MILANO – Si chiamano autoanticorpi e neutralizzano delle molecole (gli interferoni) che hanno un ruolo essenziale nella corretta risposta immunitaria a Covid. Le persone che li hanno, o che hanno difetti genetici che condizionano l’espressione di questi alleati della nostra difesa, tendono ad ammalarsi di forme particolarmente gravi della malattia da coronavirus Sars-CoV-2. A
gettare luce su questo meccanismo sono due lavori apparsi oggi su ‘Science Immunology’ che potranno avere importanti ricadute anche nella gestione clinica della malattia. Lavori che riportano i risultati dello studio di un consorzio internazionale di ricercatori, in cui figura anche un importante contributo italiano.
A dare linfa alla ricerca degli scienziati guidati dal National Institute of Allergy and Infectious Diseases (Niaid), dalla Rockefeller University (New York) e dall’Università di Parigi, è stato anche il super archivio ‘Storm’ dei pazienti Covid, coordinato dall’università di Milano-Bicocca in sinergia con l’Asst di Monza.
Quello che è emerso è che la prevalenza degli interferoni di tipo I
aumenta oltre i 60 anni d’età e questi sono alla base di circa il 20% di tutti i casi fatali di Covid-19. Ma c’è un dato ritenuto cruciale dagli esperti: la ricerca mostra che la presenza di autoanticorpi precede l’insorgenza di Covid-19. Questo permetterebbe di giocare d’anticipo, con vaccini e trattamenti precoci basati sull’uso di anticorpi monoclonali.