Caso San Raffaele. Il racconto di un paziente “3 giorni di paura, sono salvo solo perché lucido”

Una vicenda surreale raccolta in questa testimonianza. Aperta un'inchiesta della Procura di Milano.

+ Segui Ticino Notizie

Ricevi le notizie prima di tutti e rimani aggiornato su quello che offre il territorio in cui vivi.

“E’ arrivato un infermiere con una pastiglia di tachipirina tra le mani nude, senza guanti. Me l’ha
messa sul petto e l’ha spezzata in due. In quel momento stavo molto male, poi ho messo a fuoco i rischi per un paziente immunosoppresso come me”.

La voce al telefono da casa arriva ancora molto affaticata per gli strascichi di una pesante
mononucleosi. D.U., 45 anni, e’ stato al pronto soccorso del San Raffaele il 7 e l’8 dicembre e poi ricoverato nel reparto di medicina ad alta intensita’ dove ha vissuto i giorni del caos quando, secondo diverse testimonianze e mail interne tra medici, gli infermieri di una cooperativa esterna avrebbero messo a “elevatissimo rischio” la salute dei pazienti a causa della loro impreparazione.

Su quanto accaduto e’ in corso un’indagine della Procura di Milano, al momento senza ipotesi di reato ne’ indagati. Quello della tachipirina spezzata sul petto e’ solo uno degli episodi della degenza. “Ero nel reparto di medicina ad alta intensita’ al terzo piano – racconta in un’intervista
all’AGI –

L’8 sera un’infermiera mi somministra il paracetamolo e poi l’antibiotico. Quando finisce la terapia chiamaci, mi dice, ma fino alle 20 non ho visto piu’ nessuno. Alle 20 sono arrivati due infermieri specializzandi, hanno fatto il giro di controlli per la pressione, sono venuti da me e mi hanno
annunciato che mi avrebbero dato il paracetamolo.

‘L’ho fatto un’ora fa’, gli ho detto, ma loro hanno risposto che non gli risultava. Già al pronto soccorso, la notte prima del ricovero, noi in attesa di essere visitati sentivamo gli infermieri
parlare delle notizie sul San Raffaele. Quando la febbre è scesa e stavo meglio, ho cercato in Google con le parole ‘caos al San Raffaele’ e ho letto che alcuni pazienti denunciavano di avere ricevuto dosi dieci volte superiori a quella consentita.

Ho cercato di restare il piu’ possibile vigile e cosi’ ha fatto anche il mio vicino di letto. Ci aiutavamo a vicenda, in base a come stavamo”.

Il 9 mattina, prosegue la narrazione, “mi portano in reparto per cambiare la flebo ma per un’ora non
si vede nessuno. Arrivano due infermiere sudamericane. Una non riesce a far partire la macchina della pressione, interviene l’altra che la misura e mi rassicura che i valori sono buoni.
Ma sento la febbre, apro il cassetto e prendo il termometro.

Lo infilo sotto al braccio e, dopo due minuti, lei mi dice ‘toglilo, ha suonato’. Le spiego che quel tipo di termometro non suona. Sono molto stanco. Mi accorgo, dopo che se ne sono andate, che l’infermiera ha lasciato la macchina della pressione accesa, ogni 5 minuti andava in allarme e gonfiava il braccio.
Per fortuna sono un informatico e sono riuscito a disattivarla”. Poco dopo arriva “l’infermiere egiziano” che spezza la tachipirina sul suo petto “e poi e’ il turno di altri due
infermieri che vogliono darmi il paracetamolo”. ‘Me l’avete dato due ore fa!’ protesto. Controllano e vedono che l’infermiere egiziano non aveva segnato di avermelo dato”.

■ Prima Pagina

Ultim'ora

Altre Storie

Pubblicità

Ultim'ora nazionali

Altre Storie

Pubblicità

contenuti dei partner