“Che si fottano i Lloyd’s di Londra!”. Buon compleanno, Mano de Dios

Deferente articolessa di Teo Parini dedicata a Diego Armando Maradona

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“Che si fottano i Lloyd’s di Londra!”, disse Dieguito prima di gettarsi nel pantano di Acerra. Primavera 1985. Maradona è già all’apice della carriera, tanto che dodici mesi più tardi andrà a prendersi un Mondiale praticamente da solo. Quello della Mano de Dios, dello schiaffo post-Malvinas agli inglesi – perché lo sport è anche politica – e della serpentina più iconica della storia del soccer. Il Napoli di Ferlaino, che qualche anno dopo vincerà il suo primo storico scudetto nonostante il Milan degli olandesi, sta rischiando grosso. Lo spettro della serie B incombe e il Presidente non è tanto dell’idea che i suoi giocatori possano rischiare di farsi male proprio adesso, magari prestandosi ad una partita di beneficenza.

Il problema lo solleva Punzone, calciatore anch’esso, perché il figlio di un tifoso del Napoli ha bisogno di un intervento chirurgico urgente, costoso e insostenibile per le umili tasche del padre. Ferlaino, appunto, sbraita ma l’idea della partita per la raccolta dei fondi giunge a tiro di Diego. A Buenos Aires, nemmeno troppi anni prima, Maradona era uno dei tanti bambini inchiodati da una società ingiusta alla lotta per la sopravvivenza quotidiana, con la difficoltà nel mettere insieme pranzo e cena quale evenienza che gli resterà appiccicata per la vita. I bambini sono bambini, a Napoli come a Buenos Aires, e in un amen, e senza voler sentire ragioni, è al centro di un campetto di periferia che si allaccia gli scarpini mentre Giove Pluvio si diverte dall’alto.

Mano al portafoglio, per pagare da sé la clausola assicurativa, la sua presenza fa di quella surreale partita, con il più grande giocatore di ogni epoca a sputare l’anima su un impraticabile campo di patate intriso d’acqua e fango, un pezzo di storia calcistica, oltre che di umanità. Sono diecimila le anime assiepate sulla sgangherata tribuna
che potrebbe ospitarne sì e no la metà e venti i milioni di lire raccolti che salveranno il bambino. Maradona, che per la narrazione occidentale a reti unificate fu un poco di buono, un drogato, un cattivo esempio – perché mai disposto a prestarsi alle dinamiche losche di palazzo e, ancor peggio per i suoi detrattori, perché sempre schierato dalla parte degli ultimi – fu, al contrario, depositario di una abbacinante umanità. In una società che criminalizza quelli che della barricata scelgono il lato scomodo dei popoli e non quello agiato dei potenti, Maradona, uomo che ha commesso i suoi errori come tutti noi, fu così ispirazione e speranza. E non solo per quel meraviglioso pomeriggio ad Acerra.

Superfluo soffermarsi più di tanto sul campione. Viene da sorridere al pensiero che giocatori odierni, di un calcio che ha smesso di essere lo sport di allora, gli possano essere paragonati. Difensori arcigni che dirlo è un eufemismo, perché dediti più alla cura delle caviglie avversarie che della palla, arbitri che tollerano l’attitudine brutale nei contrasti, playground impraticabili per genesi e per la gioia dei fisioterapisti. Eppure, Diego fu imprendibile nell’epoca più complicata possibile per chi sulla maglia ha impresso il numero dieci e si nutre di estro. Nonostante una condotta extracalcistica, diciamo, tribolata.

Molto più affascinante, quindi, è il ricordo dell’uomo Maradona. Voce e volto di ogni popolo in lotta, granello di sabbia nei meccanismi di potere, esempio concreto di speranza e riscatto sociale. I suoi amici fraterni, non a caso, furono Fidel Castro, Evo Morales, Hugo Chávez. Sinonimi in carne ed ossa di antimperialismo militante, quindi anch’essi invisi all’establishment mondiale, e con loro si è adoperato senza riserve per la causa dell’amata America Latina. Contro l’embargo criminale a Cuba, per esempio, o denunciando le intromissioni sanguinare nel continente latino che rimbalza da un golpe all’altro. Ancora, denunciando la pirateria dei Bush e degli Obama insieme alle loro bombe umanitarie. Quando avrebbe potuto fare scelte di vita più conservative, come un Messi qualunque, spaparanzato sul divano preoccupandosi di non inimicarsi nessuno. Invece no. Lo stesso spirito per cui sia rimasto fedele a Napoli, benché ricevesse la corte serrata dai club più ricchi e vincenti del pianeta. Ma vuoi mettere poter ricambiare l’amore di una città abituata al pane duro che vede in te una fonte di rivalsa?

