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Dall'archivio:

Dopo Panatta, la Bertè, il Crazy Horse e le follie di Mac, dopo Gigi Rizzi noi cultori dello Spirito tennistico abbiamo l’erede: è Nick Kyrgios. Un miscuglio sapiente di volèe, follia, birra… e gambe di donna- di Teo Parini

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Come spesso accade parlando di tennis, l’assioma dev’essere attinto dal pensiero di Rino Tommasi. Disquisendo sul gioco del doppio, e in particolare del poco appeal esercitato sulle masse, il Maestro un giorno ammonì i presenti asserendo che il problema non fosse la disciplina in sé, peraltro gradevole, ma la scarsa qualità di coloro che usualmente vi si cimentano.
In altre parole, i giocatori migliori fanno altro e quelli che finiscono per imporsi, financo dominando, devono la gloria più alle assenze che ai meriti propri.
Per motivi comprensibili, su tutti il danaro, da McEnroe in poi – per dirla alla Fleming, suo storico partner, il sodalizio più forte di ogni epoca sarà sempre costituito da SuperMac e un altro preso a caso – nessun top player si è più dedicato in maniera assidua al doppio col risultato che nell’ultimo ventennio a recitare la parte dei leoni sono stati i fratelli Bryan, quando è andata bene, o in alternativa carneadi dalla manualità approssimativa in cerca del ripiego per una carriera da singolaristi mai sbocciata. Come se le squadre di calcio più blasonate smettessero di disputare la Coppa Italia e l’albo d’oro della manifestazione iniziasse a celebrare compagini di serie minore.

Tanto per rinverdire una storia piuttosto utile alla narrazione, se con la memoria si torna indietro fino alle Olimpiadi di Pechino 2008, Federer e Wawrinka, senza una preparazione specifica, con l’affiatamento così così ma un talento di base infinito, disposero dei due americani piglia-tutto senza mai dover alzare i giri del motore e si presero l’oro a dispetto di avversari per solito abituati a vincere. C’è di più, Roger in quel torneo fu a metà servizio a causa dei postumi severi della mononucleosi ma fece lo stesso passare gli avversari per alunni al primo giorno di scuola.
Come sempre Tommasi ci aveva preso: benché il doppio, almeno in linea teorica, preveda quale requisito meccanismi oliati, schemi consolidati, applicazione e conoscenza intima del compagno, è sufficiente mettere la racchetta in mano a due singolaristi mutuamente estranei ma di eccellenza, buona mano e altrettanto umore positivo per far calare il sipario sulle ambizioni dei cosiddetti specialisti.
Un nobile precursore: Adriano con la divina Loredana Bertè
Mettiamo ora per un istante che Nick Kyrgios e Thanasi Kokkinakis, accovacciati sul bancone di un pub vuoto causa ora tarda, decidessero, forse perché sbronzi, di chiedere una wild card agli organizzatori del torneo di doppio in una prova del Grande Slam da giocare insieme. Il Major più scanzonato quindi più affine all’indole dei personaggi in questione: gli Australian Open, en passant, pure il torneo di casa. Non a caso l’hanno ribattezzato ‘Happy Slam’, perché fare casino è piuttosto normale, una manna dal cielo per due ragazzi svegli per i quali prima la vita, con le sfaccettature dei vent’anni, poi il tennis.
Cosa succederebbe, a quel punto, se Nick non si dimenticasse l’ora del match e ‘The Kokk’ riuscisse a godere di due settimane di buona salute? La risposta è semplice: la strana coppia aussie alzerebbe il trofeo perché deborda di una abbacinante forma di talento che sradica ogni considerazione tecnico-tattica possibile.
IL benchmarck di riferimento: Mac
Infatti, per chi ancora non lo sapesse, è proprio andata così. Quelli che i tifosi australiani hanno ribattezzato coppia Special K giocando sui cognomi dei protagonisti, al termine di una cavalcata più irridente che trionfale si è davvero imposta quale migliore. A conferma della premessa iniziale, a farne le spese – tra gli altri – anche i croati Pavic e Metkic, rispettivamente numero uno e due al mondo nella disciplina nonché prime teste di serie del seeding. Se non eccezionali, due che avvezzi lo sono di sicuro.
Giocando a braccio sciolto colpi estemporanei scevri da una straccio di idea a monte, mentre gli avversari irretiti cercavano di attingere soluzioni a salve dai manuali del tennis, Nick e Thanasi senza prendersi sul serio nemmeno per un quindici hanno restituito al talento, inteso come la capacità di fare con semplicità cose che altri non fanno, il ruolo non affatto scontato di protagonista. La magia di un gioco, che in un passato luminescente fu arte, troppo spesso brutalizzato dall’efficacia muscolare sparagnina, quella che avvicina asintoticamente l’uomo alla macchina e relega, appunto, il talento a inessenziale comparsa.
Una vittoria, conta poco in termini globali trattandosi pur sempre di un gioco ma quella resta, che in questa bella storia di amicizia, spontaneità e sorrisi è anche chiusura del cerchio. Su questi stessi campi, ormai quasi una decina di anni fa, i due amiconi disputarono uno contro l’altro la finale del torneo juniores lanciando all’universo del tennis un messaggio da futuri dominatori grazie a qualità intrinseche da predestinati.
Non giocava a tennis.. ma tra le lenzuola: Gigi Rizzi
Le vite sportive dei due ragazzi, tuttavia, hanno preso direzioni poco conciliabili con il professionismo esacerbato e quello che egoisticamente avremmo voluto accadesse è rimasto un desiderio. Ma il rimpianto è solo nostro. Kyrgios, quello che per la narrazione mainstream è arrogante perché osa anteporre un sacco di attività meravigliose al lavoro, giochicchia quando gli pare e piace e sostanzialmente lo fa per rimpinguare le casse della fondazione che porta il suo nome e opera affinché meno bambini nel mondo versino in condizioni di difficoltà e privazione. Kokkinakis, forse qualche match in più sarebbe anche disposto a farlo, ma ha un conto aperto con la sfiga e adesso, con la salute che viene e che va, prende con serenità quel che accade senza perderci troppo il sonno. A ben pensarci, uno strepitoso inno alla normalità.
INFRAMEZZO:  QUANDO GIGI RIZZI SCRISSE A BRIGITTE BARDOT

