Come spesso accade parlando di tennis, l’assioma dev’essere attinto dal pensiero di Rino Tommasi. Disquisendo sul gioco del doppio, e in particolare del poco appeal esercitato sulle masse, il Maestro un giorno ammonì i presenti asserendo che il problema non fosse la disciplina in sé, peraltro gradevole, ma la scarsa qualità di coloro che usualmente vi si cimentano.
In altre parole, i giocatori migliori fanno altro e quelli che finiscono per imporsi, financo dominando, devono la gloria più alle assenze che ai meriti propri.
Per motivi comprensibili, su tutti il danaro, da McEnroe in poi – per dirla alla Fleming, suo storico partner, il sodalizio più forte di ogni epoca sarà sempre costituito da SuperMac e un altro preso a caso – nessun top player si è più dedicato in maniera assidua al doppio col risultato che nell’ultimo ventennio a recitare la parte dei leoni sono stati i fratelli Bryan, quando è andata bene, o in alternativa carneadi dalla manualità approssimativa in cerca del ripiego per una carriera da singolaristi mai sbocciata. Come se le squadre di calcio più blasonate smettessero di disputare la Coppa Italia e l’albo d’oro della manifestazione iniziasse a celebrare compagini di serie minore.





Gigi Rizzi a Brigitte Bardot
2004
Cara Brigitte,
ti scrivo da un altro mondo, da un’altra vita, da un’altra città. Cerco un fiore per quegli occhi che una volta facevano frrrr e oggi si commuovono per le foche e le balene. Mi volto indietro e rivedo Saint-Tropez, la bolgia infernale dell’«Esquinade», le interminabili notti tra l’«Escale» e il «Papagayo», e una sera in cui c’eri tu ad applaudire les italiens. Auguri. Conosco il tuo indirizzo per esserci passato in un tempo remoto, quando la gioia di vivere era sulla faccia di ragazzi e ragazze e tutti avevamo un sogno.
Era il ’68, e io me lo giocavo a piedi nudi ballando sui tavoli per piacere, per conquistare, immaginando che non sarebbe mai arrivato domani. Avevo 24 anni, in terra di Francia mi sentivo un moschettiere: bevevo micidiali «cointreau» con Johnny Holliday e giocavo a calciobalilla con Gilbert Becaud nei pomeriggi diplace Delice, poi rapivo qualche amica sulla spiaggia di Pampelonne e aspettavo il tramonto come un bambino.
Ero fidanzato con la notte quando ci siamo conosciuti. Sembravi un marziano, un extraterrestre di stratosferica bellezza. Ma non eri quel personaggio dispotico descritto dai giornali. Eri fragile, malinconica, intelligente, sensibile, gelosa dell’intimità: diventavi furibonda se qualcuno la violava. Come i fotografi, che usavano il flash come un bazooka. Ci sono miti costruiti sul cartone: niente balle, tu eri vera. Per questo piacevi tanto. Chi ti era vicino si sentiva l’uomo più importante del mondo. Avresti voluto respirare anche la sua aria.
Sento ancora oggi la deriva di quell’estate insieme, e ogni tanto mi chiedo che cosa sarei senza quel bombardamento mediatico che trentasei anni fa mi portò, con la tua foto, sulla copertina di Newsweek. Forse sarei rimasto un signor nessuno e avrei avuto meno foto sui giornali, ma la mia vita sarebbe stata la stessa, come il capitale affettivo che sento intorno a me. La famiglia, i figli, gli amici sono la conquista più importante. Anch’io voglio bene agli animali e apprezzo le tue battaglie ecologiste. Ma non ho mai condiviso quel che pensavi allora: gli animali non tradiscono, gli uomini sì. Io, nonostante tutto, credo negli esseri umani. Mi piace la scelta che hai fatto di contraddire i luoghi comuni. È una prova di coraggio, non bisogna nascondersi al tempo.
Tieni duro, Brigitte, ma cerca di non vedere solo nemici intorno a te. Se tornerai nell’altro mondo, quello in cui io vivo innamorato e felice, troverai ancora un amico.
A bientôt
Gigi Rizzi e Brigitte Bardot vissero un amore travolgente a Sant Tropez, nell’estate del ’68. Rizzi scrisse questa lettera aperta a Brigitte Bardot in occasione del 70 anni dell’attrice, nel 2004. È stata pubblicata dal quotidiano Il Corriere della Sera

