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E’ maggio: Corbetta renda onore alla memoria dei quattro padri di famiglia, i Vinti del primo Dopoguerra

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“Il sogno di mio marito era che in piazza Beretta sotto la lapide che ricorda Pierino Beretta fosse posta una seconda lapide col nome dei quattro padri di famiglia: 

Enrico Resta, Achille Scevola Ruscellotti, Vittorio Saracchi, Carlo Cucchiani. 

Che senza aver commesso fatti riprovevoli furono sacrificati in nome di non si sa quale giustizia”.

Facciamo nostre le parole di Alberta Maronati Resta, vedova del compianto senatore Giuseppe Resta, figlio del tenente Enrico Resta, uno dei quattro corbettesi uccisi nel maggio del 1945 a Corbetta (quindi dopo la fine della guerra) perché negli anni trascorsi avevano aderito chi alla Repubblica Sociale, chi al fascismo. Nel caso di Enrico Resta, che nel biennio 1943-45 consentì persino ad alcuni partigiani di salvarsi, in modo beffardo oltre che tragico.

Dopo aver celebrato il 25 aprile, noi crediamo che sia venuto il tempo di accogliere l’invito apparso tre anni fa, nella prefazione del libro di Andrea Balzarotti dedicato a una vicenda- storica e umana- rimasta sepolta nella memoria per decenni.

Sarebbe ora che quella richiesta divenisse realtà, e che a promuoverne la realizzazione- in un’ottica di vera, autentica, reale pacificazione storica e nazionale- tutte le forze politiche presenti in Consiglio comunale. Nell’attesa, riproponiamo il pezzo che Emanuele Torreggiani scrisse tre anni fa. Ancora splendidamente attuale.

F.P.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Vae victis, la celebre espressione di Livio dimostra, nella concreta e abissale profondità, il significato unico della storia: strage. Così soppesavo, stamane nella Sala Grassi di Corbetta, invitato alla presentazione del volume Quattro padri di famiglia, scritto dal dottore Andrea Balzarotti che collaziona articoli riguardo vicende relative al maggio del 1945. Una diaspora tutta italiana, o meglio, tutta centro nord italiana. Fatti che conosco bene avendone scritto nel 1991, per il settimanale locale che allora dirigevo Città Oggi. Articoli, credo di ricordare usciti in sei puntate, che fecero un gran rumore nei paesi e mi diedero fama di fascista. Personalmente, come nota biografica, mi sento libero sia dal fascismo che dall’antifascismo, ma sia. Dopo venticinque anni dalla stesura quelle pagine si sono sedimentate dentro di me. Ricordo con precisione quelle interviste, lunghe e faticose, sia per gli interlocutori che furono testimoni oculari e che parlandone riannodavano il dolore annullandone la cronologia, sia poi per me scrivendole in quanto l’oralità procedeva tra ellissi temporali, crisi di pianto, esplosioni di rancore mai sopito, e solidi silenzi. Fu una grande esperienza umana e professionale. Quell’intrico gordiano di passione, dolore, rabbia e amore, esprime appieno l’uomo, la sua soggettività. La pretesa quindi che la storia dia risposte oggettive è autenticamente impossibile. L’uomo si esprime in quanto soggetto ed ogni soggetto mostra una soggettiva. La storia, i fatti accaduti, le loro cause e le loro conseguenze si compongono nel nostro mondo, nell’attuale. Nel farsi della storia di adesso. L’oggettività della storia è pura presunzione. Ci furono stragi fasciste e naziste che all’indomani della fine della guerra furono contrappassate da altre stragi. Dalle due debolezze nacque la repubblica democratica italiana. L’equiparazione dei morti, antifascisti e partigiani prima, fascisti poi, è improponibile fuori dal perimetro della religione: dentro la religione vive il concetto del perdono, dentro la politica si coltivava e si coltiva il principio del capro espiatorio. Quindi è perfettamente confinata dentro il principio cristiano l’espressione del Prevosto di allora che, a fucilazioni avvenute, disse erano ‘quattro padri di famiglia’, riferendosi così al dolore delle vedove degli orfani e non dando con ciò alcuna valutazione politica. Ma la società è politica. E la politica esige anche il cinismo. E cinicamente quegli uomini ebbero il torto di stare o sostare incapaci sino all’ultimo dalla parte perdente. Lo scrivo consapevole della durezza di questa valutazione. A pagina due di questo libro due righe valgono molto di più di tutte le pagine seguenti e precedenti: “Alle elezioni tenutesi il 24 marzo del 1929 su 2021 elettori avevano votato in 2053, di cui 2035 a favore del partito fascista e 18 contrari”. Eccoci, Italiani! Quei diciotto sconosciuti danno il pieno valore del pensare, la sua solitudine. Sempre minoritari e sempre costantemente perdenti pur tuttavia espressero ed esprimono, allora come oggi, ch’è possibile uscire dal pensiero unico. Mentre ascoltavo le varie prolusioni dalla piazzetta antistante alcuni antifascisti in servizio permanente effettivo intonavano, come fosse un mariachi, Bella Ciao e la melodia entrava nella sala da una finestra che avevo aperto io. Una ragazza ha provveduto a chiuderla. Peccato perché quella canzone, struggente e malinconica, era l’unica possibile per il tema proposto, una lirica di amore e di morte, di terre spalancate che hanno atteso vincitori e sconfitti e attendono ora noi e domani i figli nostri e figli dei figli finché il buon Dio darà giorni a questo mondo. Vae victis.

Emanuele Torreggiani

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