Gigi Rizzi a Brigitte Bardot

2004

Cara Brigitte,
ti scrivo da un altro mondo, da un’altra vita, da un’altra città. Cerco un fiore per quegli occhi che una volta facevano frrrr e oggi si commuovono per le foche e le balene. Mi volto indietro e rivedo Saint-Tropez, la bolgia infernale dell’«Esquinade», le interminabili notti tra l’«Escale» e il «Papagayo», e una sera in cui c’eri tu ad applaudire les italiens. Auguri. Conosco il tuo indirizzo per esserci passato in un tempo remoto, quando la gioia di vivere era sulla faccia di ragazzi e ragazze e tutti avevamo un sogno.

Era il ’68, e io me lo giocavo a piedi nudi ballando sui tavoli per piacere, per conquistare, immaginando che non sarebbe mai arrivato domani. Avevo 24 anni, in terra di Francia mi sentivo un moschettiere: bevevo micidiali «cointreau» con Johnny Holliday e giocavo a calciobalilla con Gilbert Becaud nei pomeriggi diplace Delice, poi rapivo qualche amica sulla spiaggia di Pampelonne e aspettavo il tramonto come un bambino.

Ero fidanzato con la notte quando ci siamo conosciuti. Sembravi un marziano, un extraterrestre di stratosferica bellezza. Ma non eri quel personaggio dispotico descritto dai giornali. Eri fragile, malinconica, intelligente, sensibile, gelosa dell’intimità: diventavi furibonda se qualcuno la violava. Come i fotografi, che usavano il flash come un bazooka. Ci sono miti costruiti sul cartone: niente balle, tu eri vera. Per questo piacevi tanto. Chi ti era vicino si sentiva l’uomo più importante del mondo. Avresti voluto respirare anche la sua aria.

Sento ancora oggi la deriva di quell’estate insieme, e ogni tanto mi chiedo che cosa sarei senza quel bombardamento mediatico che trentasei anni fa mi portò, con la tua foto, sulla copertina di Newsweek. Forse sarei rimasto un signor nessuno e avrei avuto meno foto sui giornali, ma la mia vita sarebbe stata la stessa, come il capitale affettivo che sento intorno a me. La famiglia, i figli, gli amici sono la conquista più importante. Anch’io voglio bene agli animali e apprezzo le tue battaglie ecologiste. Ma non ho mai condiviso quel che pensavi allora: gli animali non tradiscono, gli uomini sì. Io, nonostante tutto, credo negli esseri umani. Mi piace la scelta che hai fatto di contraddire i luoghi comuni. È una prova di coraggio, non bisogna nascondersi al tempo.

Tieni duro, Brigitte, ma cerca di non vedere solo nemici intorno a te. Se tornerai nell’altro mondo, quello in cui io vivo innamorato e felice, troverai ancora un amico.

A bientôt

Gigi Rizzi e Brigitte Bardot vissero un amore travolgente a Sant Tropez, nell’estate del ’68. Rizzi scrisse questa lettera aperta a Brigitte Bardot in occasione del 70 anni dell’attrice, nel 2004. È stata pubblicata dal quotidiano Il Corriere della Sera

Cosa che dovremmo imparare a fare un po’ tutti, perché ad esasperare la serietà laddove non risulti fondamentale per vivere si finisce con lo sprecare gli anni migliori. E infatti gli Special K, a proposito di futuro, hanno prontamente avvisato di non attendersi repliche programmate. Li rivedremo, soli o in coppia, e ne siamo certi ma non si sa né quando né dove. Del resto imbrigliare la bellezza, dea sfuggente, nelle pagine di un calendario è un irredimibile delitto. Si gode quando c’è, viceversa ci si attrezza per vivere il meglio possibile.
Comunque, a ben pensarci, anche Londra è piena di pub. Magari Wimbledon per quei due diavoli può valere una messa. Magari.
di Teo Parini

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