrka di Mosca nelle โpurgheโ del 1940. Era ebreo, quindi alto tradimento. Riabilitato nel 1954. Udii un suono ronzante e tacqui. Recentemente ho scovato in rete una sua foto segnaletica presa poco dopo lโarresto alla Lubjanka, nellโespressivo bianco e nero gli zigomi tumefatti, lo sguardo sarcastico, consapevole.
In quel tempo, quaranta anni fa, Isaak Babeโl, Aleksandr Blok, Vladรญmir Majakรณskij, Boris Pasternak, Anna Achmatova, Marina Caetaeva, Felicianov Chodasevic, Nina Berberova, Andrej Belyj, Pavel Florenskij, erano i nostri amici di cui si parlava al caffรจ, fumando e dicendo di loro con lโintimitร propria dellโamore: quasi che ciascuno di noi li avesse incontrati, scendendo da un tram, poco prima dalle parti di Corso Magenta, Piazzale Cadorna, Via Dante e avesse scambiato una battuta, bevuto una vodka, fumato una sigaretta senza filtro, scambiato una battuta, concordato un prossimo appuntamento… poi si passava a rivedere le operazioni militari dellโArmata Rossa di Semรซn Michailoviฤ Budรซnny, il bolscevico cosacco e dellโArmata Bianca di Pรซtr Nikolaeviฤ Vrangelโ, il barone socialdemocratico. A quel tempo, espressione di una cronologia numinosa, molte notti dellโinverno si spesero ascoltando il vinile dellโInternazionale e recitando, alternandosi, in piedi sul tavolo, spesso nudi con le finestre spalancate al gelo per il realismo del clima pietroburghese: brani, strofe, inni, grida. Poi ci avvoltolava tremanti in coperte fetenti di tabacco stantio. Qualcuno finรฌ per ammalarsi.
Tu cosa avresti fatto?, Alice mi chiese rientrando e distendendosi col viso sul mio petto. Le passai una mano incredula sullโispido capo polito e le chiesi perchรฉ avesse rasato i suoi bei capelli, il roveto castano ramato. La mia voce tremava. Mi rispose chiudendomi le labbra con lโindice a segreto. E mi morse allโincavo del petto, appena a far male. Tu cosa avresti fatto? Non sapevo rispondere, nรฉ a lei nรฉ al sacerdote.
Quarantโanni dopo, oggi. La domanda รจ ancora la stessa. Tu cosa avresti fatto? Sei disposto a passare dallโaltra parte? O avresti semplicemente caricato, puntato, sparato, caricato, puntato, sparato, poi acceso un fuoco, poi scaldato una gamella, poi bevuto un fiato di vodka e cantato una canzone prima di dormire sotto il cielo stellato. Avevo ventโanni. Non sapevo rispondere alla domanda. Oggi, sinceramente, non ancora. Lโaltra parte.
Mi disse che avrei agito come Isaak รmmanuiloviฤ Babeโl, grandissimo nella veritร che puรฒ la scrittura. Avrei fucilato e poi scritto, con lโardore e lโindifferenza e lโinconsapevole pietร della gioventรน davanti alla morte alla quale non si crede. Disse davvero cosรฌ, che i giovani non credono alla morte. Come non credono al caldo, al freddo, alla paura o al coraggio, credono solo alla vita che vedono, allโamore. E io avrei fatto il mio per tornare da lei al piรน presto, a fare allโamore. Disse che ne era certa. Che la rivoluzione la possono solo i giovani. Si mise a cavalcioni sul mio petto. Mi tolse i Ray Ban e si chinรฒ che le vedessi a fuoco il viso. Il suo bel volto che lโombra della persiana listava in un lutto. Scostรฒ il libro in cui una pagina accartocciata ancora oggi testimonia. Disse che anche Gesรน era giovane, solo un ragazzo. Che se fosse stato un vecchio lโavrebbero preso a deridere tirandogli sassi e merde di capre. Ma era giovane e aveva scelto lโaltra parte. Poi Ali mi baciรฒ profondamente. Un bacio, ed era lโestate.
Ancora a metร autunno non lโavevo rivista. Lโappartamento aveva le imposte serrate. Passando ripetutamente di lรฌ le vidi spalancate e mi trattenni dal chiamarla a gran voce, quando scorsi un uomo e una donna intenti ad ordinare masserizie. Nessuno sapeva piรน di lei, e me ne chiedevano. Giorni appresso ricevetti, per posta, un suo biglietto. Inchiostro nero su cartoncino candido. La sua bella calligrafia ordinata. Mi informava che entrava in convento. Che mi aveva amato. Ma non cosรฌ tanto. Ali era volata via. Posandosi dallโaltra parte, in questa vita.
Non la cercai mettendomi in contatto col suo genitore che pure aveva saputo o intuito di me, incontrandolo una sola volta nel raccolto alloggio. Osservava quella minuscola lignea dimora, con la riservata silenziosa esitazione di un padre, consapevole di sua figlia nuda, spoglia con un uomo. Alice, orfana di madre defunta negli anni della sua prima adolescenza, non aveva fratelli. Lโaltra parte. Non ho piรน saputo nulla di lei. Due sillabe, un battito. Ali. 1917-2017. 17 ottobre. Centโanni. Il secolo canelupo. Blok
Emanuele Torreggiani