Il primo intervento all’inaugurazione della 12a edizione del Film Festival dei Diritti Umani di Lugano, è stato di Morena Ferrari Gamba, Presidente del Circolo Battaglini Consiglio Fondazione Diritti Umani/FFDUL.
“Che senso ha occuparsi dei diritti umani?”, è la domanda che spesso è stata posta in questo anno difficile a chi organizza il Festival del Film dei Diritti Umani a Lugano, ancora dopo 12 edizioni ed in questo mondo così devastato.
Purtroppo siamo nel pieno di un degrado del Diritto internazionale, a causa di molti regimi totalitari, diritti che erano stati conquistati con grande fatica.
La democrazia è afflitta da autocrazie, a causa del ritorno della legge del più forte.
Tutto questo stato di cose attacca anche giornalisti, attivisti e coloro che si impegnano con gli aiuti umanitari.
Il cinema in questo contesto si occupa di raccontare queste storie dal punto di vista di chi subisce.
Quando si parla di diritti umani non si parla solo di guerre e devastazioni ma anche di tutte quelle situazioni nelle quali la dignità umana viene calpestata.
Noi cerchiamo di mobilitarci per un mondo più giusto e solidale: lo vediamo ultimamente grazie a tutti i cittadini che scendono in piazza, ma anche in ogni piccolo gesto o pensiero di chi si indigna.
In tutto ciò, la Fondazione dei Diritti Umani e tutta la Direzione che organizza, nonché tutti i collaboratori di questa impresa, si prefiggono di continuare ad impegnarsi anno dopo anno.
Dopo questa introduzione, è intervenuta la Consigliera di Stato, On. Marina Carobbio.
“Rischiamo di veder incrinarsi l’intero edificio della nostra civiltà”
“Questa edizione si apre in un periodo di gravi conflitti e disuguaglianze, che mettono in pericolo ogni giorno il rispetto dei diritti fondamentali.
Purtroppo la distanza e l’assuefazione rischiano ogni giorno di renderci spettatori passivi.
Le guerre di Gaza, Ucraina, Congo, Sudan, Yemen, per citarne alcune, sono tragedie che si consumano davanti a sguardi che tendono a voltarsi dall’altra parte.
C’è poi il silenzio dei governi e delle istituzioni che spesso temporeggiano, senza ricnonoscere l’urgenza della situazione, condannandoci all’idea che un gioeno non possa succedere anche qui: non esistono confini geografici per la dignità.
In tutto ciò, una luce è costituita dal Film Festival dei Diritti Umani, dalle manifestazioni di piazza, e dalla mobilitazione di cittadini comuni.
Una delle imprese più importanti degli ultimi tempi, è stata quella della partenza con la Flotilla con lo scopo e la speranza di riuscire a portare aiuti umanitari a Gaza: ringrazio quindi tutti coloro che hanno partecipato con coraggio a questo progetto e per il messaggio che hanno portato.
Le linee sottili della democrazie convergono dove vi sono mani che chiedono, mani che aiutano, mani che documentano e voci che insegnano queste storie ed il rispetto dei diritti di tutti, lottando contro la rassegnazione della coscienza collettiva.
Il cinema è uno specchio del reale ma può essere anche un invito al pensiero critico e per questo, bisogna coinvogere le scuole, studenti e scolari, che saranno presenti a diverse proiezioni anche quest’anno.
L’empatia non deve essere solo compassione ma un riconoscimento dell’altro ed in questo spirito il Film Festival dei Diritti Umani porta avanti un rapporto con le scuole, accompagnando alle proiezioni e alle discussioni circa 3000 allievi.
Una commissione di diversi insegnanti ha preparato delle schede per comprendere meglio i film: questo è un modo attivo di educare la cittadinanza alla democrazia, perché la scuola e le istituzioni sono chiamate a promuovere per legge questi principi.
Ha preso infine la parola Antonio Prata, Direttore FFDUL, che ha messo per prima cosa l’accento sulla locandina di questa edizione:
“Le parole sono importanti perché sono un veicolo di concetti complessi come quelli della letteratura o della televisione, e anche quando si concepisce un film, si parte dalla parola. La parola è il fondamento della cultura e del nostro stesso esistere. Le parole danno forma alla nostra stessa posizione nell’Universo ed ai diritti umani per i quali stiamo lottando: quindi grazie per questa grafica straordinaria!”
Roberto Pomari, presidente del FFDUL, ha preso la parola per ultimo, lodando sia Prata che Margherita Cascio, co-direttrice e ringraziando tutti i sostenitori, dalla Città di Lugano, al Cantone alla Confederazione, più tutti i partner sia come mass-media che come sponsor.
L’annuncio del primo film della sera, proiettato al Cinema Corso, è stato arricchito da persone che con il loro coraggio e la loro arte, stanno sostenendo concretamente il discorso dei diritti umani.
Abbiamo assistito ad una breve ma efficace rappresentazione teatrale, che ha narrato sul palco la vicenda di Domenico Lucano, già Sindaco di Riace ed oggi eurodeputato, che ha dovuto lottare contro accuse infamanti, poiché non era ben visto da una certa politica, per la sua capacità di dare spazio in modo fruttuoso agli immigrati sbarcati con i barconi al Sud, impiegandoli in produzioni manufatturiere che li hanno promossi ed integrati anche come esseri umani, in una società civile.
Subito dopo questo cameo, ha fatto il suo ingresso Fabrizio Ceppi, il ticinese da poco rientrato dall’avventura umanitaria della Global Sumud Flotilla.
Ceppi con voce rotta dall’emozione ha ringraziato per tutto il sostegno ricevuto dalla popolazione, ma anche per il lavoro compiuto dal FFDUL, definendo il pubblico, i manifestanti di piazza e lo staff e tutti i collaboratori del festival, come “rappresentanti del mondo”.
