MORIMONDO – Il popolo di Comunione e Liberazione ha tributato ieri, nell’abbazia di Morimondo, l’estremo saluto cristiano a Giuseppe Albetti, morto di Covid a 74 anni venerdì scorso.
Compostamente, a centinaia, gli amici di Giuseppe e di una famiglia simbolo per il movimento fondato da don Luigi Giussani- gli Albetti, coi fratelli Carlo e Roberto, vicesindaco di Abbiategrasso, in primis- si sono riversati in una Morimondo dove la pioggia ha smesso di scendere, lasciando le famiglie, i genitori, i bambini con gli occhi spalancati a contemplare la bellezza del complesso monastico cistercense.
La Santa Messa è stata officiata da don Eugenio Nembrini, nato a Trescore Balneario il 3 maggio 1957. Ordinato sacerdote il 19 giugno 1982, ha lavorato per quattro anni nella parrocchia romana di San Basilio, affidata alla comunità missionaria del Paradiso. Rientra a Bergamo nel 1986 dove svolge la sua attività sacerdotale prima a Zingonia, poi come parroco a Lonno e in seguito ad Azoica. Nel 1995 parte missionario fidei donum per il Kazakistan fino al 2005. Rientra in Italia e lavora presso la scuola paritaria “Sacro Cuore” di Milano, prima come vicerettore e poi come rettore. Dal 2014 vive a Roma e guida la comunità di Comunione e Liberazione di Roma e Lazio.
Pregna di significato, e carica di evocazione nel solco del carisma e della parola scritta di don Luigi Giussani, l’omelia del sacerdote.
Sulle panche del cenobio c’era un’immaginetta di Giuseppe Albetti con iscritte parole molto forti ed evocative: L’uomo vale in quanto libertà. Quello che è gesto nuovo è la persona stessa.
“Giuseppe mi aveva invitato a ottobre per il suo anniversario di nozze, ma non ho potuto esserci. Oggi però sono qui a celebrare la sua vita in Cristo, la rinascita che per noi cristiani ha la forza che vince tutto, anche la morte.
Giuseppe era un uomo vivo che non ha mai avuto paura della sua umanità, seguiva il Vangelo con entusiasmo. E in ogni luogo vedesse un punto vero e di umanità lui c’era, come Gesù disse a Pietro. Quando emerge la rete di pesci, nella sovrabbondanza umana, il Vangelo descrive l’eccezionalità di quella vita. Ed ecco perché io immagino Giuseppe come Pietro, che di fronte al riconoscimento di Giovanni si butta nella acque, nella vita e nell’umano. Oggi un mio amico ha raggiunto la Sua casa, oggi tu abbracci quel che hai desiderato tutta la vita, avendo e inseguendo la libertà.
Dall’insegnamento di don Giussani a oggi, con la letizia e la gioia che ti hanno sempre distinto e con cui hai sempre aderito a quel volto. Ti chiedo e ti chiediamo questa certezza, quella del destino buono e di una casa che ci accoglie e ci attende, e che adesso per te è definitiva. Perché non basta la morte: la verità è che per morire in pace bisogna cominciare presto. Assieme al paradiso ci sono tante cose, tu faccelo gustare fin da qui. Fai della nostra vita un cammino certo verso di te,in modo definitivo e lieto. Niente come la morte rende evidente e totalizzante Gesù Cristo. Hai già trovato le braccia spalancate di Gesù che ti aspettava. E adesso te la godrai per l’eternità. Giuseppe ci ha indicato la strada di Cristo, quella strada che Dio utilizza per abbracciarci e camminare con noi. Grazie Giuseppe, perché ognuno di noi può diventare strumento di Dio in mezzo a noi, come la tua vita ci ha mostrato”.
A fianco di Roberto Albetti c’erano molti politici e rappresentanti istituzionali del territorio: il sindaco di Abbiategrasso Cesare Nai, l’assessore Beatrice Poggi, il consigliere Michele Pusterla, il presidente del Parco Ticino Cristina Chiappa, il direttore Claudio De Paola.
E mentre il feretro di Giuseppe Albetti si dirigeva verso il cimitero, su Morimondo è ricominciato a piovere. Sullo sfondo la Bellezza eterna dell’abbazia, dove 1000 anni fa, come ci ha ricordato Benedetto XVI, i monaci cistercensi vennero a ‘quaerere Deum’, a cercare Dio. Ieri come oggi. Come Giuseppe Albetti.
F.P.