MAGENTA “Voi sapete bene, cari artisti, che l’esperienza del bello, del bello autentico, non effimero né superficiale, non è qualcosa di accessorio o di secondario nella ricerca del senso e della felicità, perché tale esperienza non allontana dalla realtà, ma, al contrario, porta ad un confronto serrato con il vissuto quotidiano, per liberarlo dall’oscurità e trasfigurarlo, per renderlo luminoso, bello.
Una funzione essenziale della vera bellezza, infatti, già evidenziata da Platone, consiste nel comunicare all’uomo una salutare “scossa”, che lo fa uscire da se stesso, lo strappa alla rassegnazione, all’accomodamento del quotidiano, lo fa anche soffrire, come un dardo che lo ferisce, ma proprio in questo modo lo “risveglia” aprendogli nuovamente gli occhi del cuore e della mente, mettendogli le ali, sospingendolo verso l’alto. L’espressione di Dostoevskij che sto per citare è senz’altro ardita e paradossale, ma invita a riflettere: “L’umanità può vivere – egli dice – senza la scienza, può vivere senza pane, ma soltanto senza la bellezza non potrebbe più vivere, perché non ci sarebbe più nulla da fare al mondo.
Si legga questo verso di un poeta polacco, Cyprian Norwid: “La bellezza è per entusiasmare al lavoro, / il lavoro è per risorgere” (n. 3). E più avanti aggiunge: “In quanto ricerca del bello, frutto di un’immaginazione che va al di là del quotidiano, l’arte è, per sua natura, una sorta di appello al Mistero. Persino quando scruta le profondità più oscure dell’anima o gli aspetti più sconvolgenti del male, l’artista si fa in qualche modo voce dell’universale attesa di redenzione” (n. 10). E nella conclusione afferma: “La bellezza è cifra del mistero e richiamo al trascendente” (n. 16).
L’arte, in tutte le sue espressioni, nel momento in cui si confronta con i grandi interrogativi dell’esistenza, con i temi fondamentali da cui deriva il senso del vivere, può assumere una valenza religiosa e trasformarsi in un percorso di profonda riflessione interiore e di spiritualità”. (Benedetto XVI, INCONTRO CON GLI ARTISTI Cappella Sistina
Sabato, 21 novembre 2009 )
“Nella nostra storia di galleria,incominciata nel 1979, abbiamo sempre riconosciuto all’arte un valore e un ruolo universali, considerandola la più alta espressione umana di creatività visiva.Nel solco sublime che l’Italia nel tempo ha saputo tracciare,noi ci sentiamo promotori di un’artisticità che non conosce né limiti né soste, ma che per il suo essere “italiana” si apre al mondo” www.galleriamagent.it, homepage
Prima istantanea, 1992. Le vasche lungo la via Roma di noi, post adolescenti d’un comune vicino ma piccolo, che il sabato pomeriggio vagano nomadi a rimirare le ragazze, che a Magenta erano di più e più belle. Nel perenne girovagare, a un certo punto, alle vetrine del Tony, dei vestiti, degli alimentari, della pizza al trancio d’un noto dettagliante, si scorgevano vetrine dal contenuto diverso. Dipinti, forme d’arte, forme che si lanciavano al cielo, sculture, oggetti, tele, quadri.
Era la Galleria Magenta di Germano Cattaneo, che già da diversi anni (1979) lanciava alla sua città un elegante guanto di sfida provocatoria. La forma, i segni, gli stilemi del Bello- che nel magistrale discorso di Benedetto aprono all’uomo la coscienza della sua finitudine aperta tuttavia alla Trascendenza e all’Infinito.
La Bellezza, l’Arte, le forme (scultoree, pittoriche) messe in vetrina d’una città, Magenta, dedita al produrre, al generare ricchezza, e denaro, spesso senza il benché minimo sguardo a tutto quello che va oltre il materico (ed il denaro). Città di modesto mecenatismo, di grandi fortune economiche ed industriali (specie allora, oggi meno), dove la classe dirigente ed imprenditoriale non ha certo brillato per visione e proiezione capace di varcare le anguste soglie del produrre, beni e benessere.
Ed invece il cuore dell’imprenditore, del produrre, del lavoro, è sempre stata fortemente connesso alla dimensione sociale, identitaria, extra economica del lavoro. Una sorta di plus valore che l’Italia ha elevato a modello nel mondo, dal Rinascimento alle corti, sino ad arrivare alla straordinaria produzione libraria delle banche (come quella Popolare di Abbiategrasso), che fino a pochi decenni fa editavano straordinari libri su arte e cultura.
Tutto cancellato, dissolto. Banca Intesa chiude bilanci da 4 miliardi di utile, le altre banche seguono a ruota, ma la correlazione col territorio (e i patrimoni artisticii che custodiscono) è piegata alle logiche sempre più globalizzate e immateriali del profitto, sic et simpliciter. Scompare la moneta, si smaterializza il pagare, e tutto assume la tetra caratteristica di un vorticoso fiume di denaro che supera l’economia reale: le transazioni finanziarie, oggi, sono enormemente superori al totale ammontare della produzione e della cosiddetta economia reale.
Germano Cattaneo, che per anni aveva aperto una coraggiosissima ed elegante vetrina a fianco dell’abbazia di Morimondo (laddove i monaci, mille anni fa, erano venuti per ‘quaerere Deum’, cercare Dio e irrorare di Bellezza i campi e le terre tutt’attorno al complesso cistercensem), ha rappresentato un unicum. Che oggi prosegue nello stesso, identico solco tracciato 44 anni fa, grazie a una figlia appassionata ed arsa dalla stessa contagiosa passione come Nicoletta. Ricordiamo i sorrisi orgogliosi della serata in cui si celebrarono i primi 40 anni, le tante vernici delle mostre cui abbiamo presenziato, dove tra ironia e calici di spumante l’Arte si spargeva a mo’ d’ideale contraltare al vociare indistitinto e disattento del cuore magentino, la stessa via Roma degli esordi.
Anni fa chiesero a Giovanni Reale, tra i più grandi filosofi italiani del Novecento, cosa significasse per lui Cultura. “La cultura è il tempo dell’eterno”, rispose. Icastico, iconico.
“Godremo, dunque di una visione, o fratelli, mai contemplata dagli occhi, mai udita dalle orecchie, mai immaginata dalla fantasia: una visione che supera tutte le bellezze terrene, quella dell’oro, dell’argento, dei boschi e dei campi, del mare e del cielo, del sole e della luna, delle stelle e degli angeli; la ragione è questa: che essa è la fonte di ogni altra bellezza” (Sant’Agostino)
Germano Cattaneo e la Galleria Magenta sono stati ed hanno fatto esattamente questo. Hanno eternizzato il momento, costruito un luogo dove ogni uomo potesse aprirsi alla grandezza ed al mistero del Bello. Dobbiamo e possiamo dirgli GRAZIE, e volgere uno sguardo meno disattento a quelle forme e quelle tele, quando passeremo davanti a quelle luccicanti vetrine.
Fabrizio Provera