Quel viaggio
Andrò in Oriente per cinque o sei settimane: agli scavi di Delfo e di Micene, alle rovine di Troia.Queste visitazioni votive sono richieste dai miei studi attuali. Mi sono rituffato nell’Ellenismo»: è con tali parole che, il 10 luglio 1895, Gabriele D’Annunzio annunciava al suo editore Treves le motivazioni che lo indurranno a intraprendere il viaggio verso la Grecia. In realtà l’intento dannunziano non era quello di esplorare luoghi a lui stranieri, ma di osservare con i propri occhi ciò che aveva precedentemente letto nelle opere greche classiche. Il viaggio gli permise infatti di rivisitare i luoghi descritti da Omero e dagli autori greci, precedentemente conosciuti tramite i loro scritti. Prevista tra il 18 o 19 luglio da Brindisi, la partenza, a causa delle pessime condizioni meteorologiche, fu anticipata al 13 luglio: l’imbarco a bordo dello yacht Fantasia1 di proprietà di Edoardo Scarfoglio avvenne dal porto di Gallipoli.Oltre al celebre giornalista, compagni di viaggio furono Guido Boggiani, pittore di fama, fotografo, esploratore poi morto assassinato da un indio in Paraguay durante uno dei suoi tanti viaggi ed esplorazioni nella giungla di quel pare sudamericano), Georges Hérelle, insegnante di filosofia e traduttore ufficiale delle opere dannunziane in Francia, e Pasquale Masciantonio, avvocato.
Qui oggi il ricordo va proprio a Guido Boggiani ( Pittore-Fotografo-Etnologo, nato a Omegna nel 1861 e ucciso come detto da un indigeno nel 1902 in Paraguay e in quel di Puerto Casado ) che passò parte della sua giovinezza sul Lago Maggiore e nipote di un illustre figlio di Turbigo : Giuseppe Genè – Zoologo italiano, nato a Turbigo il 9 dicembre 1780, morto a Torino il 14 luglio 1847. Studiò nell’università di Pavia dove si laureò in filosofia nel 1801. Fu poi assistente alla cattedra di storia naturale in quell’università, tenuta allora dallo Zendrini.
Ultimo Ulisside
Guido che dalle dolci acque
del Cusio dove di San Giulio
quell’eremo, lì son vergini pie
al silenzio votate lor sol muta
è concessa a Dio la preghiera,
si specchia al centro solitario,
e da quelle ceruele acque
del Verbano dall’isole che il
Santo patrono milanese noma
punteggiate a te lidi del patrio
focolare un dì lontan lasciati,
forte il desiderio la brama tua,
ultimo Ulisside, di solcar mari
nuove acque per lo spirito bere
alla mente portare nuove ampie
conoscenze e all’animo di goder
di luoghi nuovi e di bellezze
nuove ai più ignote sconosciute
e ti sorrise così l’Egeo mar isole
dove si rincorron i Miti antichi,
dove la man tua con abil tocco
su tela mise di qualle greca
civiltà le rovine antiche, la man
che a Olimpia più volte toccò
di Prassitele il marmoreo Hermes
e gli occhi chiari tuoi di pianto
si bagnaron e da ultimo poi
l’Oceano oltre le colonne d’Ercole
e ben lontan solcato il piede tuo,
nuov’acqua sconosciuta, toccò
quel fiume quel Rio Paranà
e alla vision che gli occhi infiamma
la Bolivia selvaggia del Chaco
gli Indios dalla bella nudità
selvaggia nuove piante insetti
nuovi uccelli dal piumaggio
strano e la giungla del Paraguay
selvaggia ultima meta del tuo
umano viaggio che qui volle
crudel destin fosse da man
violenta la tua luce spenta.
No, no ancor tu Ultimo Ulisside
vivi: questo per te in Maia
il canto dell’amico Vate:
“Ed uno di noi, che taceva
con fronte ostinata, era sacro
a morte precoce, più caro
d’ogni altro agli iddii come eletto
a perir giovine e in atto
di compier l’impresa cui s’era
devoto con anima salda.
Or quegli nella memoria
più fortemente mi vive;
e lui vedo presso la ruota
del timone in quel punto,
ritto su le gambe sue snelle
e nervose di corritore
del lungo stadio, guatare
con gli occhi chiarissimi il solco.
In verità, fra i compagni
egli era il più pallido. Quasi
esangue appariva il suo vólto;
ma i suoi biondi capelli
sorgevano senza mollezza
su la robusta ossatura
della fronte nata a cozzare
contra l’impedimento;
e di virtuoso rilievo
su’ chiarissimi occhi era l’arco
dei sopraccigli, sobria
la bocca e di netto discorso,
agile il collo se bene
la nuca sì ferma paresse
ch’io le comparai la cervice
d’Eràcle che l’Etra sostiene
tra la bella Espèride e Atlante
nella metòpe d’Olimpia.
Ei ne sorrise. Ma certo
gli sovrastava continua
l’imagine immensa d’un cielo.”
Or ascolta da lontano questa voce Guido:
“Son qua, Ulissìde.„
“Su, svegliati! È l’ora.
Sorgi. Assai dormisti. Odi il vento. Su! Sciogli! Allarga!
Riprendi il timone e la scotta;
ché necessario è navigare,
vivere non è necessario.„
Giuseppe Gianpaolo Casarini