― pubblicità ―

Dall'archivio:

Discesa e salita dagli inferi di Egan Bernal, poeta maledetto del pedale- di Teo Parini

+ Segui Ticino Notizie

Ricevi le notizie prima di tutti e rimani aggiornato su quello che offre il territorio in cui vivi.

Attenzione: questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie.

Potrebbe contenere informazioni obsolete o visioni da contestualizzare rispetto alla data di pubblicazione.

 

Gennaio 2022 inoltrato, giorno più giorno meno, un anno fa. Egan Bernal, al pari di alcuni compagni di squadra, sta affinando la preparazione in Colombia, casa sua.
In una sessione di allenamento come mille altre, e con il gruppetto in fila indiana lanciato a velocità sostenuta, Egan, forse perché intento a scandagliare i valori biologici sul computer o forse per via della posizione innaturale che impone una bicicletta da cronometro, non si accorge di un pullman piantato in mezzo alla strada e lo colpisce in pieno. L’impatto è di quelli che non è detto ti consentano di raccontarlo ai posteri, infatti pare che nelle prime ore di ospedale il confine tra la vita e la morte, Egan, lo sfiori a più riprese.
Collateralmente, le fratture e le operazioni per metterci una pezza non si contano, sintomo che, portata a casa la pelle, la guarigione non sarà comunque un cammino facile. Che al termine del quale, poi, il ciclismo possa ancora essere la sua principale occupazione è l’eventualità meno sicura di questo mondo, ma con i suoi preziosi venticinque anni appesi a un filo non è che l’ultimo dei problemi.

Vedere un fuoriclasse dello sport come Bernal che ha dimenticato come si fa a camminare, a prendere in mano le posate per mangiare o a lavarsi il viso, ma ancora capace di commuoversi per essere riuscito a mettere due passi in fila e solo perché sorretto a forza, è una cosa che fa stringere il cuore. Il linguaggio emanato del corpo è ovviamente quello che è, financo positivo per un ragazzo passato in un secondo dall’acme del trionfo al Giro d’Italia alla corsia di un nosocomio, ma lo sguardo da killer buono che lo contraddistingue è sempre lo stesso; quello di chi, prima di piegarsi dinanzi alla sorte, si gioca fino all’ultima fiche. Egan, con un filo di voce, in quei giorni lo ripeteva spesso: tornerò presto a correre. I ciclisti, e non è affatto un luogo comune, sono persone che esibiscono una peculiarità facilmente riconoscibile, danno del tu alla sofferenza. Masochisti patentati, ce l’hanno per amica. Nella mentalità del colombiano, allora, la riabilitazione non dev’essere tanto diversa dalla scalata dell’Angliru e inspiegabilmente, soprattutto per i dottori avvezzi ad appoggiarsi prima alla scienza e poi malvolentieri al destino, quarantasette giorni dopo l’incidente monta di nuovo in sella e torna a far girare la gamba. Miracolo è una locuzione usata spesso a sproposito, ma vedere Bernal con il numero appiccicato sulla schiena già in estate è qualcosa che gli si avvicina molto, oltre che un sospiro di sollievo per ogni appassionato che si rispetti. Il resto è storia di questi giorni.
Nell’attesa che la Milano-Sanremo come da secolare tradizione dia il via alla stagione ciclistica che conta, sono diversi i campioni già impegnati a gareggiare in angoli di mondo dal clima più mite del nostro. In Argentina, nello specifico, si è appena conclusa la Vuelta San Juan, breve corsa a tappe che propone terreno per tutti i palati, inclusa una buona dose di salita. La tappa regina, infatti, ha spedito il gruppo in cima all’Alto del Colorado, asperità con una vetta posizionata decisamente oltre i duemila metri di quota, un ghiotto antipasto di ciò che si consumerà già in tarda primavera. Primo al traguardo, imprendibile, è giunto Lopez, uno davvero molto forte quando la pressione non gioca brutti scherzi. Alle sue spalle, secondo, il Ganna che non ti aspetti, a proprio agio su rampe mediamente arcigne che si sposano a meraviglia con il suo modo possente di macinare le pendenze. Terzo, invece, è uno scalatore puro con licenza da finisseur come Higuita. Crisi di Evenepoel a parte, di per sé un evento più unico che raro per quanto ammirato negli ultimi mesi, pare essere tutto nei limiti della normalità ciclistica. Pare, perché di straordinario c’è il quarto posto di giornata, peraltro a nemmeno troppa distanza dai battistrada, acciuffato proprio da Bernal, il resuscitato. Certo, la virtuale medaglia di legno, in una corsa che senza fare torto a nessuno si può definire di secondo piano, nulla aggiunge al palmares straordinario del portacolori della Ineos, ma la singola prestazione porta con sé un significato speciale. L’insegnamento, intanto. Quello di avere il dovere di dare sempre di noi stessi la migliore versione possibile, affrontando le difficoltà col piglio di chi vuole comunque darsi un’altra chance. Per le più leggere questioni sportive, ogni ragionamento agonistico in proiezione è ovviamente prematuro perché come risponderà il fisico di un sopravvissuto alle sollecitazioni feroci senza soluzione di continuità è giocoforza motivo di incognita. Tuttavia, con ancora negli occhi la terrificante scena dell’incidente, osservarlo nell’atto di prendere di petto una montagna è motivo di sincera gioia, una bella sensazione. Perché, umanamente, al ragazzo glielo si augurava di cuore e perché, detto con l’egoismo sano di chi fa del ciclismo un insostituibile paradigma di vita, sono i campioni cristallini come lui che fanno sobbalzare sul divano. Quando il rosa e il giallo tingono il nastro d’asfalto, le pietre e il fango fanno imbizzarrire le pedivelle, il sole arroventa la pelle e il vento gelido sferza le guance. Insomma, la poesia del ciclismo scritta dagli artisti migliori.
Bentornato, Egan, ti stavamo aspettando.
Teo Parini

Questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie e potrebbe risultare obsoleto.

■ Prima Pagina di Oggi