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Gabe Lee – “Drink the River” (2023) – by Trex Roads

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Attenzione: questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie.

Potrebbe contenere informazioni obsolete o visioni da contestualizzare rispetto alla data di pubblicazione.

Adoro i cantastorie, è un fatto. Da sempre mi innamoro degli artisti che non scrivono canzoni banali e nei testi riescono a raccontare storie intense, complesse, che muovono l’anima. Invidio chi riesce in poche righe a condensare dei piccoli film, quella capacità di scrivere testi in cui tutti si possono riconoscere almeno in una fase della loro vita.

Per questa ragione amavo alla follia il primo Springsteen, le storie vere di Darkness on the Edge of Town o The River (che aggancio involontario con il titolo di questo disco!). Sono pochi i cantautori che ci riescono oggi. Non che i testi degli artisti di cui vi parlo settimanalmente non lo facciano, ma non tutti riescono così bene a dipingere personaggi e paesaggi come fossero dei libri.

Mi sono avvicinato a Gabe Lee proprio perchè ne ho sentito parlare in questi termini: uno che raccontava storie e lo faceva mischiando influenze country, folk e blues.
Gabe è alla sua quarta fatica discografica, ma ci arriva con maturità e coraggio, come si conviene ad un artista che ormai sa cosa può dare e ne è consapevole.
Nativo di Nashville, ha sfruttato in pieno questa fortuna prendendo spunti e assorbendo influenze e storie da quella che è sempre stata considerata Music City.
Il suo è un viaggio, nel senso che è un artista che non si è fatto strada con i social media, non ha sbancato Youtube o Tok Tok, ma si è fatto largo con il passaparola e concerti su e giù per gli Stati Uniti. Alla vecchia maniera, possiamo dirlo, come piace a me.
In questo viaggio che è stata la sua carriera ha raccolto storie e ispirazione per arrivare a questo Drink the River: una raccolta di 8 pezzi autografi più una cover stupenda.
Gabe Lee ha “asciugato” il suo sound, quello che potete apprezzare nei suoi dischi precedenti e ci regala storie acustiche, dove la potenza sono le parole e la sua voce intensa e incisiva.
Niente arrangiamenti ricercati o evoluzioni sonore, lo spazio è tutto per i personaggi e i loro viaggi.
E il disco comincia con la ricerca di qualcosa per staccarsi dalla “gravità” che questa realtà ci impone e che ci grava sulle spalle, The Wild è una ballata acustica che ci mostra subito un grande cantautore e una voce che non si può ignorare.
Una melodia allegra con il mandolino e gli archi, un’apertura solare mentre il testo di Even Jesus Got The Blues è potente e ci narra dell’epidemia di oppiodi e il tragico viaggio nelle dipendenze di una donna sul “lato oscuro della strada”, anche se il titolo regala ironicamente una speranza alle vite che cadono verso il basso.
La title track è bellissima. Ecco, non servirebbero altre parole per descriverla: una storia in cui il protagonista antepone l’amore a tutte le sfortune della vita, con ancora una prova maiuscola della voce di Lee, che trova in un arrangiamento essenziale oscillante fra il folk e il country, la sua collocazione perfetta.
C’è una cover in questo disco ed è una scelta coraggiosa e, se vogliamo, inusuale per un cantautore.


Una delle canzoni più intense e sottovalutate dell’intera discografia di una delle più grandi band rock di tutti i tempi e, di certo, una delle più sfortunate: i Lynyrd Skynyrd.

All I Can Do Is Write About it non è solo una canzone stupenda, ma anche un manifesto per tutti i cantautori che vivono la realtà. La resa del pezzo è perfetta e viene regalato un doveroso e fantastico omaggio ad un brano che è meraviglioso, nella sua semplicità.
Girando in tour in lungo e in largo si ascoltano storie e proprio una di queste storie è alla base di Merigold, una piccola cittadina del Mississippi. Gabe ci narra la storia di un uomo, e l’autore racconta di averla sentita proprio da lui, che deve affrontare la sua vita e il suo futuro dopo aver perso per un cancro, l’amore di tutta la sua vita. Incisiva, potente e dannatamente bella, un blues folk di classe purissima.

Gli spunti per le sue storie sono i più vari e nella malinconica Lidocaine riporta, anche qui direttamente, la storia di un tassista che riceve una diagnosi di demenza precoce e cerca un modo per anestetizzare la realtà. La voce di Lee è nata per raccontare, così come la sua penna.
Eveline è la nuova versione della sua canzone più amata del suo disco di esordio Farmland del 2019 e, come nella sua prima, è una splendida canzone d’amore.
Il lavoro si chiude con una fantastica e solare ballata country, Property Line sulla storia di un uomo che cerca di difendere in maniera testarda la sua proprietà di 100 acri e con essa i suoi valori. Splendido il lavoro del banjo.

Un disco d’altri tempi, per un autore così anacronistico da essere più attuale di tanti suoi colleghi maggiormente celebrati. Narratore come ne esistono pochi e che racchiude dentro di sé tutte le abilità della grande tradizione americane dei cantautori folk e country.

E’ un disco con una forte malinconia di fondo, ma con sempre un’apertura di speranza, di un raggio di sole pronto a farsi largo o di un sorriso ironico pronto a cambiare l’umore della storia.
Drink The River va assaporato e gustato senza la fretta della musica moderna, sedetevi sulle rive del fiume di Gabe Lee e ascoltate le sue storie ne varrà di certo la pena.

Buon ascolto,
Claudio Trezzani by Trex Roads

Nel mio blog troverete la versione inglese di questo articolo.
www.trexroads.altervista.org

Questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie e potrebbe risultare obsoleto.

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