Nel solco di una tradizione antichissima, tanto da far chiamare questa corsa “Doyenne” (la decana), Tadej Pogacar proverà a mettere in bacheca la seconda corsa Monumento della stagione dopo il Fiandre. A tentare di scompaginare i suoi piani dittatoriali sarà, innanzitutto, Remco Evenepoel che, prima di una Freccia Vallone sottotono, ha già fatto la voce grossa al Brabante, vincendo su van Aert, ed all’Amstel, terzo dietro al sorprendente Skjelmose che oggi può essere considerato la prima e forse unica alternativa ai due succitati fuoriclasse.
Percorso classico, duecentocinquanta chilometri conditi da una sequela di côte senza soluzione di continuità, tra le quali spicca quella più iconica di tutte e, spesso decisiva, la Rédoute. Più che mai giudice supremo della Liegi-Bastogne-Liegi, asperità che fa da apripista agli ultimi trenta sinusoidali chilometri prima dell’arrivo. Spendibili per il prestigioso podio sono anche Pidcock e Vaquelin, oltre a chi fa del fondo una delle ragioni ciclistiche. Perché quelli che ritengono la Doyenne la corsa più dura al mondo per chilometraggio e dislivello, e sono in molti, probabilmente dicono il vero, o quasi.
Ma a beneficio degli aficionados più romantici, non si può introdurre la Liegi senza un “back in the days” che sta a metà tra il ricordo e il rimpianto, per come la vicenda umana di un ciclista meraviglioso, e che su queste strade ha vissuto l’acme di una carriera troppo breve, è andata a finire. Anno 1999, primavera. Il meteo nelle Ardenne è piuttosto clemente, evenienza affatto scontata, tanto che per la “Doyenne” è previsto il sole e sono in tanti a tirare un sospiro di sollievo. L’idea di scalare le côte senza che la ruota posteriore si possa imbizzarrire sull’asfalto bagnato ad ogni scalciata, infatti, è un pensiero più che positivo per i corridori.
Quando al traguardo di Liegi mancano una trentina di chilometri, a giocarsi il trofeo sono rimasti solo in una quindicina. I più forti sono tutti lì, italiani compresi, in un periodo in cui l’azzurro è spesso la tinta egemone. C’è la coppia di compagni di squadra Bartoli-Bettini, per esempio, con il primo già affermatissimo fuoriclasse e il secondo che lo diventerà a breve. C’è il compianto Rebellin, che questa corsa la finirà per vincere un lustro più tardi nella sua personale “settimana santa”. C’è Velo, il luogotenente di Pantani avvezzo ai lunghi rapporti con licenza di mettersi in proprio. La concorrenza è ovviamente nutrita e vede in Boogerd, l’onnipresente e sempre sorridente olandese frenato in carriera solo da una volata lentissima quindi penalizzante, nel connazionale e arcigno den Bakker, nel campione del mondo svizzero Camenzind e, soprattutto, in Vandenbroucke, il prescelto dagli Déi, i rivali più pericolosi. Insomma, c’è da divertirsi.
Prima del traguardo posto nel sobborgo operaio di Ans, nella periferia di Liegi in cima all’omonima salita, resta ancora da affrontare quella che è l’ascesa simbolo, la côte de Saint-Nicolas, un chilometro e mezzo di strada all’interno del quartiere storicamente abitato dai nostri connazionali tanto da essere conosciuta nel mondo proprio come la “salita degli italiani”. Tutto fa pensare che un califfo come Michele Bartoli, probabilmente il cacciatore di classiche più forte in attività, non aspetti altro che spiccare il volo tra due ali di folla tricolore. Invece, lasciata la statale, dopo la svolta a destra che sancisce il cambio netto di pendenza, l’allungo è di Bettini ma è l’altro Michele, Boogerd, a rompere seriamente gli indugi. Sotto sforzo mostra i denti, è un marchio di fabbrica, e spinge forte sulle pedivelle, tanto che in un attimo scava dietro di sé un bel vuoto. Dietro si studiano, ben sapendo che è già il momento dell’ora o mai più se non vogliono rivedere l’olandese in maglia di campione nazionale solo al traguardo.
