MAGENTA – Con la morte di Antonio Craxi, se ne va un altro tassello di quel rapporto privilegiato che che storicamente il Partito Socialista ha avuto con la nostra Città. Nella fattispecie, la villa di Pontevecchio della famiglia Craxi è stata un luogo d’incontri importante per la politica di quegli anni, come dimostrano le diverse testimonianze raccolte da Ticino Notizie
“Il legame come Magenta era fortissimo – ricorda Piero Corti, storico socialista magentino oggi militante di Forza Italia – mi viene in mente quando, negli
anni Ottanta, rimase bloccato in vallata con il fratello a causa di quella storica nevicata”.
“Qui – aggiunge Corti – venivamo organizzati periodicamente incontri per la nostra zona, oltre che vertici di portata ben più rilevante. E’ da qui che si è costruito quel rapporto privilegiato che resiste tutt’ora tra Magenta e chi oggi porta ancora avanti le istanze socialiste”. Ma la proprietà di Pontevecchio, proprio grazie alla discrezione del suo padrone di casa, fu un luogo da cui transitarono, come è stato detto, personaggi di assoluta rilevanza sulla ribalta europea di quegli anni. Antonio Craxi, era una figura che aveva fatto della riservatezza e della cortesia, uno suo tratto caratteristico.
“Qui – rivela Emanuele Torreggiani, giornalista e scrittore magentino, all’epoca studente universitario – passarono personaggi come Jiri Pelikan (il cui nome è legato al famoso ‘Rapporto Pelikan’ nella foto in evidenza con Bettino Craxi) e Andrei Sinyavsky (nella foto in alto) intellettuali dissidenti cecoslovacchi che trovarono qui ospitalità per diverso tempo”. D’altronde, in quel periodo l’impegno del partito socialista, diversamente dal partito comunista italiano, era chiaramente teso a sostenere ed affiancare la causa dei “fratelli dell’est” che si trovavano di là della cortina di ferro e ancora dovevano soggiacere alle angherie del regime sovietico. “Gran parte dei finanziamenti raccolti dal PSI – commenta Torreggiani – servirono proprio per sostenere la nascita del Partito Socialdemocratico e tutto quel movimento che portò a fenomeni come Solidarnosc in Polonia. Possiamo certamente affermare che l’Europa moderna, liberale e democratica, deve molto all’opera di Craxi e del PSI”. Ma la casa dei fratelli Craxi era luogo frequentato anche da don Luigi Giussani, storico fondatore di Comunione e Liberazione, piuttosto che dal papà del giornalismo contemporaneo italiano, vale a dire Indro Montantelli. Margherita Boniver, Gianni De Michelis, Claudio Martelli, tutti pezzi da novanta del garofano rosso, erano di casa da queste parti. “Mi ricordo ancora – chiosa sempre Torreggiani – quando, poco più che ventenne, ebbi il privilegio di ascoltare nella villa dei Craxi un dibattito sulla nascente Unione Europea con il dissidente cecoslovacco Andrei Sinyavsky, che anticipando grandemente i tempi riuscì a dirci dove stavamo andando e, cioè, verso una Europa di nominati e non di eletti. Ci mise in guardia: ‘Non fate l’errore di costruire un altro Soviet in cui la sovranità popolare, di fatto, viene annullata dalle oligarchie’. Purtroppo la sua lezione è rimasta inascoltata dai nostri attuali governanti”.
A ricordare i primi tempi della famiglia Craxi a Magenta c’è anche Ambrogio Colombo (nella foto in basso al centro), in quegli anni Sindaco e, successivamente, Senatore della Diccì. <<Non posso che dire bene di Antonio – commenta Colombo – ha avuto un rapporto molto discreto con la nostra città e il nostro territorio. Ricordo un aneddoto molto particolare: all’epoca, Antonio aveva acquistato pezzo dopo pezzo quei terreni agricoli che sarebbero andati a costituire quella che a tutti gli effetti era una tenuta. Così – continua Colombo – si scomodarono anche i giornalisti delle grosse testate nazionali. Vennero a trovarmi, pensando che grazie al potente fratello, Antonio volesse mettere in piedi chissà quale operazione di speculazione edilizia. Niente di più falso, gli risposi che avevano preso un grosso abbaglio e, infatti, così fu. Antonio aveva in mente solo quel progetto che dopo la sua esperienza in India divenne realtà. Una vera e propria vocazione. Era una persona che non amava apparire ma credeva molto in quello che faceva tanto che quando scherzava ripeteva: “Mio fratello deve salvare l’Italia, io il mondo…”. Lo ricordo con piacere e sono vicino alla famiglia>>.
Fabrizio Valenti
(*a sinistra in basso, i carri armati sovietici a Praga, nella primavera del ’68 e accanto il nostro E.T)