Per questo motivo, di lui, non ha senso celebrare gli almanacchi, i successi e le statistiche di una carriera comunque eccezionale. Maradona, piuttosto, ha incarnato il gioco del calcio nella sua forma ancestrale, quella più pura, senza che fosse relegato ad essere appendice dorata e a sé stante della propria esistenza. Calcio, pertanto, come strumento al servizio degli ultimi del pianeta e non macchina da petrodollari, formidabile cassa di risonanza in grado di veicolare un messaggio il più possibile internazionalista, contro ogni forma di ingiustizia sociale. Diego, investito da Madre Natura di una forma purissima di talento, ha sempre usato la popolarità costruita dando del tu al pallone per arrivare fino agli angoli più nascosti e dimenticati. Il barrio del mondo, la sua casa.

Proprio lì, nei quartieri dove pensare al domani è da eroi e giustizia soltanto una parola sul dizionario, Maradona non è mai morto. Vive sui muri che lo ritraggono, per le strade affollate, sui campi da calcio più sperduti, nell’immaginario collettivo. Soprattutto, vive nei bambini che, al pari di lui, provano a darsi un futuro diverso da quello che gli è stato scritto. Magari inseguendo un pallone.

Tanti auguri Diego, ovunque tu sia.

“La mano de Dios, di Rodrigo Bueno”

En una villa nació, fue deseo de Dios
Crecer y sobrevivir a la humilde expresión
Enfrentar la adversidad
Con afán de ganarse a cada paso la vida
En un potrero forjó una zurda inmortal
Con experiencia, sedienta ambición de llegar
De cebollita soñaba jugar un mundial
Y consagrarse en primera
Tal vez jugando pudiera
A su familia ayudar
Grande, Diego
Para el más grande del mundo, ahí
En una villa nació, fue deseo de Dios
Crecer y sobrevivir a la humilde expresión
Enfrentar la adversidad
Con afán de ganarse a cada paso la vida
En un potrero forjó una zurda inmortal
Con experiencia, sedienta ambición de llegar
De cebollita soñaba jugar un mundial
Y consagrarse en primera
Tal vez jugando pudiera
A su familia ayudar
A poco que debutó (Marado, Marado)
La 12 fue quien coreó (Marado, Marado)
Su sueño tenía una estrella
Llena de gol y gambetas
Y todo el pueblo cantó (Marado, Marado)
Nació la mano de Dios (Marado, Marado)
Llevó alegría en el pueblo
Regó de gloria este suelo
Es para el número uno del mundo
Carga una cruz en los hombros por ser el mejor
Por no venderse jamás al poder enfrentó
Curiosa debilidad
Si Jesús tropezó, ¿por qué el no habría de hacerlo?
La fama le presentó una blanca mujer
De misterioso sabor y prohibido placer
Que lo hizo adicto al deseo
De usarla otra vez involucrando su vida
Y es un partido que un día
El Diego está por ganar
A poco que debutó (Marado, Marado)
La 12 fue quien coreó (Marado, Marado)
Su sueño tenía una estrella
Llena de gol y gambetas
Y todo el pueblo cantó (Marado, Marado)
Nació la mano de Dios (Marado, Marado)
Llevó alegría en el pueblo
Llenó de gloria este suelo
Olé, olé, olé
Diego, Diego
Olé, olé, olé
Diego, Diego
Olé, olé, olé
Diego, Diego
Olé, olé, olé
Diego, Diego
Y todo el pueblo cantó (Marado, Marado)
La 12 fue quien coreó (Marado, Marado)
Su sueño tenía una estrella
Llena de gol y gambetas
Y todo el pueblo cantó (Marado, Marado)
Nació la mano de Dios (Marado, Marado)
Llevó alegría en el pueblo
Regó de gloria este suelo
Regó de gloria este suelo
Regó de gloria
Te quiero, Diego

https://www.youtube.com/watch?v=QVB1V2kVclY

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