– “Nel febbraio-marzo del 2020”, quando in Lombardia, a Codogno nel Lodigiano, si scopriva il ‘paziente 1′ d’Italia, di fatto l’inizio dello tsunami Covid che si abbatté sugli ospedali di diverse aree del Paese, “la leadership – che ha un ruolo fondamentale ed essenziale quando deve prendere in mano la gestione dell’emergenza – aveva lasciato questo territorio”.
“Questa regione in quell’occasione fu completamente lasciata sola, fu abbandonata a se stessa. Al di là di tutto quello che si può dire, al di là di quelle che sono le lettere di ringraziamento, le testimonianze e quant’altro, è stata lasciata sola, ma anche i prefetti che hanno avuto la responsabilità di rappresentare un Governo completamente assente. E’ stata lasciata sola nelle mani dei medici, degli infermieri, della Protezione civile, delle forze dell’ordine, di tutti quelli che in questo territorio non sono scappati quella notte famosa in cui venne dichiarato il lockdown. Le immagini della gente che assaliva i treni alla stazione Centrale” di Milano “ancora ce le ricordiamo perfettamente. Scappavano tutti dalla Lombardia, nessuno venne in Lombardia. I treni partirono strapieni e non tornarono indietro”.
L’assessore al Welfare della Regione Lombardia, Guido Bertolaso, a 5 anni dall’inizio dell’incubo Covid-19, rivive i giorni in cui la Lombardia si trovò per prima a fronteggiare un virus allora sconosciuto, Sars-CoV-2. “Questa – spiega intervenendo a Codogno all’evento ‘Tra memoria e futuro, a cinque anni dal Covid’ – è la realtà che adesso cerchiamo magari di nascondere o di mettere sotto al tappeto. Ma è la verità. Che ci rimanga come lezione, ogni giorno in cui noi dobbiamo prendere una decisione di qualsiasi tipo, sia che si parli di fare degli ospedali nuovi, sia che si parli di organizzare una medicina territoriale, sia che si parli di applicare sentenze della Corte costituzionale che sono fonte primaria, checché ne dica qualcuno e checché ne dica chi magari non sa neanche di che cosa sta parlando”, incalza l’assessore, riallacciandosi al dibattito attuale sul fine vita, infiammato dal primo caso di suicidio assistito in Lombardia.
“Chi si occupa da un punto di vista delle competenze ed è professionalmente addetto ai lavori, perché ha vissuto sulla propria pelle decine e decine di situazioni di crisi sia in sala operatoria che in rianimazione o al pronto soccorso, sa benissimo che da questo punto di vista bisogna mettere da parte quelle che possono essere diverse ideologie e diverse opinioni politiche.
Bisogna rimboccarsi le maniche – evidenzia l’assessore – ed essere sempre pronti e stare sul pezzo laddove c’è davvero sofferenza, laddove c’è davvero attesa, perché ricordiamoci che la speranza è la cura e la speranza in questo territorio, in alcuni momenti di quell’anno”, di quel 2020, “non c’è stata o è venuta meno”.