Ps Il titolo di questo pezzo è un omaggio al più Grande, all’Immenso Principe della Zolla, Gioanbrerafucarlo, che salutava così, su Repubblica, Beppe Viola.
Gino a noi piaceva molto perché aveva talento e imprevedibilità: un giorno andava piano, quell’altro fortissimo. Così, a sensazioni in un mondo scientifico nella sua robotica pianificazione. Forte, come quando nel 2021 vinse una tappa al Giro d’Italia e chiuse, da maglia bianca di miglior giovane, quinto alla Vuelta.
Gli organizzatori del Giro di Svizzera in corso di svolgimento, per la corsa di ieri avevano previsto l’arrivo, di una tappa dall’orografia inequivocabilmente alpina, giù in bassa valle ai piedi di un’ultima velocissima discesa, Qualcuno dice di aver letto sul computer fissato al manubrio velocità superiori ai cento orari, roba da far impallidire le moto. Ora che Gino dopo un volo di svariati metri giù nel burrone non c’è più, la tentazione di puntare il dito contro chi ha pensato di rendere decisiva una discesa mozzafiato in condizioni di scarsa lucidità, ciò a causa della tanta salita già divorata dai corridori nel corso della tappa, è comprensibilmente forte. Noi, però, questo errore non lo faremo.
Il compianto Fabio Casartelli in quel pirenaico giorno di luglio perse la vita cascando in discesa ad inizio tappa, un cippo in pietra a bordo strada gli fu fatale. Ma, appunto, al traguardo mancava ancora una vita. La discesa è esercizio al limite, sempre. Questi ragazzi hanno capacità tecniche da marziani e con un mezzo di nemmeno otto chili di peso per le mani disegnano curve discendenti alla velocità della luce come tracciate da un compasso. È il loro mestiere e lo sanno meglio di noi che li ammiriamo in poltrona: in quei frangenti la vita è appesa a un filo. Gino – che come ogni ciclista di questo mondo ama follemente il suo lavoro, se no non si spiega la volontà di fare una fatica bestiale in una vita satura di sacrifici – anche ieri stava dando di sé la migliore versione possibile, che nello specifico significava prendere pancia a terra la strada che scende come un cavatappi per fermare in fretta il cronometro sulla linea del traguardo. È il desossiribonucleico griffato degli uomini un po’ speciali in ciò che fanno.
La chiamano deontologia professionale, noi preferiamo dire amore incondizionato per il ciclismo; disciplina che proprio in queste giornate di merda, nelle quali ti vien voglia solo di buttare la bicicletta in discarica, si conferma efficace paradigma della nostra esistenza: un po’ meravigliosa e un po’ crudele. Gino aveva da poco compiuto ventisei anni, e ciò rende bene l’idea dell’immane tragedia che siamo qui a raccontare. Con la difficoltà insormontabile di chi, il ciclismo, proprio non lo riesce ad odiare mai, nonostante tutto e nemmeno oggi, ma che quando un idolo se ne va troppo presto perde per sempre un pezzetto di sé.
Cosa dire che in circostanze simili possa non risultare banale? Nulla. Gino, ovunque tu sia ora, non scendere dalla bicicletta e quando la strada sale, senza mai voltarti indietro come solo i grandi, scalcia sulle pedivelle il più forte possibile. Perché se smetti tu, smettiamo anche noi.
Buon ponte campione, ci si becca in strada per una sgambata insieme. A tutta, ovviamente.
Teo Parini