Il rumore, impercettibile ma solo per i meno avvezzi, è quello che sposta la catena sul rapporto più lungo e che fa da preludio ad un colpo di cannone, lo scatto di Vandenbroucke. Un venticinquenne ribelle e dalla bellezza debordante in sella alla bicicletta destinato per genetica a scrivere pagine di ciclismo memorabili. In due pedalate riprende Boogerd, gli si accoda per rifiatare qualche secondo e riparte, se possibile, con un passo ancora più solenne. Michael rimbalza indietro, tanto che sarà poi assorbito anche dal resto del gruppo, e la chioma biondo platino del belga vallone – funambolo, mattatore, istrione dall’anima fragile che si scoprirà poi essere maledetta – descrive una cavalcata che passa direttamente dalla strada alla leggenda.
Frank, con la solitudine degli eroi, scrive così il suo nome nell’albo d’oro della corsa di casa e tutto fa pensare all’inizio di una tirannia epocale. Al contrario, averlo predetto fu, come diremo, un tragico errore. VDB, l’acronimo che lo contraddistingue in gruppo, vive una dicotomia distruttiva: granitico fuori, fragile come il cristallo dentro. Si sposa e pedala sicuro, pare felice. Poi conosce Sarah, quella che è la donna della sua vita e che in ogni modo prova a seguirlo su e giù per le montagne russe che Frank ha disegnate nella mente. A Verona avrebbe vinto quel titolo mondiale con una gamba sola, invece cade sul più bello e si rompe il polso, così l’iride se lo prende Freire. Con il senno del poi, un segnale del destino, nonché anteprima dell’attuazione di un copione che, con tutta la morte nel cuore, avremmo poi rivisto altre volte.
Giù dalla bicicletta, la gestione della vita è sempre più complicata, al punto che scappare di mano è ciò che di più logico gli possa capitare. Doping, forse; droga, sicuramente. Male oscuro, immancabilmente. Così, la carriera del più talentuoso e irrequieto di tutti finisce nel cestino una prima volta. La più classica delle seconde possibilità arriva sotto forma di ingaggio da quello che è lo squadrone per antonomasia del momento e Frank giura, intanto a sé stesso, di rimettersi in riga, perché al ciclismo sente di avere ancora tanto da dare. Un incredibile secondo posto al Fiandre appena tornato alle gare fa pensare che la lezione possa essergli servita ma è un abbaglio, suo e nostro. Quando da lì a breve gli inquirenti lo includono in una lista nera di consumatori di droga e nella sua abitazione rinvengono cocaina e morfina, infatti, la frittata è fatta. Già qualche tempo prima la depressione lo aveva spinto a tentare il suicidio ma la vita, almeno in quell’occasione, aveva disposto diversamente. La discesa verso gli inferi, però, non può più essere arrestata, fino a quando, il 12 ottobre del 2009, in un albergo sperduto del Senegal lo trovano privo di vita in circostanze nemmeno mai chiarite. Cazzo. Come il nostro Pirata, come il Chava Jimenez. Luminescenti fenomeni nel dare del tu al pedale ma sopraffatti da demoni arrembanti troppo più grandi di loro.
Oggi pomeriggio, la Liegi-Bastogne-Liegi torna ad essere, come accade ormai da più di un secolo, l’acme della primavera ciclistica; classica chiusura della parentesi delle monumentali corse di un giorno aperta sul Poggio di Sanremo e lasciapassare per la stagione dei grandi giri alle porte. Parlare del traguardo senza spendere un pensiero per la tribolata parabola di Vandenbroucke sarebbe, pertanto, un torto al ciclismo e un’ingiustizia nei confronti di un ragazzo a cui la vita ha dato molto per poi beffardamente riprendersi tutto con gli interessi. Una dimenticanza che noi di TicinoNotizie.it lasciamo volentieri ad altri.
Buona “Doyenne” a tutti. Anche a te, Frank, ovunque tu sia.