Ha ricordato che il loro intendo è stato quello di aprire un corridoio umanitario per portare aiuti a Gaza, dove la popolazione ha subito bombardamenti e carestie per due anni.
“Forse noi non c’entriamo niente con gli accordi sulla tregua di questi giorni, però sicuramente il fatto che si sia manifestato in tutto il mondo, ha dimostrato che il mondo e la società civile non accettano più ciò che stava succedendo a Gaza. Isolando un pochino Israele abbiamo contribuito un pochino ai miglioramenti odierni”.
Antonio Prata arrivato sul palco, ha poi ricordato che tutti i film in concorso sono anteprime svizzere, scelti grazie alla collaborazione con persone che lavorano con il festival da tanti anni. Tra questi i membri della Commissione Film.
Margherita Cascio ha sottolineato l’importanza di come il territorio ticinese sia molto attivo nel campo dei diritti umani e ha ringraziato tutti i fedeli della rassegna, ricordando a tutti i vari punti di discussione aperta sul tema, che saranno in funzione in questi giorni.
È stata infine annunciata la giuria del concorso di quest’anno: Alin Taşçıyan, critica cinematografica, Cătălin Cristuțiu, montatore, Laila Alonso Huarte, che ha rivestito vari ruoli all’interno di altri festival incentrati sui diritti umani, assumendo anche quello di co-direttrice; nonché Bruno Bergomi, Natascia Bandecchi, Chiara Fanetti, Giampiero Raganelli e Maria Giovanna Vagenas.
I primi due film da me visti per il concorso internazionale.
“PROMIS LE CIEL”, diretto da Erige Sehiri
Francia, Tunisia, Qatar, 2025
La trama racconta le vicende di tre donne, alla ricerca di un futuro migliore in Tunisia.
Tutte hanno già subito delle perdite importanti e sperano di poter offrire una vita migliore ad esempio ai figli.
Una di loro studia ingegneria all’Università, un’altra aveva dovuto adattarsi tantissimo per trovare i soldi per il viaggio della speranza verso la Tunisia, la terza è diventata una Pastora della Chiesa della Perseveranza (qualità sintomatica che caratterizza tutto il film), abbandonate le vesti di giornalista.
La pastora è anche colei che offre rifugio spirituale e psicologico, a donne, uomini e bambini afflitti ogni giorno da mille difficoltà, in una società che con le nuove leggi governative, li rifiuta e li tratta alla stregua di non più persone; allo stesso tempo, questa chiesa improvvisata diventa mezzo di aggregazione per cercare di dare un senso ed una solidità a rapporti umani tra esseri umani chiamati ad aiutarsi l’un l’altro.
Tra loro anche una bimba (della quale tutte insieme si prendono cura, dopo essersi elette quasi “madri putative”), appena sopravvissuta ad uno sbarco finito in tragedia, dotata della capacità incredibile di vivere giorno dopo giorno come se non fosse successo nulla: il loro tragico destino pare averne plasmato menti e personalità, come qualcosa di imprescindibile.
“Ma quando finalmente Dio ci aiuterà?”, è la domanda disperata che pone durante una delle ultime funzioni religiose, una di loro.
Domanda senza risposta, che risuona come un’eco in quel cielo promesso che ha sostituito una reale “terra promessa”.
Il film ci mostra e ci fa conoscere da vicino persone che ci sembrano lontane e diverse da noi, spesso come se abitassero un altro pianeta. Brava gente, che sogna solo un futuro umano.
Persone destinate a scomparire, come la bimba, priva di documenti di identità e presto di qualsiasi memoria…
MY DEAR THEO (vedi foto in evidenza), regia di Alisa Kovalenko
Polonia, Ucraina, Repubblica Ceca, 2025
Prima del film, abbiamo ascoltato il video messaggio della regista, che si è scusata per non aver potuto essere fisicamente presente a Lugano, ma ha invitato tutto il pubblico a guardare il suo film perché è davvero molto importante.
Il Theo del titolo è il figlio ancora piccolo della giovane regista, emigrato come rifugiato in Francia, insieme al padre e probabilmente destinato a crescere lì, al quale lei dedica una converasione epistolare quasi immaginaria, poiché dal fronte non è semplice né telefonare e né inviare missive.
Se non dovesse più tornare, il figlio si ricorderà di lei? Riceverà tutto l’amore che merita? Ricorderà l’Ucraina come la sua patria e comprenderà il senso del sacrifico che nonostante tutto, sua madre ha voluto compiere?
Anche Alisa avrebbe potuto andare con loro; ma lei, di formazione regista documentarista, che negli anni precedenti aveva già documentato il conflitto in Donbass, scoppiato nel 2014, ha scelto di restare in Ucraina ed unirsi alle forze di resistenza, diventando una vera soldatessa di trincea.
Il suo pensiero? Evitare con tutte le sue forze che un giorno siano i loro figli a trovarsi lì…
In guerra i commilitoni diventano la tua nuova famiglia… Assistiamo a scambi di affetto, battute, ed una profonda unione fra tutti loro, uno per tutti e tutti per uno.
Il docu-film si addentra nella vita di trincea, nelle giornate da soldato, nei rifugi di fortuna, e nell’avvicinarsi ogni giorno di più di situazioni sempre più pericolose, alle quali non si sottrae nessuno di loro.
Non vi spoilero il finale… Vi dico solo che al di là di tutto, questa proiezione si fa tributo a persone che un tempo lavoravano tranquille anche in professioni di rilievo, e ad un certo punto, si sono ritrovare spogliate di tutto.
Monica Mazzei
freelance culturale per TicinoNotizie.it