Oggi, con la cronometro della Costa dei Trabocchi, prende il via il Giro d’Italia numero 106. Evenepoel e Roglic, i due grandi favoriti, sono pronti a darsele di santa ragione ma, finalmente, è tutto il campo dei partecipanti ad essere tornato ad essere di grande prestigio. Come nel 2010.
Back in the days.
28 maggio, l’anno, appunto, è il 2010. Il Giro d’Italia entra nel vivo, la tappa è di quelle che i corridori circolettano di rosso sul calendario già in inverno all’atto della presentazione della manifestazione rosa. C’è tanta montagna da scalare, quasi routine se non fosse che tra le difficoltà proposte dagli organizzatori c’è anche il Mortirolo, soprattutto il Mortirolo. Il mostro, la tesi di laurea per ogni grimpeur, un nastro d’asfalto maledetto che si arrampica verso il cielo, il giudice supremo di ogni velleità. Qui, in un angolo inospitale di mondo, nacque il mito di Marco Pantani e non poteva andare diversamente.
In maglia rosa al mattino c’è David Arroyo, un mezzo carneade ma con attributi non comuni, bravo ad accumulare un enorme vantaggio con la fuga bidone di qualche giorno prima, con la strada che ha fatto della sua caparbia resistenza un’arte nobile. David non lo dice, ma un pensierino alla vittoria finale lo sta facendo di sicuro. Ai favoriti della vigilia, ora fin troppo attardati, spetta il compito di ribaltare il tavolo. Su tutti Ivan Basso, Cadel Evans e Carlos Sastre. Il gotha, gente che in giornate di questo tipo innesta marce riservate alle occasioni speciali.
Piove, tanto per complicare le cose, ma, se il tempo è incerto, in seno alla Liquigas capitanata dal varesino le idee sono terribilmente chiare: scateneranno un inferno. In fuga ci sono l’eterno Garzelli, già vincitore dell’edizione del 2000, e Vinokourov, quello delle fughe impossibili che diventano possibili oltre che gloriose. All’imbocco della salita, in località Mazzo di Valtellina, Basso, una volta esaurito il lavoro dei suoi gregari, imprime un forcing assassino che fanno male i quadricipiti solo a guardarlo. Arroyo è tignoso almeno quanto lucido, infatti non risponde alle bordate del rivale ma mantiene il sangue freddo e sale del suo passo. A differenza di Evans che, al contrario, prova a resistere ad un indemoniato Basso al punto che il fuorigiri inebitabile gli costerà la deriva.
Con questi presupposti che a definire solo bellicosi si fa un torto all’agone del momento, si forma un terzetto al comando e, con Basso a fare da locomotiva, restano agganciati il compianto Michele Scarponi e un giovane Vincenzo Nibali, delfino di Ivan che si rivelerà determinante oltre che già fortissimo. La bellezza di Basso in salita è abbacinante e fa rima con eleganza. Mani al centro del manubrio, cadenza ossessivamente regolare da farlo sembrare un robot, schiena immobile da poterci posare una coppa di Champagne sopra con la certezza di non rovesciarla. Lo spettacolo del ciclismo. La fatica immane, poi, gli impone sempre un ghigno tutto particolare, marchio di fabbrica inconfondibile che finisce per scoraggiare le velleità del rivali: Ivan, infatti, pare sorridere.
Il varesino ha talmente birra in corpo che potrebbe involarsi tutto solo, e forse la gloria lo avrebbe anche preteso, ma la tattica, insieme a cuore, testa e gambe, è aspetto inscindibile del ciclismo moderno e in tal senso la presenza del compagno al fianco, soprattutto in discesa, è un bene di inestimabile valore. Tattica, manco a dirlo, vincente. Basso continua a scandire il ritmo in salita senza voltarsi mai, come solo i grandi interpreti della montagna sanno fare, dà qualche pedalata in fuori sella per rilanciare l’azione, controlla i distacchi sempre più ampi alle sue spalle, sente la maglia rosa sulla pelle come uno squalo fiuta l’odore del sangue.
Domato il Mortirolo sarà Vincenzo, quale interprete meraviglioso nell’arte della discesa, a pilotarlo a valle, prima dell’ascesa finale che Basso, con un Giro sempre più vicino, affronta alla stregua di una lunga cronometro. È l’arrampicata dell’incasso, quella del tutto o niente. Da lì a un’ora sarà ovviamente tutto.
Scarponi – encomiabile con quella faccia sempre un po’ cosi, come avrebbe detto di lui Paolo Conte – vincerà la tappa ma ad attendere Basso all’arrivo c’è il simbolo rosa del primato, perché la sua è l’azione destinata agli annali che decide la corsa rosa, il secondo sigillo nella carriera del campione italiano.
Il mondo del pedale celebra in un giorno speciale il presente, Basso, e il futuro, quello di Nibali che molto presto comincerà a imprimere la sua legge. Scarponi, invece, andrà incontro ad un destino terribile lasciando un vuoto incolmabile tra gli aficionados del pedale. Oggi, tredici anni più tardi, sarà ancora una volta Giro d’Italia. L’augurio è che a Roma, tra tre lunghe settimane spese tra sudore, rapporti da cambiare e cuore gettato oltre l’ostacolo, possa arrivare tinto di rosa il più forte, il più coraggioso, il più spettacolare.
Il ciclismo, grazie a pagine di epica come quella scritta da Basso in un pomeriggio di ormai tredici anni fa, vince a prescindere. Buon Giro d’Italia a tutti.
Teo Parini