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ESCLUSIVA di Ticino Notizie. Gianni Bugno si racconta. Sono un ragazzo fortunato

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MAGENTA –  A latere della presentazione della BUGIA ROSA, la nostra Arabella Biscaro ha intervistato Gianni Bugno, il grande campione del ciclismo che a distanza di trent’anni continua ad essere amato da schiere di appassionati.

“E’ stato fra i più grandi talenti del ciclismo italiano di tutti i tempi. Un fuoriclasse dall’albo d’oro d’altissimo livello, in grado di primeggiare nelle grandi classiche e nelle grandi gare a tappe, in montagna come nelle sfide contro il tempo.

Con stile ed eleganza, quel che si dice l’innata classe in bicicletta”. Leggiamo sul suo sito. CLASSE ed ELEGANZA che torneranno come elementi caratterizzanti questa sera per un progetto di tuo figlio Alessio che in meno di sei mesi ha creato un prodotto che è un marchio….

Gianni, i numeri che ti accompagnano come campione sono conosciuti da tutti (vincitore del Giro d’Italia nel ’90, campione del mondo a Stoccarda nel ’91 e a Benidorm nel ’92,…), Il 1990 è un anno particolare: 30 anni fa vincevi il Giro d’Italia…. cosa ricordi di quel Giro?

 Il 1990 è stato un anno particolare per me perché è l’anno in cui è nato mio figlio Alessio e ho vinto il Giro d’Italia. Ho scelto il ciclismo a suo tempo per passione, poi è diventata una professione. La bicicletta è stata parte integrante della mia vita, ho speso la maggior parte della mia vita in bicicletta.Oggi sono impegnato in ambiti diversi, non ho la possibilità di portare con me la bicicletta ma ci sono occasioni cicloturistiche o di beneficenza a cui partecipo volentieri.

Continui a collezionare traguardi, come più di 5mila ore di volo in quasi vent’anni come pilota di un elicottero, un tuo grande sogno, nato quando eri piccolo…

Dopo gli studi la storia ha voluto che iniziassi la carriera ciclistica, 15 anni da professionista e ho speso la mia giovinezza in bicicletta. Poi ho continuato il mio sogno di volare, iniziato quando ero alle medie, ho preso il brevetto mentre ancora stavo correndo e ho dedicato il resto della mia vita al volo. Ora è la mia professione.

In quello che hai fatto ti sei buttato sempre con impegno, al cento per cento, adesso in questo nuovo progetto come in passato, impegno e tenacia che ti hanno permesso di diventar e il campione che sei stato. Cosa ti ha restituito la passione per le due ruote?

Tutto lo sport insegna a non mollare mai, a crederci, a farlo con determinazione. Non ho mai pensato che il ciclismo fosse meno fortunato del calcio. Penso che il ciclismo, lo sport in genere, insegni a un giovane a crescere, a maturare con gli insuccessi. Non voglio fare il filosofo, ma a me la bicicletta è stata importante: ogni volta che prendevo una legnata o sbagliavo mi insegnava a ottenere risultati.

Torniamo all’elicottero: per sette anni hai avuto la possibilità, in qualità di pilota degli elicotteri RAI che trasmettono le riprese televisive, di seguire dall’alto il Giro d’Italia: quali erano le emozioni nell’insolito punto di vista?

Sì, era anche un panorama diverso, un modo per far vedere alla gente anche qualcosa di diverso, consigliavo gli operatori non sempre esperti di ciclismo. Oggi non faccio più riprese.

Gianni Bugno è comunque dentro il mondo del ciclismo: a settembre 2018 per la terza volta consecutiva i ciclisti professionisti di tutto il mondo hanno scelto di farsi rappresentare da lui e ha iniziato il suo terzo mandato come presidente dell’Associazione Internazionale dei Corridori. 

Ho letto che, una volta terminata l’attività agonistica nel ’98, hai regalato le maglie, le medaglie e i trofei conquistati in una carriera da fuoriclasse ad amici e conoscenti. Tuoi colleghi hanno allestito uno spazio museale per i tifosi… Come mai hai fatto questa scelta?

Tutti me le chiedevano e io le regalavo, ad un certo punto sono anche restato senza. Mi chiedono ancora oggi abbigliamento di vent’anni fa…. Ma se avessi tutto quell’abbigliamento dove potrei metterlo? Troppa fatica a metterlo a posto… Non ho più nulla e così non devo mettere a posto nulla.

Tu non ti senti un mito. Eppure hai compiuto imprese e regalato emozioni che solo i miti sanno regalare, tutto questo grazie al tuo durissimo impegno, alla vita piena di sacrifici. Cosa succede quando ci si imbatte in un mito che realizza un nuovo progetto?

Penso di aver fatto il giusto per quello che sognavo. Un mito non lo sono. Sono un corridore che ha raggiunto buoni risultati, alcuni ottimi. Forse potevo fare qualcosa di più se mi impegnavo…. Mito non è una parola che mi si addice, mi sento più coriaceo.

Beppe Conti, giornalista e scrittore sportivo, nel fare la tua biografia, non dimentica di citare “la gloriosa maglia dell’Atala” con cui tu vincesti “la classica italiana più impegnativa, il Giro dell’Appennino, battendo Francesco Moser, a sorpresa, con uno sprint straordinario, a Pontedecimo, nell’entroterra genovese”. Tu come ti sentisti?

Normale…. Io non avevo mai sottovalutato o sopravvalutato nessun avversario, forse Moser mi aveva sottovalutato….E’ stata una vittoria voluta. Mi sono trovato in una situazione congeniale per me e non me la sono lasciata scappare. E stata una vittoria molto bella anche perché fatta davanti ad un grande campione, di cui ero anche un giovane fan.

A cura di Arabella Biscaro

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