Possiamo dire che Brexit sia il più grande evento geopolitico dal 1989 ad oggi. Interessante è il fatto che a voler uscire dall’Unione Europea non sia uno degli Stati in difficoltà del Sud Europa,penalizzati dalle politiche di austerity (vedi Grecia) e con economie che faticano a ripartire dopo la crisi del 2008, e nemmeno uno dei Paesi del Gruppo di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria) fortemente disallineati alle politiche sociali di Bruxelles. A sorpresa il primo membro a voler abbandonare l’Unione è una potenza economica, finanziaria e nucleare: La Gran Bretagna. Dietro la scelta dei sudditi di Sua Maestà vi sono sia ragioni economiche che socio-culturali.
Gran Bretagna-Europa, storia di un rapporto mai sbocciato
La volontà di partecipare ma non troppo della Gran Bretagna al progetto europeo può avere diversi motivi: primo su tutti la storia, trionfale, del Regno Unito, postosi sempre come il paladino della pace e degli equilibri europei. Ogni qual volta una potenza continentale diveniva troppo potente e metteva in pericolo l’ordine costituito, ecco che Sua Maestà era pronta ad intervenire per ripristinare l’ordine: fu così per le varie coalizioni anti-francesi nelle guerre napoleoniche e anti-tedesche nelle due guerre mondiali (può quindi Londra sottomettersi ad Unione a trazione franco-tedesca?), pensiamo anche all’Unità d’Italia, prima di intraprendere il percorso unitario Casa Savoia dovette aspettare il benestare della Corona inglese.
E’ sicuramente anche la propria posizione geografica a influire sul comportamento britannico verso il continente, il suo essere al di là della Manica e a Nord del continente la pone in una posizione di indubbio vantaggio che gli inglesi han saputo sfruttare al meglio.
L’Europa è vista come uno dei soggetti della propria politica estera. Questo è il pensiero britannico dai tempi di Churchill e lo dimostrano le scelte intraprese da Londra nei confronti dell’UE.
La decisione, nel 1973, di aderire alla CEE non fu certo dettata da un sentito europeismo, ma anzi,fu la naturale conseguenza dello sfaldamento politico, economico e commerciale dell’impero britannico che impose l’apertura delle dogane inglesi al mercato europeo come uscita di sicurezza. Non sorprende quindi la mancata adesione sia all’Euro che al sistema Schengen.
Altro dato di fatto è che la Gran Bretagna non è mai stata favorevole alla creazione di un “esercito europeo”, sintomo della volontà di accettare un’Europa unificata, ma sostanzialmente contraria (coerentemente alla propria storia) ad un’Europa fortemente unificata che significherebbe a guida germanocentrica. In poche parole possiamo dire che Londra non ha mai realmente fatto il tifo per l’Europa.
Il futuro oltre l’Europa: la proiezione mondialistica del Regno Unito
A differenza degli stati continentali che improntano le proprie mosse di politica estera in maniera confusionaria, senza una vera e propria strategia comune ma interfacciandosi sempre con attori più importanti (gli Stati Uniti), il Regno Unito, nonostante il mantenimento degli ottimi rapporti con gli USA, ha una propria strategia globale e ne sono una prova i possedimenti di ben quattordici territori, con fini strategici militari, sparsi per il globo (da Gibilterra all’Antartide passando per i Caraibi e le Falkland). Economicamente l’uscita più o meno hard dal mercato comune verrà rimpiazzata da una maggiore concentrazione sul Commonwealth, potendo contare su economie di prim’ordine come quelle candese e australiana, ma soprattutto di paesi emergenti quali India, Sudafrica e Malesia. Inoltre la possibilità di potersi approcciare al mercato internazionale senza i vincoli di Bruxelles favorirà sicuramente un aumento degli scambi commerciali e, soprattutto, finanziari con Cina e Russia. Senza infine dimenticare che Londra potrebbe, dopo l’eventuale e ancora incerta Brexit, fare come Norvegia e Svizzera: aderire all’EFTA (Associazione europea di libero scambio, fondata nel 1960, con l’obiettivo di favorire il libero scambio tra gli Stati membri che ancora non avevano aderito alla CEE).
In caso di Brexit, chi sarà a perderci?
Non sappiamo ancora se si realizzerà Brexit, o piuttosto Bremain, né possiamo immaginare se le conseguenze di tali scelte saranno positive o negative sull’economia britannica. Sicuramente però alcuni dati e alcuni fatti ci possono indurre a pensare che l’Unione europea, nel caso si verificasse l’uscita della Gran Bretagna, perderà un membro di prim’ordine. Il Regno Unito versa come contributi all’Unione oltre 10 Miliardi di euro e ne riceve indietro poco più della metà: 6 miliardi circa (dati del 2017). Conseguenza diretta è che Londra diverrebbe una concorrente in più sul mercato internazionale, libera di giocare la propria partita senza sottostare, come detto prima, alle norme di Bruxelles. E’ poi utile ricordare che la London Stock Exchange controlla dal 2007 controlla la Borsa italiana e nel 2016 ha annunciato la fusione con Deutsche Borse (la borsa tedesca), informazioni utili per capire la forza finanziaria britannica in confronto a quella di due, delle tre, più potenti economie continentali.
Ultima considerazione, ma non da poco, è il fatto che l’Europa non perde solo un membro fortissimo economicamente e finanziariamente, ma anche militarmente, visto che la Gran Bretagna è una potenza nucleare e militare con diritto di veto all’ONU.
Considerazioni sul futuro dell’Europa
Nel caso si verificasse, l’uscita del Regno Unito sarebbe un pericolosissimo precedente per Bruxelles, e infatti il tentativo di imporre una Hard Brexit è visto come la volontà dei vertici UE di sensibilizzare gli altri Stati: punirne uno per educarne ventisette.
Ma l’uscita di Londra non è solo frutto di meri calcoli economici, è sintomo anche di un’Unione europea che piuttosto che attrarre nuovi partner spaventa i suoi stessi partecipanti, la grossa e lenta macchina burocratica europea è un disincentivo per scommettere sul futuro dell’Europa (pensiamo che dal 2000 al 2013 il Parlamento europeo ha varato circa 52 mila nuove norme). Infine in un momento storico particolare come quello attuale Brexit può essere letta come la realizzazione del nuovo sogno britannico di ritornare una potenza globale di primo piano, come fu ai tempi dell’Imperial.
Matteo Grassi