Malgrado i ‘giornaloni’ non ne parlino – perché fa più trendy parlare di altri diritti civili e via discorrendo – non si può continuare a tacere o a minimizzare le persecuzioni e le atrocità di cui sono oggetto, da decenni, i Cristiani nel mondo. La cosa più triste è che tutto questo avviene nell’indifferenza pressoché generale. Eppure, i numeri ufficiali sono spaventosi.
L’Ong Porte Aperte nei mesi scorsi, ha pubblicato il suo rapporto annuale, la World Watch List 2019, secondo la quale sono saliti a 245 milioni i Cristiani perseguitati a causa della propria fede. Sui 150 Paesi monitorati, 73 hanno mostrato un livello di persecuzione definibile alta, molto alta o estrema (punteggio superiore a 41), mentre l’anno scorso erano 58. Il numero di cristiani uccisi per ragioni legate alla fede è salito dai 3.066 dello scorso anno ai 4.305 del 2018, con la Nigeria ancora principale terra di massacri, non solo per mano dei terroristi islamici di Boko Haram. Solo in Nigeria i cristiani uccisi sono stati 3.731, con villaggi completamente abbandonati.
Molti degli attacchi sono stati messi a segno per ragioni legate all’accaparramento delle terre dagli allevatori islamici fulani.
Sono 11 i Paesi che rivelano una persecuzione definibile estrema. Al primo posto ancora la Corea del Nord: qui si stimano ancora tra i 50 e i 70mila cristiani detenuti nei campi di lavoro per motivi legati alla loro fede. Anche Afghanistan (2°) e Somalia (3°) totalizzano un punteggio superiore ai 90. In una posizione di “tutto rispetto” si colloca anche il Pakistan, al quinto posto. Non c’è solo il caso di Asia Bibi a far discutere, ma anche aggressioni, ingiusti incarceramenti, sentenze di pena di morte per blasfemia ed almeno 28 assassini documentati di Cristiani.
E’ stato calcolato che statisticamente ogni giorno nel silenzio più generale, vengono uccisi almeno 12 Cristiani nel mondo. Ma il problema per i media non esiste o, comunque, è più comodo girarsi dall’altra parte a battere la notizia in poche righe. Spesso questa strage d’innocenti, come documentato, avviene in Paesi governati da veri e propri regimi e dove l’Islam è la religione che va per la maggiore. Disconoscere questi fatti oggettivi significa da un lato annullare definitivamente la propria storia e identità religiosa e culturale – un processo che in Europa appare ormai irreversibile – ma, contestualmente, approcciarsi al complesso rapporto con il mondo islamico (non con tutto ma almeno con una parte di esso, quella più intollerante e dove l’aspetto politico e quello religioso diventano un tutt’uno) in modo quanto meno disonesto a livello intellettuale.
A questo proposito, Ticino Notizie ripropone integralmente l’articolo pubblicato dal giornale Tempi a firma di Leone Grotti dello scorso 27 agosto. Qui si parla dell’ennesima strage avvenuta in Eritrea. Ringraziamo una nostra lettrice che ci ha segnalato il servizio, perché limitandoci al mainstream propinatoci quotidianamente difficilmente avremmo avuto notizia di questo ennesimo massacro. Buona lettura
F.V.
Il 18 agosto, il regime ha arrestato 80 cristiani. I 70 fedeli detenuti il 23 giugno sono stati portati in una prigione sotterranea. Cinque preti ortodossi sono stati imprigionati e a sei dipendenti del governo è stato imposto di «rinunciare a Cristo»
Non si ferma la nuova ondata di persecuzione contro i cristiani in Eritrea. Dopo la chiusura di 21 ospedali cattolici, almeno 150 cristiani sono stati arrestati in soli due mesi in diverse città. Ad altri è stato chiesto davanti a un giudice di rinunciare alla fede cristiana.
Il 18 agosto, come riportato da World Watch Monitor, 80 cristiani sono stati arrestati a Godayef, un’area vicina all’aeroporto della capitale Asmara. Sono stati portati alla vicina stazione di polizia e da allora sono scomparsi. Il 23 giugno altri 70 cristiani appartenenti alla Faith Mission Church of Christ erano stati arrestati a Keren, la seconda città più grande dell’Eritrea.
RINCHIUSI IN TUNNEL SOTTERRANEI
Tutti e 70, tra i quali 35 donne e 10 bambini, sono stati trasferiti nella prigione di Ashufera. Questa non è altro che un insieme di tunnel sotterranei, la cui entrata si trova a 30 minuti di distanza a piedi dalla città. Come riportato da una fonte locale a World Watch Monitor, «le condizioni di vita all’interno sono dure. I detenuti sono costretti a scavare nuovi tunnel ogni volta che i funzionari del regime portano dentro nuovi prigionieri».
La chiesa della Faith Mission Church of Christ era l’ultima rimasta aperta nella città di Keren. La congregazione, che esiste in Eritrea da 60 anni, aveva chiesto nel 2002 di essere registrata ufficialmente ma non ha mai ricevuto risposta. Dopo l’arresto dei cristiani, anche la scuola gestita dalla comunità è stata chiusa.
«RINUNCIATE AL CRISTIANESIMO»
Il 16 agosto, sei cristiani dipendenti del governo sono stati arrestati e portati davanti a un tribunale ad Asmara. Qui il giudice ha preteso che gli impiegati rinunciassero alla loro fede, ma questi hanno risposto che «non siamo disposti a negoziare la nostra fede in Gesù». Tutti e sei sono stati rilasciati per il momento in attesa del verdetto.
L’8 luglio anche l’ultimo ospedale gestito dalla Chiesa cattolica è stato confiscato dal regime. La chiusura forzata delle strutture, che offrono assistenza gratuita a 170 mila persone all’anno, era cominciata a giugno. La Chiesa ha protestato spiegando che «privarci di queste istituzioni mina la nostra stessa esistenza ed espone i nostri dipendenti, religiosi e laici, alla persecuzione».
Lo Stato ha requisito le cliniche alla Chiesa per vendicarsi delle critiche rivolte dai vescovi al governo del dittatore Isaias Afewerki, che continua a rimandare le riforme democratiche promesse, nonostante il conflitto militare con l’Etiopia sia ormai concluso. Il regime vorrebbe essere il solo fornitore di cure mediche, ma la gente preferisce affidarsi alla Chiesa, che ha strutture migliori e professionisti più dedicati.
La persecuzione non riguarda solo cattolici e protestanti: il 13 giugno sono stati arrestati cinque preti ortodossi che risiedevano nell’antico monastero di Debrè Bizen. I religiosi sarebbero colpevoli di aver sostenuto il patriarca della Chiesa ortodossa, Abune Antonios, agli arresti domiciliari dal 2007, da quando cioè si è opposto all’interferenza del regime nella vita della Chiesa ortodossa.
La Costituzione eritrea del 1997 garantisce il rispetto di tutti i diritti umani, ma non è mai stata realizzata. Dopo anni di promesse, finalmente nel 2002 lo Stato ha ammesso quattro confessioni religiose: Chiesa ortodossa, Chiesa cattolica, Chiesa evangelica luterana e islam sunnita. I loro fedeli hanno una limitatissima libertà di culto, tutti gli altri neppure quella. Ancora oggi, nelle oltre 300 carceri, ufficiali e non, sparse per il paese languono più di 10 mila prigionieri politici e di coscienza in condizioni spaventose. I cristiani incarcerati per la loro fede sono «migliaia», il dato più credibile si aggira intorno alle tremila unità e si può essere arrestati anche solo per il possesso di una Bibbia.